General Motors e guerra commerciale
di Federico Giusti
Due casi emblematici: General Motors annuncia tagli alla produzione e agli investimenti in Cina, da una parte, e le risposte di Beijing, dall’altra, alle minacce occidentali di dazi e sanzioni.
Partiamo da un fatto: non sono i dazi ma il crollo delle vendite nello Stato asiatico a decretare la crisi di GM.
C’era una volta… quando i prodotti occidentali andavano a ruba nei Paesi d’Oriente; un tempo nel quale il mercato faceva breccia nei Paesi del cosiddetto socialismo reale alimentando il mito consumistico e dell’invincibilità capitalista.
Ora non siamo qui a magnificare le sorti della Repubblica Popolare Cinese ma solo a richiamare l’attenzione su una notizia: General Motors (GM), anni fa, vendeva oltre quattro milioni di veicoli all’anno in Cina, mentre oggi arriva appena a 2 milioni e la crisi è confermata dall’annuncio di 5 miliardi di perdite e da un forte ridimensionamento delle attività. Leggiamo: “Il Comitato di revisione contabile del Consiglio di amministrazione della Società ha concluso che era necessaria una riduzione significativa della partecipazione della Società in SGM sulla base della determinazione che una perdita significativa di valore dei nostri investimenti in alcune delle JV cinesi è diversa da quella temporanea alla luce della finalizzazione di una nuova previsione aziendale e di alcune azioni di ristrutturazione che SGM sta finalizzando e che si prevede di intraprendere per affrontare le sfide del mercato e le condizioni di concorrenza. La Società sta valutando l’impatto delle azioni di ristrutturazione pianificate da SGM e dei recenti sforzi per stabilizzare la quota di mercato e concentrarsi sulla redditività, e prevede di (i) registrare una svalutazione non temporanea della nostra partecipazione azionaria nelle JV cinesi nell’intervallo di 2,6-2,9 miliardi di dollari nei tre mesi che terminano il 31 dicembre, 2024, e (ii) rilevare ulteriori perdite patrimoniali per circa 2,7 miliardi di dollari derivanti dall’attuazione del piano di ristrutturazione di SGM, che includono oneri di svalutazione che saranno riconosciuti dalle JV cinesi relativi alla chiusura di impianti e all’ottimizzazione del portafoglio, la maggior parte dei quali prevediamo di registrare nei tre mesi che terminano il 31 dicembre 2024” (1).
Cali produttivi ai quali sono seguiti i tagli agli investimenti in sviluppo e tecnologie, riduzione degli organici tra operai e impiegati, forte ridimensionamento della presenza di GM in Cina a partire dall’estate scorsa quando venne annunciato un piano di ristrutturazione con la locale partner SAIC (2).
La casa automobilistica statunitense incontra quindi, al pari di altri marchi occidentali, l’elevata concorrenza delle Case produttrici cinesi in grado di assicurare vetture a costi assai inferiori e con un tasso tecnologico avanzato: “GM sta spostando la sua attenzione sulla produzione di veicoli elettrici, in particolare modelli di lusso, e sull’importazione di veicoli premium. L’azienda sta valutando la possibilità di ridurre la capacità delle fabbriche e di tagliare ulteriori posti di lavoro, anche se questi piani non sono stati ancora divulgati pubblicamente” (3).
Dall’altra parte, come scrivevamo, è in atto una guerra commerciale contro la Cina – ma Beijing non si tira indietro e ha iniziato ad approvare contro-misure ‘dolorose’ per l’Occidente.
La Repubblica Popolare, a fronte delle scelte attuate dell’amministrazione uscente di Joe Biden, e alla minaccia di vedersi imporre dazi su tutte le esportazioni verso gli US – sostenuta reiteratamente da Trump in campagna elettorale – ha deciso le prime risposte, quali il divieto di esportazione di gallio, germanio e antimonio verso gli US e l’invito a non comprare chip statunitensi.
Il blocco delle esportazioni di minerali essenziali per la produzione di chip, ma anche per telefonini, tablet e consolle, avrebbe un impatto negativo sulle aziende statunitensi, la crisi di approvvigionamento porterebbe i prezzi alle stelle con grandi sofferenze per interi settori produttivi e proteste in seno ai Paesi a capitalismo avanzato di fronte ai licenziamenti e al rincaro dei costi di merci largamente diffuse. Gli effetti immediati della guerra commerciale saranno dati dalla carenza globale di semiconduttori indispensabili per molti settori produttivi.
Dopo svariati provvedimenti di Biden, Beijing, già nel 2023, ha iniziato a contrarre le esportazioni di gallio e germanio, metalli essenziali per prodotti a elevata velocità. Parliamo di metalli duri provenienti per lo più dalla Cina, principale esportatore al mondo e il blocco di tali esportazioni è solo la prima risposta alla guerra commerciale scatenata dagli US con il precedente mandato presidenziale di Trump e la successiva presidenza democratica.
La dipendenza degli Stati Uniti da questi metalli mette la Repubblica Popolare in una situazione di forza. Le motivazioni addotte parlano di salvaguardia della “sicurezza nazionale e dei suoi interessi”, parole che ritroviamo alla base di molte decisioni analoghe assunte dall’Occidente (4) per arrestare le esportazioni verso l’Oriente.
Se si gioca la carta dei dazi e della sicurezza nazionale è del tutto scontato che i Paesi colpiti ripaghino con una ugual moneta – del resto da anni gli US, e ora la UE, hanno operato scientemente per tagliare fuori la Cina dall’accesso a tecnologie avanzate.
La decisione assunta da Beijing è non solo commerciale ma politica, servirà infatti l’approvazione del Ministero del Commercio per ogni singola spedizione con il forte rallentamento delle forniture, fermo restando la facoltà del Governo cinese di negare in partenza le licenze necessarie alle spedizioni. La reazione cinese è destinata a creare forte scompiglio nell’amministrazione statunitense con numerose aziende locali indisponibili a subire contraccolpi negativi sotto forma di mancati rifornimenti dei metalli o una forte contrazione delle esportazioni che alimenterebbe la spirale dei prezzi. E presto i contraccolpi potrebbero riversarsi sui Paesi dell’Unione Europea, anche se da parte occidentale si tende a minimizzare i rischi.
Da mesi i prezzi del germanio erano schizzati alle stelle prima ancora dell’annuncio delle restrizioni all’esportazione: le prime ripercussioni sui mercati globali sono state pessime per l’economia europea già alle prese con il forte rincaro dei prodotti energetici. E da mesi negli US circolano studi e previsioni attorno al rincaro dei metalli tanto da indurre i settori industriali a ipotizzare per fine 2024 e per il 2025 il calo della produzione di tutti i dispositivi che hanno bisogno di semiconduttori. Restrizioni che riguarderanno le esportazioni di antimonio, grafite e tecnologia per la produzione di magneti in terre rare, tutti i metalli dei quali l’industria occidentale ha fortemente bisogno.
(1) 8-K – Azienda General Motors – BamSEC
(2) Crisi auto: GM dichiara 5 miliardi di perdite e svalutazioni in Cina
(3) GM taglia posti di lavoro nel mezzo di una “più ampia revisione strutturale” in Cina | ZeroHedge
(4) https://www.inthenet.eu/2023/06/23/g7-e-cina-botta-e-risposta/
Ulteriori approfondimenti:
https://arstechnica.com/tech-policy/2024/11/laptop-smartphone-and-game-console-prices-could-soar-after-the-election/
https://www.nytimes.com/2024/12/02/business/economy/biden-china-chips-exports.html
https://scenarieconomici.it/il-problema-occidentale-dellantimonio-e-le-possibile-ricche-soluzioni
https://www.asiafinancial.com/us-chips-not-safe-to-buy-chinese-industry-bodies-claim
https://www.asiafinancial.com/china-hits-back-at-us-bans-halts-export-of-key-chip-materials
https://www.asiafinancial.com/china-hits-back-at-us-bans-halts-export-of-key-chip-materials
https://www.asiafinancial.com/chinas-critical-minerals-blockade-risks-global-chip-shortage
venerdì, 27 dicembre 2024
In copertina: Foto di Pete Linforth da Pixabay