Quanto è ‘pericoloso’ fare informazione?
di Simona Maria Frigerio
Avevamo intervistato Andrea Lucidi a una anno dall’inizio dell’Operazione Speciale russa in Donbass per avere il parere di chi, pur essendo italiano, da tempo vive in Russia (1). Lo ricontattiamo durante queste vacanze natalizie, di passaggio in Italia verso il Venezuela, dato che è stato oggetto di una campagna massmediatica che lo ha costretto a sporgere querela penale contro alcuni colleghi giornalisti e blogger. Lasciamo a lui presentarsi e spiegarci le ragioni della sua scelta.
Andrea Lucidi: «Sono un reporter free lance che lavora in questo momento in diverse aree di crisi. Sono di base in Russia ma mi sposto e ho lavorato in Donbass, in Bielorussia, in Libano, in Siria, in Venezuela, in Armenia e recentemente in Georgia. Lavoro alla luce del sole, ho una Partita Iva italiana, fatturo tutte le mie collaborazioni con i media italiani e sono pagato a mezzo bonifico bancario: tutto in maniera assolutamente tracciabile e regolare. Al momento ho solo il passaporto italiano ma ho chiesto al Presidente Putin la cittadinanza russa nel momento in cui Linkiesta ha portato a mia conoscenza il fatto che nel Parlamento Europeo qualcuno si starebbe muovendo per farmi applicare delle sanzioni personali».
Le sanzioni unilaterali e ad personam, in questi anni, hanno già colpito altri reporter, soprattutto europei, che seguivano l’Operazione Speciale in Donbass da un punto di vista critico verso il Regime di Kyiv. Chiediamo quindi a Lucidi cosa tema e perché abbia querelato alcuni giornalisti proprio de Linkiesta.
A. L.: «Vorrei specificare che, nonostante abbia consegnato tutta la documentazione richiesta, non ho ancora ottenuto il passaporto russo e se lo avessi sarebbe mia premura dichiararlo immediatamente perché sarebbe motivo di una mia maggiore sicurezza, ma anche di tranquillità nello svolgimento di questo lavoro, dato che dipendo dal passaporto italiano per poter viaggiare e, quindi, esercitare la mia professione. Inoltre, tengo a ricordare che le sanzioni possono bloccare i conti correnti, al che non potrei più ricevere i compensi per il mio lavoro. Rientrando in Italia ho quindi presentato sette querele penali per il reato di diffamazione che avevo già preparato e, per la precisione, contro Linkiesta – nella persona del Direttore responsabile Christian Rocca; contro Massimiliano Coccia per due articoli dal contenuto altamente diffamatorio; il giornalista, sempre de Linkiesta, Mario Lavia che, in un suo articolo sulla Palestina, mi ha associato alla propaganda antisemita, chiamandomi nuovamente propagandista di Putin; e poi contro Cristiano Tinazzi che, in un post su Twitter, mi definiva un ‘collaborazionista’, eccetera. Quindi, ho querelato una cittadina ucraina che, però, pare viva in Italia e collabora di tanto in tanto con Linkiesta, Yaryna Grusha, che mi ha definito un ‘collaborazionista dei criminali russi’. Inoltre ho querelato due utenti di Twitter che mi hanno appellato con termini come ‘criminale’, ‘spia’, ‘agente straniero’, eccetera».
Allargando la conversazione, come reporter e vivendo soprattutto in Russia, cosa pensa dell’uccisione del tenente generale Kirillov, anche alla luce delle risultanze della Commissione d’inchiesta statunitense sui legami tra il Wuhan Institute of Virology, EcoHealth e DARPA (segmento del Dipartimento della Difesa US) per gli studi sul gain of function dei virus corona (2)? Uccidere chi stava indagando sui biolaboratori ucraini, forse finanziati dagli States, non è un messaggio alla Russia di non oltrepassare quella linea rossa?
A. L.: «Io non mi sono mai occupato della Covid-19 e di rapporti veri o presunti tra gli Stati Uniti, Wuhan e altre realtà. Certo è che Kirillov non può essere considerato un obiettivo casuale. Alcuni hanno detto che il motivo dell’uccisione è l’indagine sul collegamento tra alcuni grandi gruppi lobbistici statunitensi, in cui sarebbe coinvolto anche il figlio di Joe Biden, con le sperimentazioni e le società che gestivano i laboratori in Ucraina. Altri affermano che l’omicidio è da correlare a un presunto utilizzo da parte delle Forze Armate russe di armi chimiche in Ucraina e in Siria. E quindi, sarebbe una vendetta o l’esecuzione di una condanna a morte».
Leggo sulla stampa italiana che l’Alta rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza della UE, Kaja Kallas, avrebbe detto alle autorità siriane (anche se non si sa chi siano, in questo momento, le entità che controllano il territorio) che, affinché l’Europa tolga le sanzioni alla Siria, le stesse devono eliminare le Basi russe nel Paese – medesimo concetto, anche se privo di contropartita, lo avrebbe espresso Zelensky. Si apre quindi il secondo fronte di guerra per procura contro la Russia?
A. L.: «In Siria non credo. Però Kallas, che è una tra le politiche più russofobe del panorama dell’Unione Europea, nella mia prospettiva, è sicuramente interessata allo sviluppo di uno scenario del genere. Io ho seguito anche la situazione in Georgia, dove mi sono recato recentemente, e posso dire che, molto probabilmente, quel Paese può dirsi ‘salvo’ da questo punto di vista».
Teheran e Mosca, sempre da fonti stampa, sembrano consapevoli che la destabilizzazione del Medio Oriente potrebbe essere un pericolo anche per i BRICS. La Cina, in questi ultimi mesi, non sta latitando sulla questione? O, più semplicemente, non sta evitando di esercitare il giusto peso per fermare i massacri in Palestina e le recenti annessioni in Siria o i bombardamenti sul Libano da parte di Israele?
A. L.: «Sì, la Cina latita sulla questione mediorientale ma, secondo me, perché probabilmente può essere concentrata su altri fronti e, in particolare, quello statunitense/taiwanese – dato che l’arrivo alla Presidenza di Donald Trump potrebbe provocare qualche preoccupazione a Beijing. Infatti, sappiamo benissimo che Trump ha dichiarato più volte di non essere interessato all’Europa e all’Ucraina ma, allo stesso tempo, ha dichiarato di voler sostenere militarmente Taiwan e Israele in funzione anti-cinese e anti-iraniana».
(2) https://www.inthenet.eu/2024/12/20/gli-us-pubblicano-520-pagine-critiche-rispetto-alla-gestione-della-pandemia/
Se i giornalisti de Linkiesta vorranno ribattere alla presente intervista, possono scrivere alla Redazione di InTheNet.eu
venerdì, 27 dicembre 2024
In copertina: Immagine stock da Pixabay