Una breve riflessione sullo stato dell’arte teatrale, oggi
di Emilio Nigro
Tempo fa, una decina d’anni circa, il/la direttore/ice di una importante rivista di teatro mi chiese di ‘votare’ un esordiente, ma già vecchio, ‘critico’ di teatro per l’allora premio Garrone, il riconoscimento dato a chi di teatro ne scrive. Non dovevo solo votarlo, ma farlo votare. Che poi si trattava di parlare con compagnie e addetti ai lavori affinché indicassero il suo nome fra i papabili (era il meccanismo per entrare nelle ‘terne’). Al resto, ci avrebbero pensato nel ‘comitato scientifico’. Era in piedi dunque una ‘macchina elettorale’ per portare al trionfo questo personaggio. Mi indignai, ma non reagii spinto dalla nausea: risposi, trattenendo il fiato, che non doveva rivolgersi a me per queste cose.
Hanno appena consegnato gli Ubu. Con nomi comuni da una decina d’anni, fidanzati/e di critici/che, amici degli amici, amici degli amici degli amici, figli di papà, figli di mammà, figli di…
E qualche artista.
Gli Ubu servono. Come sui libri le fascette ‘Premio Strega’. Come le pubblicazioni sulle riviste scientifiche per i dottorati. Come le medaglie d’oro alle Olimpiadi. Ma alle Olimpiadi le sudano, il merito è evidente, la conquista giocata sotto gli occhi di tutti.
Un Ubu garantisce delle date. Perché, se si arriva all’Ubu, si viene fiancheggiati dalle eminenze grigie del teatro (quale lavoro facciano nella vita non lo hanno ancora stabilito, nemmeno da grandi) e grazie a questo sistema gli spettacoli girano. Ci fanno anche i libri su come distribuire gli spettacoli, ma il trucco è solo uno: intrallazzarsi. Tu conosci a me, io conosco a quello, quello conosce a quell’altro, quell’altro è lì dentro all’ombra del sole. In cambio? La storia è vecchia come il cucco… la risposta è banale.
Ma gli Ubu servono solo a questo. A fare pubblico. Il pubblico dei non addetti ingannati dal ‘Premio’ scritto sul petto e attirati in teatro. Possibile che in 15 anni nessuno meritevole di successo oltre ai soliti noti? Fanno teatro in migliaia in Italia, la cerchia si stringe meritevolmente sempre sui soliti? A rinnovarsi è solo il pubblico. Quello che ancora non ha scoperto dietro le maschere cosa c’è…
Ma torniamo alle eminenze grigie, quelle che si fanno la foto con gli artisti per significare ‘ci sono dietro io’, alcuni più platealmente ‘è opera mia’. Ma il teatro è bello anche perché si fa fuori dai palchi – e tutto è gesto, tutto significa. Ma la metafora qual è? Il teatro non dovrebbe avere uno scopo sociale? E in questo caso la rappresentazione è di cosa? Qualche Ubu fa, una eminenza grigia, che poi è anche in ‘comitati scientifici’ vari, si fece fotografare per i social con in mano un Ubu. In due mani, anzi…
Allora: l’eminenza (con altre eminenze) premia i ‘migliori critici’ che poi premiano i migliori artisti e l’eminenza cura organizzazione, distribuzione e stampa di questi artisti vincitori! Ma è un sistema geniale! Proprio è ‘o’ sistema’! L’eminenza fa contenti i critici e poi i critici devono fare contenta l’eminenza, che è la più contenta di tutti! Senza sapere che lavoro fa, campa e stra-campa.
Io sono vecchio, ma un giorno ai miei figli farò fare l’eminenza. L’eminenza grigia del teatro.
Peccato. Per il teatro. Quello vero. Quello senza premi. Quello per cui la gente fatica. Quello per cui la gente si ravviva. A guardare questi, tutti questi, la gente s’ammorba.
venerdì, 20 dicembre 2024
In copertina: Il logo del Premio Ubu quando festeggiò i 40 anni nel 2017