A metà strada tra De Humani corporis fabrica e Crimes of the future
di Simona Maria Frigerio e Luciano Uggè
Quest’anno a Biennale Danza, Vera Paravel e Lucien Castaing-Taylor hanno presentato De Humani corporis fabrica. Ispirandosi all’idea di corpo-macchina, come concepita da Andrea Vesalio nel lontano 1543, gli spettatori si sono ritrovati immersi in una video-installazione che proponeva ai loro occhi (e sensi) “sonde chirurgiche laparoscopiche, operazioni a cuore aperto, interventi al cervello”. Forse al fine di mostrare la fragilità del corpo e la continuità tra esterno esperito e interno vissuto, come si domandava la nostra collaboratrice Francesca Camponero (1) nel suo articolo. Anche la nostra Redazione si chiedeva già allora cosa avesse tutto ciò a che vedere con la danza: perché non mettere in scena una coreografia che mimasse il funzionamento dei nostri organi interni o la facilità/difficoltà del gesto nello spazio reale – utilizzando magari danzatori di età diversa?
Il secondo rimando che ci è venuto spontaneo osservando l’installazione (con tre video) di Agnes Questionmark è stato il film Crimes of the future con la regia di David Cronenberg – un remake (in senso lato) del suo film culto, Crash, questa volta in stile Netflix, patinato e superficiale con una voyeuristica propensione a ciò che può suscitare, più che straniamento (a parte la fulminante scena iniziale, quando il piccolo Brecken inizia a rosicchiare il cestino di plastica, 2), ribrezzo.
Con Nexaris Suite ci troviamo di fronte a un immaginario che non si comprende se esalti o critichi un futuro transumanesimo, in cui oltre alla fluidità di genere (ormai già dépassé, dopo le ultime Olimpiadi), ci si domandino davvero ove si ergano i confini etici ed estetici di questa società che, più che fluida, sembra sempre più malleabile – talmente permeabile da non avere più una propria forma, né ideali a cui con-formarsi o diktat ai quali non con-formarsi.
La sorveglianza, esplicitata nell’installazione, è indubbiamente un elemento critico, come il rapporto malato che ormai esiste tra una sanità che non cura ma semplicemente cristallizza la sopravvivenza in funzione economica. La morte, come la vita, ha perso il suo afflato spirituale, sacrale o naturale, per trasformarsi in business – il business della vecchiaia, della malattia, della morte posticipata che flirta pornograficamente con la tecnologia così da creare un gregge di sopravvissuti a se stessi, da cui il capitale trae linfa come le macchine del film Matrix dalle praterie di corpi.
E del resto i rimandi dell’opera sono più prossimi all’immaginario filmico che a quello filosofico. Da Arancia Meccanica (ricordate la ‘rieducazione’ di Alex?) a Brazil (per gli interventi ‘estetici’ di Alma Terrain) fino a un polpettone hollywoodiano, campione di effetti speciali come Atto di forza (con il mutante Kuato nel ventre di George); e ancora, i feti di H. R. Giger, il mantello nero con cappuccio de Il settimo sigillo e, infine, i parassiti (simili a platelminti) che riportano alla luce l’istintualità de Il demone sotto la pelle (sempre Cronenberg, ma al meglio di sé).
In ogni caso è soprattutto l’occhio, che vede ed è visto, a essere al centro della riflessione. Costretti alla visione o accecati dal potere o, peggio ancora, etero-diretti a un’unica visione che, ovviamente, non potrà che generare mostri? Perché è indubbio che laddove manchino il senso critico e la pluralità di visioni, diventa impossibile la costruzione (o almeno l’elaborazione) di un altro mondo possibile.
L’installazione genera perplessità in quanto, pur suscitando dubbi su tematiche importanti, è troppo patinata nel suo orrore per scorticare la nostra visione. Il materiale stesso utilizzato – così lucido e levigato – necessiterebbe di essere sporcato, come scrisse Jacques Rivette in merito a Kapò di Gillo Pontecorvo: “L’inquadratura in cui la Riva si suicida gettandosi sul filo spinato percorso dalla corrente elettrica; l’uomo che decide, in quel preciso momento, di fare un carrello in avanti per inquadrare di nuovo il cadavere dal basso, facendo particolarmente attenzione a inscrivere esattamente la mano protesa in un angolo dell’inquadratura finale; quest’uomo non merita che il mio più profondo disprezzo”. Il sangue blu fa il medesimo effetto, come la bellezza delle modelle/performer dei video.
Etica ed estetica: impossibile essere, al contempo, patinati e urticanti.
La mostra continua:
Tenuta Dello Scompiglio
via di Vorno, 67 – Vorno (Lucca)
fino a domenica, 13 aprile 2025
dal giovedì alla domenica, dalle ore 14.00 alle 18.00, oppure su appuntamento
Agnes Questionmark presenta:
Nexaris Suite
a cura di Angel Moya Garcia
(1) https://www.inthenet.eu/2024/08/09/biennale-danza-2024/
(2) https://www.inthenet.eu/2022/10/14/crimes-of-the-future/
venerdì, 13 dicembre 2024
In copertina: Nexaris Suite di Agnes Questionmark presso lo spazio espositivo della Tenuta dello Scompiglio. Foto di Leonardo Morfini (gentilmente fornita dall’Ufficio stampa dello Scompiglio)