Quando il gioco si fa duro, i duri… scappano!
di Luciano Uggè
L’elenco delle star della canzone e di Hollywood che, dopo aver minacciato di andarsene dagli States se avesse vinto le presidenziali Trump, pare stiano vendendo casa e facendo i bagagli, aumenta.
Molti già annunciano la meta: la nostra Toscana. Ovviamente senza preoccuparsi del fatto che siano extracomunitari e, a meno che non possano chiedere asilo politico, dovrebbero prepararsi a un soggiorno a Lampedusa e poi a un foglio di via, o all’ospitalità nel Centro di accoglienza in Albania (dove potrebbe esserci ancora qualche letto libero…).
Al di là della battuta… un tale atteggiamento ci lascia perplessi per vari motivi.
Il primo è quale sarebbe la differenza tra Kamala Harris e Donald Trump a livello di contenuti. Certamente entrambi hanno velleità egemoniche e, in caso, sarebbero entrambi votati a una belligeranza attiva. Forse Trump è più protezionista, mentre la Harris è sicuramente più liberista – ma questi non paiono valori ‘democratici’ da difendere a spada tratta. Harris come Procuratore generale non ha certamente favorito gli afroamericani – pensiamo ai 5.000 reclusi non violenti che avrebbero potuto essere rilasciati anzitempo, se lei non si fosse opposta. Nemmeno la sua posizione rispetto al genocidio dei palestinesi è diversa da quella di Trump – ossia un sostegno incondizionato a Israele; così come la sua ‘performance’ ai confini con il Messico qualche anno fa non fu brillante – ma non ci ripeteremo, potete leggere tutto in un nostro precedente articolo (1).
Il secondo dubbio che ci assale è quale ego smisurato debbano possedere queste cosiddette ‘star’ se pensano di poter ‘influenzare’, non con la loro dichiarazione di voto o con argomenti politici o economici, bensì con il ‘ricatto’ di una loro ‘dipartita’ milioni di persone. All’operaio che lavora nell’azienda che sta chiudendo; all’adolescente che non riesce a ottenere la sedia a rotelle nuova da Medicare anche se è troppo cresciuto per usare la vecchia; o alla ragazza che ha due lavori per mantenere un bambino e non ha, magari, l’assicurazione medica perché né l’uno né l’altro è a tempo pieno; cosa può importare se Robert De Niro vende la sua villa e si trasferisce con l’ultima fiamma e il settimo figlio a fare tai-chi a Ferrazzano (il paese di origine dei suoi antenati in provincia di Campobasso…)?
Il terzo motivo per cui siamo perplessi da tanta arroganza è che un tempo, se non eri d’accordo con il Governo, scendevi in piazza, ti battevi per le tue idee e per difendere i diritti collettivi, per fermare le guerre e per cambiare il mondo (o almeno il modo di produzione…). Oggi i signori di Hollywood, invece che appoggiare una Jill Stein – che denuncia pubblicamente il genocidio palestinese e si batte da tempi non sospetti per l’ambiente, tentando di costruire un nuovo Partito che non debba per forza appellarsi ‘democratico’ (quando l’unico obiettivo è ‘portare la democrazia a suon di bombe’ altrove) e che rimetta al centro gli interessi delle fasce medie e basse della popolazione e promuova la pace e uno sviluppo sostenibile – ebbene questi signori (e signore) fanno come i bambini capricciosi che hanno perso la partita a tennis e, invece di tornare ad allenarsi per il match successivo, lasciano il campo rompendo a terra la racchetta.
E infine, questa Hollywood piena di cariatidi che non si rende nemmeno conto che l’immaginario filmico che li ha resi famosi nel mondo era ed è diametralmente opposto a ciò che sono diventati gli States – da Apocalypse Now a Soldato Blu o ai recenti Prossima fermata-Fruitvale Station e Nomadland. Questa Hollywood che fa la pruriginosa con Kevin Spacey e, ipocritamente, cavalca l’onda del #MeToo, ma poi riprende a girare come prima, perché il problema non è la star che non sa recitare e ha avuto un rapporto sessuale per guadagnare fama e palate di milioni, ma l’operaia che deve subire la mano lunga del capo-reparto se vuole arrivare a fine mese. Questa Hollywood che non si rende nemmeno conto che se Black Lives Matter, sarebbe il caso di non cercare di vendere l’immagine della Harris come di una afro-americana, visto che non lo è ed è una ‘presa per i fondelli’ dopo i suoi anni come Procuratore generale della California. Questa Hollywood che ha cercato di imbonirci con decenni di saghe/polpettoni fantasy ed effetti speciali, perché non aveva più niente da dire né contro il deep state (di cui Harris è l’involucro patinato e accettabile) né contro l’arrivismo da ‘incubo’ (e non sogno) ‘americano’ (di cui Trump è il peggior esempio). Ebbene, a questi rappresentanti di Hollywood, che spero finiranno qualche mese in Albania prima di rientrare in patria, consiglierei di ricominciare a pensare alla radice delle diseguaglianze, ossia al capitalismo e al neo-imperialismo, di cui i loro adorati States sono il più ‘fulgido’ esempio.
(1) https://www.inthenet.eu/2024/09/20/kamala-harris-e-le-allegre-comari-di-chicago/
venerdì, 29 novembre 2024
In copertina: Hollywood Boulevard e una delle tante telecamere per il controllo della cittadinanza, foto da Pixabay