“Il mondo è nelle mani di coloro che hanno il coraggio di sognare e di correre il rischio di vivere i propri sogni” (1)
di (e traduzione di) Simona Maria Frigerio
Proseguiamo la nostra analisi della Dichiarazione di Kazan (2) e data alla stampa internazionale, cercando di analizzare alcuni articoli di fondamentale importanza anche per noi europei.
L’articolo 7 si concentra sui diritti e la partecipazione dell’Africa, dell’America Latina e dei Caraibi, oltre che delle donne, “nei processi decisionali globali” e, a tal fine, nell’articolo successivo – ricordando la Dichiarazione di Johannesburg del 2023 (3) – i BRICS si impegnano a “supportare una riforma onnicomprensiva dell’Onu, incluso il suo Consiglio di Sicurezza, in modo da renderlo più democratico, rappresentativo, effettivo ed efficiente, e da aumentare la rappresentanza dei Paesi in via di sviluppo”. Tale dichiarazione, del resto, è in linea con molte delle precedenti espresse dal Presidente Putin – e avrebbe due conseguenze. La perdita dell’egemonia statunitense esercitata col diritto di veto e un maggior controllo da parte dei rappresentanti di quasi 7 miliardi di persone rispetto a quelli del restante miliardo ‘d’oro’.
All’articolo 9 si riafferma il sostegno a un sistema di commercio veramente basato sulle regole, “equo e non-discriminatorio” con il WTO al suo centro, ma con un “trattamento speciale per i Paesi in via di sviluppo”. Ovviamente qui, come in molti altri articoli, ci si oppone alle restrizioni unilaterali – dazi protezionistici e via discorrendo. E infatti, all’articolo successivo si condannano le sanzioni unilaterali che – cosa alla quale non si pensa mai in Occidente – impediscono ad alcuni Paesi di raggiungere gli obiettivi di uno sviluppo sostenibile. Vogliamo solo ricordare il decesso di mezzo milione di bambini iracheni a causa delle sanzioni imposte dagli States e dagli stessi rivendicate attraverso la dichiarazioni dell’allora Segretario di Stato, Madeleine Albright (4).
L’articolo 11 si preoccupa di una Rete di Sicurezza Finanziaria Globale e una riforma delle ‘famigerate’ istituzioni di Bretton Woods (5), includendovi in posizioni di leadership i rappresentanti dei Paesi in via di sviluppo. Mentre, al successivo articolo, si riconosce “il ruolo cruciale dei BRICS nel processo di miglioramento del sistema monetario e finanziario internazionale (IMFS), così da reagire meglio ai bisogni dei Paesi”. Anche in questo caso occorre riflettere. Il Fondo Monetario Internazionale (una delle succitate istituzioni) finora ha fatto prestiti agli Stati imponendo regole di austerity, tagli al welfare, impoverimento delle fasce medie e più deboli, privatizzazioni e tagli alla pubblica amministrazione e alle pensioni. Ripensare gli obiettivi dei prestiti ai fini dello sviluppo umano sostenibile, far ricadere gli oneri degli interessi dei prestiti su altri soggetti e settori, sarebbe – secondo noi – destabilizzante per i Paesi egemonici.
All’articolo successivo, dedicato all’Agenda 2022 per uno sviluppo sostenibile, non a caso si ricorda (come già nel summit tra Russia e Africa del 2023) che vanno “tenute in considerazione le diverse circostanze, capacità e livelli di sviluppo, rispettando le politiche e priorità di ciascuna nazione” e a tal fine “si condannano i tentativi di assoggettare lo sviluppo a pratiche motivate da ragioni politicamente discriminanti”.
L’articolo 15 sostiene la Convenzione dell’Onu sul cambiamento Climatico (6), il Protocollo di Kyoto e l’Accordo di Parigi, ma sottolineando i “principi di equità, le responsabilità comuni ma differenziate e le rispettive capacità (7) alla luce delle differenti circostanze nazionali”. Ciò è implicitamente in collisione col volere dell’Occidente non solo di imporre ai Paesi meno sviluppati i medesimi oneri per la sostenibilità ma addirittura – vi ricordate la compravendita di quote di CO2 (8)? – di mantenerli in uno stato di sottosviluppo in cambio di fondi che, spesso, finiscono nelle mani di una élite corrotta.
Negli articoli successivi si riafferma l’importanza della conservazione della biodiversità, e si denunciano i pericoli della desertificazione e della scarsità di acqua soprattutto potabile (nel 2023, secondo l’Unicef, nel mondo 2 miliardi di persone non avevano acqua sicura da bere e 3,6 miliardi di persone – quasi la metà della popolazione mondiale – utilizzava servizi igienici che lasciavano i rifiuti umani non trattati). Inoltre si vogliono preservare le specie rare e promuovere i diritti umani e le libertà delle persone “in maniera non-selettiva, non-politicizzata, costruttiva e senza doppi standard” – questi ultimi da oltre trent’anni sotto gli occhi di tutti, ma con il genocidio palestinese e la russofobia imperante assurti alle cronache quotidiane.
L’articolo 23 è dedicato alla Dichiarazione di Durban e al Programma di Azione del 2001 (9) e a successivi trattati che mirano alla lotta “contro il razzismo, la discriminazione razziale, la xenofobia e la relativa intolleranza così come alla discriminazione su base religiosa” – tema questo molto sentito dai credenti ortodossi russi, viste le persecuzioni in Ucraina.
Negli articoli successivi i BRICS mostrano preoccupazione per i conflitti armati in aumento, che “hanno un impatto significativo sia a livello regionale sia internazionale”. Mentre reiterano il loro impegno “per una soluzione pacifica delle dispute attraverso la diplomazia, la mediazione, il dialogo inclusivo e le consultazioni”. Il che si scontra con il sostegno armato e incondizionato dell’Occidente all’Ucraina come a Israele; così come appare lettera morta il richiamo al rispetto delle leggi umanitarie internazionali nelle situazioni di conflitto, quando ogni giorno vediamo i massacri di civili e bambini compiuti impunemente da Tel Aviv. Chiedere l’allontanamento di Israele dal consesso dell’Onu (10) non sappiamo quale peso possa avere per un Paese che si sente ‘razza eletta e investito di una missione biblica’.
All’articolo 30 si cita “la grave preoccupazione per il deterioramento dei rapporti e la crisi umanitaria nei Territori Occupati palestinesi, in particolare l’escalation della violenza senza precedenti nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania, risultato dell’offensiva militare israeliana, che ha provocato omicidi di massa e il ferimento di civili, il dislocamento forzato e la distruzione massiva si infrastrutture civili”. La richiesta dei BRICS è, di conseguenza, per un “immediato e permanente cessate il fuoco, l’immediato rilascio senza condizioni di tutti gli ostaggi e i detenuti di entrambe le parti che sono stati trattenuti illegalmente” e, ovviamente, il sostegno umanitario della popolazione di Gaza. I BRICS chiedono siano finalmente messe in atto le Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU (ricordiamo che era presente a Kazan anche il Segretario Generale delle Nazioni Unite, António Guterres). I BRICS, inoltre, ricordano che il Sudafrica si è appellato alla Corte Internazionale di Giustizia contro il genocidio del popolo palestinese a opera di Israele e che tutti loro supportano la richiesta che “lo Stato di Palestina diventi a pieno titolo membro delle Nazioni Unite”. Si impegnano “per la soluzione dei due Stati sulla base delle leggi internazionali” nei confini “internazionalmente riconosciuti a giugno 1967 con Gerusalemme Est capitale” dello Stato di Palestina, sì che i due popoli “possano vivere uno a fianco all’altro in pace e sicurezza”.
Chiariamo questo punto (come da mappa che riportiamo qui sotto).
I territori del 1967 sono sostanzialmente quelli conquistati da Israele dopo la guerra del 1948/49, in cui Israele si era già appropriato di un’ampia fetta palestinese. Non solo. La realtà è che – ci spiace dirlo – ma tutto l’impianto della spartizione dell’Onu della Palestina fu sbagliato. In primis, perché il Regno Unito rinunciando al suo Mandato (anche a causa delle bombe dei futuri israeliani) avrebbe dovuto consegnare quei territori alle popolazioni che lì vivevano e che erano per la maggioranza arabi. Secondo, perché aver sancito ufficialmente una divisione di quel territorio su base religiosa dovrebbe essere principio contrario alle norme che fanno da base all’esistenza stessa delle Nazioni Unite: la convivenza sul medesimo pianeta e nei medesimi territori di persone di etnia, religione, lingua e tradizioni diverse, che trovano meccanismi per convivere pacificamente su base egualitaria. Ma sappiamo anche che quella spartizione nacque dall’esigenza dell’Europa di ‘ripulirsi la coscienza’ dopo l’Olocausto nei confronti degli ebrei e dalla volontà dei sionisti di avere una propria nazione, lasciando in massa l’Europa in ondate successive. Non tacciamo nemmeno l’interesse degli States di mantenere una spina nel fianco del mondo arabo grazie a un avamposto europeo sul loro territorio. Infine, non va dimenticato che oggi vivono circa 800mila israeliani ebrei all’interno della Cisgiordania – i cosiddetti coloni, che hanno occupato e militarizzato ampie aree con i loro insediamenti illegali. Anche solo per tornare ai confini del 1967, questi colonizzatori dovrebbero rientrare in Israele, così come dovrebbero essere espropriati circa 200mila ebrei israeliani che ormai occupano Gerusalemme Est. La risoluzione 181 del 29 novembre 1947 era una mela bacata, anche perché se da una parte c’è chi si autodefinisce razza ‘eletta’ (come amava fare Hitler con gli ariani) è poco praticabile far capire che nessun popolo è superiore a un altro e la convivenza civile e rispettosa è alla base dell’essere parte di un’unica umanità. Ciò che lamentano i palestinesi proprio è la loro disumanizzazione, operata da Israele per decenni. Pensiamo a cosa fecero i nazi-fascisti con le leggi razziali e ripartiamo da lì. Se il sionismo e il giudaismo non si separeranno nella mente dell’Occidente e i cosiddetti diritti di Israele non saranno rimessi in discussione fin da quella mela bacata del 1947, sarà impossibile per israeliani e palestinesi convivere anche perché – ricordiamo – lo Stato che si autodefinisce democratico si è arrogato il diritto di autodefinirsi anche su base-etnico/religiosa, trasformandosi de facto in uno Stato razzista, dove non solamente la minoranza arabo-islamica ma anche quella cristiana sono considerate cittadini di serie B (né più né meno degli ebrei sotto il nazi-fascismo).
Tornando alla Dichiarazione, sempre per quanto riguarda questa zona del mondo, i BRICS esprimono “allarme per la situazione nel Libano meridionale” e condannano “l’uccisione di civili e i danni immensi alle infrastrutture civili che sono state il risultato degli attacchi israeliani in zone residenziali”. Chiedono una immediata cessazione delle attività militari e di preservare “la sovranità e l’integrità territoriale dello Stato del Libano”. Inoltre, all’articolo 32, fanno riferimento agli ultimi attacchi terroristici perpetrati da Israele, che ha fatto detonare una serie di cellulari a Beirut “il 17 settembre 2024, uccidendo e ferendo dozzine di civili”. Ovviamente tali atti, come le extraordinary rendition, ossia i rapimenti illegali in Stati sovrani, di presunti terroristi (pratica statunitense come israeliana) sono contrari al diritto internazionale. D’altro canto, all’articolo 33, i BRICS affermano l’importanza di assicurare “i diritti di navigazione per le navi di tutti gli Stati nel Mar Rosso e nello Stretto di Bab Al-Mandab, in accordo con le leggi internazionali” e incoraggiano gli sforzi diplomatici per raggiungere tale fine “risolvendo le cause del conflitto, e continuando a supportare il dialogo e il processo di pace in Yemen sotto gli auspici delle Nazioni Unite”. Ancora una volta occorre fermarci e riflettere. In primis, gli yemeniti con il loro blocco stanno operando, in un certo senso, un embargo ai Paesi occidentali che inviano armi a Israele per massacrare il popolo palestinese. O li stanno sanzionando unilateralmente – visto che l’Onu è persino incapace di imporre una no fly zone sul Libano meridionale, così come è stato assolutamente inutile il suo intervento (al di là delle pie intenzioni umanitarie, spesso bloccate dall’esercito israeliano) in favore dei civili nella Striscia di Gaza – più di 42mila civili morti di cui oltre 18mila bambini, e più di 100mila feriti lo dimostrano. In secondo luogo, diamo a Cesare quel che è di Cesare: è stata soprattutto la diplomazia cinese, facendo firmare un accordo a Iran e Arabia Saudita, a dare una spinta verso la pacificazione dello Yemen – mossa sicuramente più efficace di quelle tentate e abortite dall’Onu nel corso degli anni.
Nell’articolo 34 si ricorda che la Siria è uno Stato sovrano di cui ha diritto a mantenere l’integrità territoriale. I BRICS condannano “la presenza illegale di forze armate straniere” – e ivi possiamo leggervi un riferimento sia alla Turchia sia soprattutto agli Stati Uniti, che sono stati invitati all’ONU a lasciare i territori illegalmente occupati non solo in Siria ma anche in Iraq (11). Sempre riguardo alla Siria, si condannano sia le sanzioni unilaterali contro il Paese sia (all’articolo 35) l’attacco “contro la sede diplomatica iraniana a Damasco, condotto da Israele il 1° aprile 2024 che costituisce una violazione del principio fondamentale di inviolabilità delle sedi consolari e diplomatiche sancito dalla Convenzione di Vienna del 1961”.
All’articolo 36 si auspica una risoluzione per quanto riguarda il conflitto in Ucraina attraverso il dialogo e la diplomazia; nel successivo si reitera “il principio: ‘soluzioni africane per i problemi africani’, che dovrebbe servire da base per la risoluzione dei conflitti nel continente”. Così come all’articolo 43 si chiede che si rispettino gli accordi di non proliferazione delle armi nucleari e al 45 di prevenire “la corsa agli armamenti nello spazio”.
Infine, all’articolo 47 si condanna inequivocabilmente il terrorismo e qui ricordiamo che la Russia è stata completamente scagionata dalle accuse mosse dall’Ucraina presso la Corte di Giustizia Internazionale dell’Aia, sia per discriminazione razziale sia per il finanziamento del terrorismo
(12). Ovvio quindi che i BRICS combatteranno congiuntamente non solamente atti di terrorismo e il suo finanziamento, ma anche “il riciclaggio di denaro, il traffico di droghe, la corruzione e l’abuso delle nuove tecnologie, incluse le criptovalute, per propositi illegali e terroristici”. Ma anche la corruzione sarebbe nel mirino dei Paesi dei BRICS, che sarebbero altresì preoccupati dalla disinformazione e dalla propaganda di false narrazioni e fake news, oltre che dai discorsi che incitano all’odio “specialmente sulle piattaforme digitali, che possono alimentare la radicalizzazione dei conflitti”; ma, dall’altro lato, affermano l’importanza “dell’accuratezza dell’informazione” e assicurano “libertà di accesso a un’informazione basata sui fatti” e alla libertà “di opinione ed espressione, così come” considerano importante “la padronanza dei media e del digitale in modo tale da permettere una connettività significativa”, in accordo con le normative nazionali e internazionali.
Gli articoli successivi della Dichiarazione, che includiamo in versione integrale, si concentrano sugli scambi tra i Paesi BRICS anche a livello tecnologico, culturale, sportivo e nei settori dell’istruzione (compresa quella universitaria) e del diritto alla salute (con rimandi a una Sanità pubblica e universalmente garantita).
Noi possiamo fermarci qui con la traduzione visto che il concetto base, ossia l’importanza e il peso dei 9 (e forse un domani 22 o più) Paesi che compongono i BRICS non è più tacitabile in Occidente. Non a caso gli States temono soprattutto gli scambi in valuta locale, che – nelle intenzioni della Dichiarazioni finale – saranno sempre più utilizzati sia tra gli Stati che fanno parte dei BRICS sia tra questi ultimi e i loro partner commerciali (pensiamo al peso che può avere la contrattazione da parte dei Paesi arabi del petrolio in rubli, yuan e rupie). Ma soprattutto è l’idea creare un’alternativa alla Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunication (ossia alla rete SWIFT), che agisce da intermediatore ed esecutore delle transazioni finanziarie, in moneta o in asset diversi, ad esempio titoli, digitali, utilizzata dalla quasi totalità delle banche del mondo, a spaventare l’Occidente. Proprio questo genere di sanzioni doveva piegare la Russia. Oggi pensare che colossi economici come la Repubblica Cinese o l’India possano pretendere nuove carte con le quali giocare sul tavolo dei ‘Grandi’ è un pericolo per il potere egemonico statunitense enorme – e il timore è che prima che Sansone muoia, si porterà con sé tutti i filistei.
(1) Paulo Coelho
(3) https://brics2023.gov.za/wp-content/uploads/2023/08/Jhb-II-Declaration-24-August-2023-1.pdf
(4) https://youtu.be/ZaCzd9f0StY?si=kRIgK0QkCnY8gLO7 via @YouTube
(5) Tali istituzioni sono il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo (o Banca Mondiale)
(6) Per approfondire il tema: https://unfccc.int/
(7) CBDR-RC: https://www.britannica.com/topic/common-but-differentiated-responsibilities
(8) Quote di CO2, come funziona il meccanismo ETC che regola le emissioni: https://www.esg360.it/environmental/quote-di-co2-come-funziona-il-meccanismo-che-regola-le-emissioni/
(10) https://www.infopal.it/appello-di-giuristi-chiede-lespulsione-di-israele-dalle-nazioni-unite/
(11) https://responsiblestatecraft.org/us-military-iraq-syria/
venerdì, 15 novembre 2024
In copertina: XVI Summit (ristretto) dei BRICS a Kazan, sotto la Presidenza russa. Заседание XVI саммита БРИКС в узком составе. Фото: Алексей Даничев, фотохост-агентство brics-russia2024.ru