Solo il popolo salva il popolo
di Noemi Neri
Martedì 29 ottobre, nella provincia di Valencia, cade in poche ore l’equivalente della pioggia di un anno, in alcune zone si registrano 500 litri per metro quadrato. Si chiama Dana (Depressione isolata ad alti livelli) il fenomeno metereologico che si è abbattuto sulla Spagna, in particolare nella zona sud-est. Una massa di aria fredda si è scontrata con le correnti calde e umide del Mediterraneo creando un ambiente instabile. In questo caso, l’aria raggiunge altitudini molto elevate facendo letteralmente volare le nuvole e aumentando i temporali.
Le piogge torrenziali, accompagnate dal forte vento e dai tornado, non si abbattevano sul Paese dal 1973, quando Almeria, Granada e Murcia vennero completamente inondate. L’Aemet (Agenzia statale di meteorologia) ha commentato la Dana di Valencia: “È stata una tempesta storica, al pari delle grandi tempeste del Mediterraneo e tra le tre più intense dell’ultimo secolo nella regione”.
Lo scenario infatti è disastroso, molti fiumi e torrenti della Comunità valenciana sono esondati, l’acqua è arrivata nei paesi tutta insieme, molte persone non hanno avuto il tempo di mettersi in salvo e sono rimaste bloccate nelle proprie case, in auto, sul posto di lavoro, nei centri commerciali.
Da subito si è intuita la portata enorme della catastrofe ma, a distanza di pochi giorni, è possibile avere un’idea più concreta delle condizioni in cui versa la città. Secondo i primi bilanci ci sono almeno 200 deceduti e quasi 2 mila persone ancora disperse. “La maggior parte sono morti dove non pioveva”, fa notare José Ángel Núñez, capo di Aemet. Infatti, non è stata percepita nessuna sensazione di pericolo da parte della popolazione, questo perché nonostante l’avviso di livello rosso dato da Aemet alla Comunità valenciana la mattina del 29, ovvero di alto rischio dovuto alle condizioni meteorologiche, non è stata comunicata nessuna allerta ai cittadini – l’avviso della Protezione Civile è arrivato soltanto dopo le 20.00, quando quasi tutte le zone erano già allagate. Di fatto, quando io stessa ho ricevuto l’allarme sul telefono mi trovavo a teatro, dove tutti i cellulari hanno iniziato contemporaneamente a squillare: l’invito era di evitare spostamenti a causa del maltempo. In centro, però, non pioveva e non si aveva nessun presentimento che potesse arrivare la Dana. La maschera, infatti, ha chiesto al pubblico di mettere i cellulari in modalità aereo per far proseguire lo spettacolo, e così abbiamo fatto. Nel frattempo, sui social comparivano i primi video delle inondazioni di Utiel e Requena – che distano circa 100 chilometri da Valencia. La tormenta si stava avvicinando alla città in pochissimo tempo, tanto da iniziare a interessare i quartieri periferici.
Una lunga notte e un brutto risveglio
Le immagini che vediamo sembrano surreali: l’acqua è a pochi chilometri dal centro, le macchine sono accatastate una sull’altra, in mezzo ai tanti video ne scorgo uno del mio quartiere dove strada e campi si trovano immersi in una distesa d’acqua. L’inquadratura successiva è di una tra le vie principali della città, una di quelle che percorro anch’io per tornare a casa e che, adesso, sembra un fiume in piena.
La polizia ha bloccato gli accessi, devo passare la notte fuori. L’aereo di un’amica, che stava tornando in città, è stato dirottato su Alicante, l’aeroporto di Valencia è già allagato: in pochi minuti l’acqua ha sommerso intere zone limitrofe al centro. Quando nel 1957 un’altra forte Dana aveva fatto esondare il vecchio fiume Turia, che attraversava la città, oggi parco omonimo lungo 9 chilometri, questo fu deviato verso sud: ciò ha permesso, oggi, di salvare almeno il centro dall’inondazione.
Il mattino di mercoledì 30 ottobre le arterie principali della città sono inagibili per via dell’acqua ancora presente e delle tante macchine danneggiate – dunque, lascio la vettura lontana da casa e proseguo a piedi. Indosso dei sacchetti della spazzatura sopra le scarpe per attraversare le zone immerse in acqua e fango e, piano piano, in mezzo a uno scenario desolante, raggiungo la mia abitazione. Insieme a me, immerse in un’insolita nebbia, molte persone stanno attraversando il ponte per accedere al quartiere. I video che mostrano al telegiornale e sui social sono agghiaccianti: persone aggrappate ai bidoni, sui tettucci delle automobili, altre portate via dalla corrente, i primi riscatti, ma anche i primi due deceduti che, nelle ore successive, diventeranno trenta per aumentare progressivamente nei giorni a seguire. Arrivano anche le prime immagini aeree e lasciano senza parole: tutta la parte sud di Valencia è stata colpita dall’alluvione, interi quartieri sono devastati dall’acqua, i danni sono ancora incalcolabili e anche i dispersi.
Sono state istituite delle linee telefoniche per chiedere aiuto, ma molti denunciano che non funzionano. Tante famiglie sono rimaste senza casa, senza auto, dormono dentro i centri commerciali, i magazzini, le università, gli hotel – ovunque sia stata possibile allestire una forma di prima accoglienza. Gli anziani della Casa di cura di Sedaví sono immobili, nelle loro sedie a rotelle, immersi fino alla vita. L’impeto dell’acqua ha portato via per sempre un gruppo di persone che si erano rifugiate su un bidone. Un uomo riprende un tornado dal proprio balcone: la situazione sembra essere incontrollabile. Intere zone restano isolate e senza elettricità, i cellulari sono ormai scarichi e tanti non possono più dare loro notizie. Le ricerche proseguono incessanti ma le previsioni sembrano essere sempre più funeste.
L’incubo non è finito
Una donna si è appartata al telefono: inizia a urlare e a piangere. Un poliziotto si avvicina alla vettura davanti alla mia e grida di aver appena recuperato il corpo senza vita di un suo collega – il clima che si respira è angosciante. Il 31 ottobre vedo le persone camminare in un lungo corteo silenzioso: è un silenzio insolito per la città di Valencia. Alcuni portano con sé pale e attrezzi per scavare nel fango, altri hanno sacchetti con cibo e beni di prima necessità, altri ancora recano mazzi di fiori – la motivazione è inequivocabile.
È il 1° novembre e in alcune zone, dopo tre giorni, non è ancora arrivato nessuno: gli abitanti sono senz’acqua, cibo, elettricità. Dov’è il sostegno del Governo? Il Presidente della Comunità Valenciana, Carlos Mazón, invita i cittadini in maniera perentoria a non muoversi da casa se non per necessità urgenti. Tutti i privati non devono andare nelle zone colpite né in automobile né a piedi. Allo stesso tempo, attraverso i social, le persone in difficoltà e i sindaci dei Comuni colpiti chiedono aiuto e denunciano l’assenza delle istituzioni. Tra i commenti al video di Mazón si legge: “Ci proibisci anche di aiutare? Pensavi che restassimo con le mani in mano mentre lasciavi che la gente patisse la fame, patisse la sete, patisse il freddo e passasse la notte senza poter dormire? Pensi che il popolo abbandoni il popolo? Non ti sbagliare, siamo valenciani” (1). E infatti, il giorno seguente il popolo invade le strade in una lunga marcia verso le zone più colpite, portando con sé alimenti, vestiti, prodotti per bambini, saponi, medicinali, cibo per cani e gatti, ma anche forza bruta: “Meno giacchette e più pala in mano”(2), denunciano.
Il giorno stesso, il Comune di Valencia, data la grande quantità di persone che, attraverso lunghi cortei, recano aiuti di ogni genere a chi è stato colpito dall’alluvione, decide di convocare i volontari la mattina del 2 novembre presso la Città delle Arti e delle Scienze. Si presentano circa in 10 mila, ma durante il giorno molti testimoni riportano che non hanno potuto fornire nessun aiuto. Alcuni gruppi di autobus che avrebbero dovuto accompagnare i volontari nelle zone colpite non sono arrivati a destinazione; altri non sono stati fatti entrare nei paesi dalla Guardia Civile; altri ancora si sono recati presso i Centri commerciali, dove le persone si sono rifiutate di scendere dall’autobus non volendo pulire i negozi bensì aiutare chi si trovava in difficoltà. Alcuni soccorritori sono stati allontanati da Valencia e lasciati ad aspettare indicazioni di ora in ora, fino a che sono stati riportati indietro. Una manovra che sembra aver volutamente allontanato le persone dai luoghi più colpiti.
La sera stessa, il 2 novembre, il Consigliere Martínez Mus annuncia che l’indomani non sarà permesso ai volontari di accedere ai comuni particolarmente colpiti dalla Dana, ovvero: Aldaia, Alaquàs, Picanya, Sedaví, Albal, Beniparrell, Paiporta, Benetússer, Alfafar, Massanasa e Catarroja. Tra i commenti sui social è evidente che i cittadini non hanno nessuna intenzione di fare marcia indietro.
La solidarietà rende gli individui difficilmente controllabili (3)
La mattina di domenica 3 novembre i giornali riportano che alla Città delle Arti e delle Scienze si sono presentati solo pochi volontari – una delle tante informazioni manipolatorie. Le persone che si erano presentate il giorno precedente erano rimaste deluse e si erano sentite truffate per l’assoluta mancanza di organizzazione che non aveva loro permesso di essere d’aiuto; inoltre, la sera precedente avevano annunciato che non avrebbero lasciato passare nessuno ma, come dice lo slogan di questi giorni: “Solo il popolo salva il popolo”(4). Dunque, la domenica, tra le macchine ancora accatastate una sull’altra e i rifiuti accumulati fuori dalle case, il popolo è tornato a organizzarsi tramite iniziative private cercando di coordinarsi in maniera autonoma. Ci tengo a sottolineare la forte presenza dei civili perché è direttamente proporzionale all’assenza delle istituzioni. Polizia, pompieri e Guardia civile hanno lavorato senza sosta ma sono oggettivamente insufficienti per liberare le zone da vetture e rifiuti, drenare l’acqua, spalare il fango, rimuovere i cadaveri, portare aiuti alimentari e sanitari alle persone colpite oltre che ripristinare la viabilità. Il giorno successivo all’alluvione, l’unità dei Pompieri della Cataluña era partita verso Valencia ma, a metà strada, era dovuta tornare indietro: Mazón aveva comunicato di non volere il loro aiuto. Lo stesso giorno il Presidente della Comunità ringraziava per la collaborazione la Comunità di Madrid, la Regione di Murcia, la Guardia Civile di Aragón e l’Andalucía, ovvero precisamente le comunità autonome in cui governa il suo stesso partito, cioè il Partido Popular (PP). Questo è il primo segnale di una gestione dell’emergenza condizionata dall’ideologia politica. Mazón, infatti, evita di cedere il comando al Governo centrale e, cinque giorni dopo la catastrofe, annuncia di aver creato cinque gruppi per far fronte alla crisi: sanità, infrastrutture, servizi sociali, lavoro e impresa e, l’ultimo, un gruppo di lavoro interno. A questi chiede che si incorporino sette ministri. Conclude la conferenza stampa senza dare i dati sui deceduti e i dispersi e non permette ai giornalisti di fare domande. Persino Bruno Retailleau, Ministero degli Interni francese, aveva offerto a Valencia 250 pompieri specializzati e dotati del materiale necessario già pronti a partire, ma anche questi aiuti sono stati rifiutati.
Facciamo un passo indietro per capire alcune scelte politiche
Una volta eletto, ormai un anno fa, Mazón ha deciso di smantellare l’Unità valenciana di emergenza – un’unità operativa di supporto voluta dal precedente governo di Ximo Puig – ritenendola una spesa inutile e investendo, al contrario, i fondi pubblici in festeggiamenti taurini. Forse l’eliminazione di questo organismo è stato il primo di una serie di errori. Aemet aveva avvisato dell’arrivo della Dana una settimana prima dell’alluvione. Come anticipato, l’allerta rossa era stata comunicata alla Comunità valenciana la mattina del 29 come rischio elevato di inondazioni. A mezzogiorno, la Confederazione idrografica del Tajo mandava un secondo avviso, ma Mazón scriveva un tweet, in seguito cancellato, dove affermava che tutto era sotto controllo…
La pioggia diminuiva alle 18.00 del 29 novembre, ma poco dopo esondava il fiume Magro; alle 19.00 si annunciavano i primi dispersi; alle 19.30 cedeva – sotto l’impeto dell’acqua – il ponte di Picaña. Poco dopo le 20.00 arrivava l’allerta della protezione civile che invitava i cittadini a restare a casa a causa delle forti piogge. Troppo tardi.
Mazón colpevolizza il Governo centrale, il quale ribatte che sono le Comunità ad avere competenza esclusiva per attivare i protocolli della protezione civile. C’è di più. La Generalità valenciana mandava a casa i propri dipendenti alle 14.00 di quel martedì, proprio a causa dell’alto rischio a cui andava incontro la popolazione – ancora ignara.
Domenica 3 novembre: la fiera delle vanità
Carlos Mazón, insieme a Pedro Sánchez e ai reali Felipe e Letizia, entrano a Paiporta, una delle aree maggiormente colpite dalla Dana, dove i cittadini li cacciano a suon di insulti, tirando loro contro fango e oggetti. Una visita che ha interrotto lavori urgenti in zone ove ci sono ancora garage inondati d’acqua e cadaveri che non sono stati portati via: “Non era il luogo né il momento per la visita dei reali. Né del presidente della Generalità, né di nessun altro”(5), afferma il Direttore Ignacio Escolar su https://elDiario.es. Un evento, questo, che viene strumentalizzato dalla destra di Mazón: a Paiporta erano infatti presenti gruppi di estrema destra i quali, approfittando dell’indignazione dei cittadini per la tragedia, hanno diretto gli attacchi contro il Governo.
Era prevedibile che i rappresentanti istituzionali non fossero bene accolti nemmeno dagli abitanti di Paiporta, data la pessima gestione dell’emergenza, ma in molti individuano come primo responsabile proprio Mazón. Altrettanta rabbia, però, l’hanno suscitata le parole di Sánchez: “Se hanno bisogno di aiuto, che lo chiedano” – ‘giustificate’ dal fatto che l’invio di risorse umane e materiali dovrebbe essere richiesto dalla Generalità valenciana. Secondo la legge spagnola, infatti, il livello di emergenza numero 2 è controllato con risorse proprie della Comunità autonoma, potendo questa chiedere al Governo ulteriore supporto. In questo momento, dunque, è Mazón che ha il totale controllo e che decide di non alzare il livello di emergenza al numero 3, dove la gestione dell’emergenza passa a livello nazionale e il Governo centrale può, quindi, assumere la direzione diretta e organizzare il supporto adeguato. A fronte di questa negligenza del presidente della Comunità valenciana cosa poteva fare il Governo? Sánchez avrebbe potuto decretare lo stato di allarme in modo da togliere le competenze alla Generalità valenciana e prendere direttamente il controllo – ma non lo fa. Mentre i cittadini muoiono e sono in mezzo al fango, la classe politica, invece di essere pratica e tempestiva, gioca a scaricare le proprie responsabilità.
Nei Comuni colpiti in molti stanno aspettando che si recuperino i corpi senza vita dei loro cari, ancora dentro casa. Sono tornate soltanto dopo cinque giorni acqua ed elettricità a Catarroja, ci sono ancora persone bloccate senza poter uscire; io stessa dò un paio di scarpe a una coppia di anziani passandogliele dalla finestra: è difficile guardare in faccia tanta distruzione. Le persone chiedono sapone, prodotti per pulire, carta igienica, guanti, scarpe e cibo. Qualcuno vorrebbe un succo o uno yogurt per far prendere le medicine alle persone anziane, una donna è rimasta senza niente e chiede dei pantaloni. Le speranze di ritrovare vivi i dispersi sono sempre meno. I familiari delle vittime vorrebbero consegnare le fotografie delle persone scomparse agli ospedali per capire se si trovano lì – magari incoscienti e, quindi, incapaci di comunicare – ma non è possibile.
Per le strade è l’odore a cambiare
Arriva la prima comunicazione, da parte della sanità, che vi è il rischio di contrarre infezioni e si invitano i volontari a utilizzare mascherina e guanti. Siamo a lunedì 4 novembre. I mezzi pesanti sono arrivati soltanto ieri a rimuovere le prime auto. Da tre giorni non si hanno aggiornamenti in merito ai deceduti, ma i cittadini vogliono sapere. Un intero Centro commerciale, quello del Bonaire, si è trasformato in un cimitero – secondo le prime notizie, non ufficiali, ci sono almeno un migliaio di morti che avrebbero potuto essere ancora vivi se solo fossero stati avvisati per tempo. Un testimone racconta di aver ricevuto l’allarme della protezione civile mentre era bloccato sopra una pianta e vedeva i cadaveri passare sotto di sé.
Durante la giornata, la Polizia Nazionale conferma che, nella trentina di vetture ispezionate, che si trovavano nel parcheggio del Centro commerciale Bonaire, non si sono trovati morti – è una notizia a cui nessuno crede, per quanto vorrebbe. Ci sono già le testimonianze di vicini e sommozzatori che è pieno di cadaveri e che non vogliono più scendere lì sotto, in quella sorta di mare sotterraneo formato da 200 milioni di litri d’acqua. Lo stesso è avvenuto per il sottopasso di Alfafar, dove hanno portato via 40 corpi, ma secondo la versione ufficiale i deceduti sono ancora pari a zero. I 1900 dispersi, però, non possono essere evaporati nel nulla. I corpi potrebbero essere finiti in mare, nel vicino lago di Albufera o chissà dove, ma non nel Centro commerciale Bonaire (sic!) – dove ci sono 700 ticket di auto in entrata e nessuno in uscita, lì no perché significherebbe che le autorità non sono intervenute per tempo e la narrazione ufficiale non può essere questa.
Anche oggi è vietato l’accesso alle vetture dei privati nelle zone colpite. Torniamo lo stesso, ci mandano via, ma alla fine c’è sempre un poliziotto che cede e ci lascia passare. La vita delle famiglie si è riversata sulle strade: ci sono i quaderni dei bambini, i giocattoli, mobili, vestiti. Alfafar è leggermente più sgombera, c’è meno fango nelle vie principali ma le auto da portare via sono sempre tante, accatastate, piene di erba portata dall’acqua, rotte e infangate: lo stesso scenario ovunque. Un uomo anziano si mette a piangere perché non ha un mocio per pulire casa e far stare tranquilla sua moglie; un ragazzo cerca da mangiare per i suoi pappagallini; una donna non può uscire di casa perché ha la madre con la demenza senile e si prende cura della persona inferma: ci cala dalla terrazza un sacchetto appeso a una corda e le passiamo beni di prima necessità. «Quando scende la notte chiudo la finestra e poi non ho più il coraggio di guardare fuori», commenta una signora.
La politica mostra il suo vero volto
In seguito alla riunione del Comitato di Crisi, presieduta da Felipe VI, il capo generale dell’Unità Militare di Emergenza (UME), Francisco Javier Marcos, denuncia che chi dirige l’emergenza è la Comunità autonoma e che senza il suo permesso non possono, per legge, entrare nel territorio per aiutare la popolazione. Di fronte a un’emergenza di questa portata, quanto è legittimo attenersi a una legge se il fine è quello di salvare vite?
Alla fine, i militari sono stati fatti entrare: uno di loro pubblica un video sui social: “Sono 24 ore che siamo a Valencia senza fare assolutamente niente. Ci mandano in zone dove non c’è niente da fare, potremmo togliere i veicoli dalle strade, spostare i rifiuti in una discarica, spalare il fango, dare appoggio psicologico alle persone e, invece, ci utilizzano per interessi politici strumentalizzando la nostra presenza qui”. Lo stesso militare decide di andare ad aiutare le persone da civile, ancora una volta è il popolo a prendere iniziativa. A fargli eco un famoso meccanico molto conosciuto sui social, Ángel Gaitán, arrivato a Torrent da Madrid con macchine scavatrici, generatori, lampioni, tonnellate di alimenti, centinaia di persone: “ci hanno ingannati”, racconta, “ci chiedono soltanto quali sono i macchinari più costosi che abbiamo portato, vogliono gettare via i vestiti, non hanno fatto entrare due camion pieni di medicine, ci sono 2.000 hamburger da buttare perché ci hanno lasciato in attesa senza che nessuno sapesse dove dovevamo andare. Non ci sono autorità istituzionali. Ci vogliono truffare, tutta la Spagna lo deve sapere: mi rifiuto di consegnare gli alimenti alla loro nave”. Domani, promette, caricheranno i loro furgoni per raggiungere le zone colpite perché gli aiuti che hanno portato sono per il popolo, e non perché i Comuni ci speculino – conclude. La giornata, nel frattempo, termina con Mazón che chiede al Governo un pacchetto di aiuti calcolato in 31 milioni di euro, il livello di emergenza è ancora il 2 (sic!).
Martedì 5 novembre: è trascorsa un’intera settimana. Nella zona sud di Valencia non è cambiato molto. Fortunatamente Ángel Gaitán ha iniziato a distribuire aiuti di ogni tipo e a installare i lampioni solari per fornire l’illuminazione notturna. Il Ministro dei trasporti Óscar Puente annuncia che entro un mese dovrebbero recuperare quasi tutte le strade distrutte. Il Tribunale Superiore della Giustizia della Comunità valenciana dichiara che le persone scomparse sono 89 e vengono aperti tre nuovi uffici per denunciare ulteriori eventuali scomparsi. Non è chiaro come da 1900 si sia passati a 89 dispersi, senza aver trovato altri cadaveri, se non uno a Catarroja. Intanto, le persone colpite dalla Dana possono richiedere 6.000 euro ad appartamento – ma non è così semplice. Per ottenere l’aiuto economico devono fare richiesta di persona oppure online. In molte zone non è ancora stata ripristinata la copertura internet e la via presenziale, forse, è ancora meno percorribile: giusto oggi una signora, attraverso la porta di casa, mi ha chiesto se potevo chiamare un carpentiere perché era bloccata all’interno dell’abitazione e, come lei, molti altri. Ma gli ostacoli non sono finiti. Ovviamente per la richiesta occorre presentare una serie di documenti, il più banale è quello di identità, che in molti hanno perso – trascinato via dall’acqua.
Domani è un altro giorno?
Siamo a mercoledì 6 novembre, hanno drenato dall’acqua il Centro commerciale MN4 di Alfafar e, secondo la dichiarazione ufficiale dei pompieri, nuovamente, non ci sono cadaveri. ElDiario pubblica un articolo in cui scrive che il giorno della Dana, Mazón ha lasciato il Palazzo della Generalità alle 14.30 per un pranzo privato. Quando il Centro di Coordinazione Operativa si è riunito alle 17.00, per gestire i problemi causati dall’inondazione, lui non si collegava nemmeno da remoto. Si presentava soltanto due ore e mezzo più tardi, alle 19.30 circa, quando le immagini degli effetti devastanti della Dana erano già state trasmesse in tv ed erano di dominio pubblico senza che ci fosse nessun interesse da parte del Presidente a gestire l’emergenza in atto. Inoltre, quando la mattina di sabato 2 novembre Pedro Sánchez annunciava una serie di misure economiche, logistiche e politiche per combattere il disastro, pronunciando la famigerata frase “Se la Generalità ha bisogno di più risorse che le chieda”, e che ora appare come una provocazione all’inattività del leader politico di destra, l’assessore alla Giustizia, Salomé Pradas, convocava la prima riunione giornaliera del Centro di coordinamento operativo integrato (Cecopi), a cui avrebbero partecipato una ventina di istituzioni – dai consiglieri colpiti alla delegazione del Governo, oltre alle squadre di emergenza e alle forze e ai corpi di sicurezza dello Stato. Sarebbero stati tutti pronti ad agire se non fosse stato che la riunione era rimandata dal Presidente della Generalità valenciana senza alcun motivo.
È stato allora che Mazón si è rinchiuso con i suoi più stretti collaboratori lasciando in attesa i tecnici dell’emergenza, la polizia, la Guardia Civile, i vigili del fuoco, lo stesso Governo, prima di comparire in conferenza stampa – solo otto ore più tardi – senza dare ai giornalisti la possibilità di fare domande e senza fornire aggiornamenti sui dati della catastrofe. Oggi, il pacchetto di aiuti a persone, aziende e Comuni stanziato da Sánchez ammonta a 10 miliardi di euro.
Nel mio piccolo, riesco a mettermi in contatto con una persona che vive a Paiporta, la zona maggiormente colpita dalla Dana. Mi dice che nel Centro di raccolta mancano candeggina, acqua ossigenata, sapone per la lavatrice e per i piatti e lettiera per gatti. Sto collaborando a una raccolta fondi organizzata da un gruppo di volontari (https://www.gofundme.com/f/dona-a-los-afectados-por-el-dana), possiamo andare a comprare ciò che ci viene chiesto e portarlo direttamente, fornendo un aiuto mirato. Nel frattempo anche gli altri gruppi auto-organizzati, i contadini con i loro trattori, le associazioni e le tantissime persone che si sono mobilitate per venire fin qui, continuano a svolgere un lavoro immane. Le vetture possono entrare già prima delle otto di mattina: dovremo lasciare l’automobile al punto di raccolta e farci dare un carrello con il quale distribuire i prodotti nella zona più centrale del paese – e così facciamo il giorno seguente.
Mentre si continua a lottare, le persone tornano protagoniste anche politicamente
Paiporta, giovedì 7 novembre. Siamo nella zona dove, purtroppo, è deceduto il maggior numero di persone: la situazione è perfino peggiore di quella di sempre. Quando arriviamo al punto di raccolta scarichiamo tutto ciò che abbiamo acquistato: le persone arrivano e prendono subito il sapone per la lavatrice e la sabbia per i gatti. Non c’è nessuno a coordinare gli aiuti o a distribuire i prodotti; chiunque può avvicinarsi e prendere ciò che vuole – il che, visto il contesto, non assicura la gestione migliore in quanto non mancano episodi di furto e sciacallaggio.
Le strade sono piene di detriti, foriamo un pneumatico dell’auto ma, fortunatamente, a pochi chilometri c’è un’officina aperta – una delle poche. Riparata la vettura andiamo in giro per un nuovo carico di prodotti da distribuire l’indomani. Non è facile muoversi, i sensi di marcia non esistono più, tante strade sono chiuse, la polizia ferma ogni singola macchina.
Palpabile è il grandissimo contrasto tra il centro città e la zona sud. Le attività culturali sono state sospese e gli spazi convertiti in Centri di raccolta. L’università di Valencia ha lanciato una campagna per restaurare gli album fotografici delle famiglie colpite dalla Dana. I rumori che si sentono in questi giorni sono sirene, elicotteri in volo, pompe idriche al lavoro, pianti, e poi passi, passi a non finire di tantissime persone che, dal centro di Valencia, raggiungono a piedi i paesini limitrofi. Ma c’è anche chi arriva da altre città spagnole o da altri Paesi. È questa grandissima solidarietà che dà forza alla città. La solidarietà è stata l’unica a essere all’altezza della situazione: sono i cittadini, infatti, quelli che non hanno dubitato un secondo se andare, o meno, ad aiutare chi si trovava in difficoltà.
Sabato 9 novembre, si terrà a Valencia una manifestazione per chiedere le dimissioni di Carlos Mazón. Nel mirino anche il Ministro dell’Istruzione, che ha lasciato aperte le scuole quando già mancava la corrente mettendo in pericolo insegnanti e bambini, così come quelle aziende che hanno costretto i propri dipendenti a presentarsi sul luogo di lavoro quando le condizioni erano già critiche – tra queste, anche l’Istituto Valenciano di Sicurezza Pubblica (Ivaspe).
(1) “També vas a prohibir-nos ajudar? T’has cregut que anem a quedar-nos de braços creuats mentre tu deixes que la gent passe fam, passe sed, passe freds i passe nits on non dormir? Creus que el poble abandona el poble? No t’equivoques, som valencians”
(2) “Menos chalecos y más pala en mano”
(3) Noam Chomsky. L’intera frase è: “La solidarietà rende gli individui difficilmente controllabili e impedisce che diventino un soggetto passivo nelle mani dei privati”
(4) “Solo el pueblo salva al pueblo”
(5) “No era el lugar ni el momento para que fuerano los reyes. Ni el presidente del Gobierno. Ni el presidente de la Generalitat, ni ningún otro”
venerdì, 8 novembre 2024
In copertina e nel pezzo: Foto di Noemi Neri (tutti i diritti riservati)