La prossima tappa della rivoluzione nell’articolo di Diana Itzu Gutiérrez Luna
di La Redazione di InTheNet (traduzione di Simona Maria Frigerio)
A poche settimane dall’insediamento della prima Presidente donna del Messico, Claudia Sheinbaum, e alla vigilia di quello che si annuncia come un manifesto programmatico dell’EZLN che dovrebbe delineare uno sviluppo eco-sostenibile per i prossimi 120 anni (o 7 generazioni), denominato Lo común y la no propiedad, traduciamo ampi stralci dell’articolo pubblicato recentemente da Diana Luna come invito alla costruzione di una visione comune per tutte le etnie e le anime dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (1).
Luna ricorda gli ultimi tre decenni “di lotta del movimento per la vita, la democrazia radicale, la libertà e la giustizia sociale” dell’EZLN e il tema della “terra recuperata”, ossia sottratta a progetti di sfruttamento non eco-compatibili né rispettosi della cultura e della tradizione dei popoli che abitano il Chiapas. Luna sottolinea altresì “il ruolo delle donne zapatiste”, le quali “partecipano attivamente alle decisioni tese al rafforzamento dell’organizzazione comunitaria: la loro capacità di trasformazione ha permesso di rimuovere le pratiche patriarcali e dar credito a tutti suoi cittadini”. E qui ci domandiamo quando questo accadrà realmente in Occidente, ove le poche donne che arrivano al potere sembra vi riescano solo adottando modelli, valori e comportamenti maschili; mentre nelle case italiane, ogni tre giorni, una donna continua a essere vittima di femminicidio.
Luna ricorda che il Chiapas, “culla di culture millenarie, è stato lo scenario di guerra” tra le popolazioni autoctone, che rivendicano l’autonomia, e il Governo centrale tra il 1994 e il 2024, in quanto quest’ultimo continua a pretendere di riappropriarsi delle “terre recuperate” durante l’insurrezione armata del ʻ94. Soprattutto negli ultimi anni il Chiapas si è “trasformato in uno scenario complesso e impegnativo, dove la violenza delinquenziale, la militarizzazione e i mega progetti minacciano la vita della popolazione in generale, ovvero dei suoi popoli nativi e delle comunità”. Non a caso, si segnala “la presenza di oltre 120 caserme della Guardia Nazionale, ossia della maggiore presenza militare nel Paese”, un Paese che – ricordiamo- avrebbe ben altri problemi da risolvere, ovvero quello della delinquenza endemica che lega il potere politico a quello dei narcotrafficanti, lo sfruttamento delle lavoratrici nelle maquiladoras e la scomparsa di migliaia di donne, molte delle quali sono, poi, ritrovate morte (nel 2022 erano 3.754, di cui solo 947 casi sono stati definiti come femminicidi).
Tra i mega progetti considerati devastanti dalla comunità zapatista il Tren Maya e il Tren Interoceánico, il primo che si sta sviluppando a nord-est e il secondo a sud-est; mentre alcuni programmi assistenziali governativi quali “sembrando vida” sono accusati di “funzionare come dispositivi di controllo e azzeramento culturale, erodendo l’identità indigena e contadina e l’autosostentamento proprio delle popolazioni native”.
A questa situazione, già di per sé complessa, vanno aggiunti i problemi derivanti dalla “criminalità, gli assassini, l’assedio alla vita quotidiana, la vendita di armi da fuoco, il riciclaggio di denaro, i trasferimenti forzati e la scomparsa di individui dovuta alle dispute territoriali tra i Cartelli” – quali quelli di Sinaloa e Jalisco Nueva Generación. Luna ricorda ancora “l’alleanza e la corruzione dei funzionari del Governo, di tutti i partiti e a ogni livello, con le organizzazioni criminali che rende ancora più grave la guerra in atto, seminando un clima di terrore e incertezza”. Tutto ciò è già stato denunciato anche dalle pagine di Inthenet (2). A ciò si aggiunge il lungo elenco dei detenuti che potremmo definire politici, ossia degli attivisti zapatisti.
Anche il Governo dell’ex Presidente Andrés Manuel López Obrador, secondo gli zapatisti è una “azienda/corporation del capitalismo neoliberale selvaggio, a disposizione del padrone rappresentato dal potere delle organizzazioni criminali”. In particolare, AMLO avrebbe permesso una transizione da “una dittatura di partito (PRI) a una dittatura del capitale capeggiata dal crimine organizzato, e con capi (uomini e donne) che, dietro lo slogan ‘prima i poveri’, occultano uno scenario di controllo e dominazione dei territori a opera di una economia delinquenziale”.
Dopo tre decadi di lotta, Luna puntualizza che “non si tratta unicamente di ripensare la questione agraria” quanto di “ripensare un approccio differente a partire dalle proposte agrarie e di autonomia delle diverse organizzazioni dei nativi”. E ancora: “Tierra y libertad”, e “Meglio morire in piedi che vivere in ginocchio” non sono semplici slogan ripresi dal periodo rivoluzionario (il lontano 1910), ma sarebbero per Luna “il soffio vitale per materializzare” il sogno. Anche perché le terre riconquistate dall’EZLN sono pari a 250mila ettari, precedentemente nelle mani dei latifondisti. “30 anni di lotta ci ricordano che la rivoluzione non è un destino, bensì un cammino che si fa calpestando suolo degno e seminando, giorno dopo giorno, con l’umiltà e la determinazione di coloro che non vogliono vivere in ginocchio”.
Altro argomento portante è quello del ruolo della donna che non solamente, nelle comunità del Chiapas, si sarebbe finalmente liberata da un passato patriarcale (a volte proprio delle stesse tradizioni locali), ma che ha il diritto di prendere parte alle decisioni delle comunità – il che avrebbe portato al “rispetto per la Madre Terra quale base materiale, soggettiva e spirituale che si annida nel cuore dei nostri popoli. Tale vincolo sacro con la terra è il fondamento sul quale si costruiscono le autonomie zapatiste, intese non solo come progetto politico, bensì come forma di vita in risonanza con la natura e i cicli dell’esistenza”.
La “tierra recuperada” non va considerata quindi come “una proprietà”, bensì una “non proprietà. Si cura la terra per la vita, la libertà, intendendola non come possesso ma come humus che ospita e accoglie un legame di affetto, rispetto e, di conseguenza, di responsabilità verso la Madre Terra. Tale humus è radicato nella genealogia e nella memoria viva dei popoli, e garantisce la continuità del ‘collettivo e del comune’ a lungo termine”.
Sono quindi principi imprescindibili: l’autogoverno e il lavoro collettivo, l’autosostentamento (pensiamo a tutti quei Paesi poverissimi perché i loro terreni sono quasi tutti nelle mani di Corporation straniere che li adibiscono a latifondi per le monocolture), il rifiuto dello sfruttamento, l’autodifesa priva “del culto per la violenza e per le guerre”, un modo di fare politica comunitaria in base a valori umani, etici ed ecologici.
La politica della dignità è l’alternativa a quella che Luna definisce “un mondo ove la politica è stata ridotta alla lotta per il potere e il controllo. I popoli nativi e le donne ci ricordano che fare politica, prima di tutto, è un atto politico di amore e di compromesso con la vita in tutte le sue forme”. Ecco perché contano la “relazione con la terra e il territorio, non come proprietà” ma come rispetto e responsabilità nei confronti della “Madre Terra”; il recupero delle “basi materiali e soggettive per costruire e difendere la dignità collettiva come materia sensibile e/o etico-politica”; Una politica “che passi dal cuore, recuperando le esperienze dei popoli nativi e le espressioni organizzative autonome dei collettivi femminili”; e la capacità di apprendere anche attraverso “gli errori”.
La “proposta zapatista attuale ci ricorda che le forme vere di ‘fare, entrare e restare in una rivoluzione’ non non risiedono nelle strutture del potere” quanto nella “capacità dei popoli di organizzarsi” per affrontare “ le sfide di un sistema globale e criminale che genera fame, spoglie, disdegno e violenza”. In queste affermazioni Luna e l’EZLN sembra avvicinarsi molto ad alcune dichiarazioni dei popoli arabi contro l’aggressione israeliana: al di là dell’opposizione o meno dei loro leader, sono i popoli arabi che continueranno ad affiancare i palestinesi nella loro lotta per il diritto all’autodeterminazione e a un proprio Stato indipendente e sovrano.
Tra le domande che ora pone Luna, una ci pare di importanza capitale: “come integrare la dimensione spirituale e politica della dignità, riconoscendo la nostra interconnessione con la memoria viva delle nostre genealogie e i caduti dei processi rivoluzionari?” E ancora, “in un mondo dove il capitalismo e il consumismo hanno generato il collasso ecologico, la disumanizzazione e ci hanno disconnesso e sradicato dalle nostre radici e dalla Madre Terra, le proposte zapatiste sono un faro di speranza, l’esempio zapatista ci aiuta a riconnetterci con il sapere ancestrale dei nostri popoli, a difendere la vita sul lungo periodo, e in tutte le sue forme, e a tessere, giorno dopo giorno, la dignità, la giustizia e il rispetto della Madre Terra” quali fili che ci uniscono in quanto esseri umani.
Luna ci invita a guardare in faccia la realtà dolorosa, e a “resistere alla tormenta”. Nei prossimi mesi l’ELZN seguiterà a porsi domande perché “mondi nuovi fioriscano, nell’azione e nella coscienza rivoluzionaria”.
(1) L’articolo in lingua originale e per intero: https://contrahegemoniaweb.com.ar/2024/06/17/ezln-tres-decadas-de-sabiduria-y-resistencia-una-nueva-etapa/
(2) https://www.inthenet.eu/2023/10/13/latest-news-dal-chiapas/
venerdì, 21 novembre 2024
In copertina: Foto di Spinoza Spinoza; nel pezzo: foto di David De la Rosa, entrambe da Pixabay