Film-maker, scrittore, musicista e reporter: i tanti volti di un uomo coerente
di Simona Maria Frigerio
Stanno accadendo fatti tanto inquietanti quanto inspiegabili agli occhi del grande pubblico: i meccanismi che hanno regolato il potere egemonico statunitense e occidentale cominciano a scricchiolare quanto le economie del Vecchio Continente.
Il multipolarismo e il potere crescente dei BRICS+; la decolonizzazione dell’Africa; i conflitti armati sempre più vicini e cruenti, che rischiano di trasformarsi in una Terza guerra mondiale; il genocidio del popolo palestinese e l’allargamento dei combattimenti al Libano e, a breve, forse, all’Iran; l’intervento della Russia a favore dell’autodeterminazione del popolo del Donbass, che sta costando ancora una volta un grande sacrificio al Paese che ci ha liberati dal nazi-fascismo; ma anche la Libia, dove il generale Haftar sta conquistando posizioni per chiudere definitivamente la partita con le milizie di Tripoli; il voto del PD all’Europarlamento a favore dei missili per colpire in profondità la Russia – che, ovviamente, sarebbero forniti e guidati direttamente dalla NATO, incendiando di conseguenza l’Europa; le novità antagoniste rappresentate da Sahra Wagenknecht in Germania, Jean-Luc Mélenchon in Francia e Jeremy Corbyn nel Regno Unito – che, però, non esercitano ancora alcun vero potere nei rispettivi Paesi; l’Onu sempre più silenzioso e impotente; tutto ciò e molto altro porta gli ultimi elettori di sinistra italiani a brancolare in cerca del filo di una matassa, della quale hanno scordato da tempo l’esistenza.
Per affrontare non tutti ma alcuni di questi temi, abbiamo contattato Michelangelo Severgnini, sia perché ha vissuto a lungo in Libia e conosce bene il Paese, sia in quanto reduce da un viaggio di lavoro a Berlino e a Istanbul, dove ha tastato la situazione reale di due pedine dello scacchiere geo-strategico occidentale di non poco conto – la Germania in crisi di identità ed economica e la Turchia, altrettanto in crisi, che però gioca un ruolo fondamentale sia in Siria sia in Libia.
Ma la prima domanda, a pochi giorni dal voto all’Europarlamento – che ci avvicina sempre più a un conflitto diretto e potenzialmente nucleare con la Russia – è se l’ha stupito il voto di Carola Rackete, la Capitana salita all’‘onore delle cronache’, dei media e della sinistra nostrani, in difesa dei migranti, la quale (appartenente alla Die Linke, il cosiddetto partito di sinistra tedesco, abbandonato non a caso da Wagenknecht in quanto alla deriva quanto il PD) ha votato a favore di quei missili contro la Russia e di quelle sanzioni contro i Paesi che l’Europa considera ‘alleati’ di Putin che non sono certamente un segnale di distensione.
Michelangelo Severgnini: «Il suo voto non mi ha stupito per niente – nel senso che le scelte, i comportamenti e la retorica sul campo utilizzata dalle Ong, che di solito è accolta come ‘umanista’, in realtà ha già dimostrato, in Libia, di essere l’onda lunga delle cosiddette primavere arabe. Dopodiché precisiamo che, in Libia, non vi è stata alcuna presunta rivoluzione ma un’aggressione militare (1). Quando le Ong si disinteressano di quanto accade in Libia parlando solamente dei migranti e mai dei cittadini libici che, in Tripolitania, sono di fatto ostaggio delle milizie, è chiaro che stanno agendo per spostare l’attenzione del pubblico e facilitare quanto sta facendo la Nato, tuttora in Libia. Io, in questi anni, ho cercato di coinvolgere le organizzazioni non governative su questo tipo di ragionamento, visto che andrebbe a vantaggio dei migranti se i centri di detenzione in Libia fossero smantellati. Ma non c’è stato verso. La loro risposta è sempre: “Altrimenti, arriva Haftar”, dimenticando che lui è al comando di un esercito, voluto da un Parlamento votato dai libici. Cosa fanno realmente le Ong? A me sembra politica internazionale a favore della Nato. Quello penso sia il loro alveo naturale e i cosiddetti ‘buoni sentimenti’ servono solo per offuscare la realtà nella sua concretezza. Ecco perché Rackete, che è una tra le esponenti più iconiche di questo movimento, non a caso con il cuore a Berlino, di fronte alla situazione in Donbass si sente di appartenere a quel mondo che si regge soltanto sull’opposizione a Putin. Come vedo la situazione in Libia da anni, non mi stupisce che la rabbia di queste persone nei confronti di un ‘male assoluto’ li spinga a votare a favore dell’invio di missili contro il territorio russo (2)».
Entriamo nel merito di quanto sta accadendo in Libia. L’uccisione di Abd al-Rahman al-Milad, ovvero al-Bidja, significa che gli equilibri a Tripoli stanno cambiando e/o che il Governo di Bengasi ha deciso di riunificare a tutti gli effetti la Libia?
M.S.: «Qualcosa sta cambiando ma molto lentamente. Probabilmente tutto è cominciato un paio d’anni fa, quando l’Esercito Nazionale Libico è riuscito a chiudere il confine con il Niger. Perché, nonostante il colpo di Stato militare del 2023 e il tentativo di indipendenza dall’influenza straniera (3), nel Paese resta una sacca con membri dell’Isis o con jihadisti molto forte – gli stessi che hanno scorrazzato anche in Mali e che, di fatto, erano legati alle reti ‘mafiose’ (chiamiamole così), a loro volta collegate con le milizie di Tripoli e la Nato. Ecco perché il fenomeno migratorio è anche un fenomeno militare. Accortosi di questo, Haftar ha sigillato il confine. Quindi, tutti i rifornimenti, non solamente di migranti, che arrivavano dall’Africa Sub-sahariana sono stati bloccati. Di conseguenza, le partenze dalla Tripolitania sono diminuite ma anche la possibilità di arricchirsi sulla pelle dei migranti è diminuita. L’altra considerazione da fare è legata al petrolio. Ossia, due anni fa, quando è stato eletto il nuovo Presidente del NOC (4), le cose hanno iniziato a cambiare dato che Farhat Bengdara ha deciso di portare avanti una politica più equa. Infatti, prima, tutti i profitti restavano a Tripoli, tramite la Banca Centrale; dal suo insediamento, al contrario, le autorità dell’Est hanno potuto cominciare a vendere per proprio conto il petrolio – anche se, spesso, sotto banco. Però questo ha fatto sì che a Tripoli i proventi si dimezzassero e, viceversa, Bengasi e l’esercito nazionale libico vedessero crescere i propri introiti. Questi due fatti hanno tolto il terreno sotto i piedi ai miliziani di Tripoli e aumentato le risorse per le autorità e l’esercito di Bengasi. Infine non va dimenticato il discorso al Parlamento libico del 13 agosto scorso, in cui Bengasi ha messo in discussione gli Accordi di Ginevra, che avevano consentito di congelare il conflitto a fine 2020 (5). Ciò significa che Bengasi intende rimuovere ogni barriera a un nuovo tentativo di conquista armata di Tripoli. Questi fatti hanno sicuramente scatenato il panico nelle milizie. Va infine aggiunto che sono presenti anche mercenari stranieri a Tripoli e, forse non a caso, al-Bidja è stato ucciso davanti all’Accademia navale libica che, di fatto, è una caserma dove sono ospitati i mercenari siriani e i cui responsabili sono turchi. In queste settimane non ho trovato nulla che possa spiegare con certezza il perché di questo omicidio e i suoi esecutori e mandanti, però c’è chi punta il dito contro i servizi segreti legati all’esercito, chi contro membri della Wagner, ma va anche ricordato che le stesse milizie si stanno eliminando a vicenda. Anche perché alcune fazioni cercano un avvicinamento al Governo di Bengasi».
In questo senso, non sarebbe percorribile per il Governo di Bengasi la strada di un’amnistia generale sul modello algerino?
M.S.: «Sì, secondo me si sta arrivando proprio a questo punto. Peraltro proprio a seguito della seduta del Parlamento di Bengasi di agosto, una milizia è entrata nella Banca Centrale di Tripoli e – armi alla mano – ha cacciato il Governatore, Saddik al-Kabir, che deteneva quell’incarico dal 2011 (6), cioè dalla caduta di Gheddafi, e che è fuggito in Turchia. A questo punto i fondi della Banca centrale libica sono congelati e si sta diffondendo il panico dato che non girano più contanti e non c’è più alcuna autorità riconosciuta che possa sbloccare la situazione né possa rispondere, a livello internazionale, del valore della moneta libica. Quindi, le ultime notizie che mi arrivano è che si sta diffondendo il panico perché Tripoli rischia il collasso economico. Ma come se ne esce? Se la sede centrale della Banca nazionale è a Tripoli e la città è in ostaggio delle milizie, l’unica cosa che mi viene in mente è che se l’esasperazione dei cittadini locali arriverà a un punto tale da essere favorevoli a un intervento che sblocchi la situazione, siccome non c’è alcuna milizia sul territorio che possa prendere il potere nelle proprie mani sconfiggendo le altre, forse nelle prossime settimane potrebbe intervenire Haftar. Anche se il punto di domanda resta la reazione della Turchia».
E qui ci prendiamo una pausa. Torneremo la settimana prossima con la seconda parte dell’intervista a Michelangelo Severgnini.
(1) Il 19 marzo 2011 la Francia effettua un attacco aereo diretto contro le forze terrestri di Gheddafi e, qualche ora dopo, navi militari statunitensi e britanniche lanciano missili da crociera Tomahawk contro vari obiettivi considerati strategici, in Libia. Il 25 marzo l’Operazione prende il nome di Unified Protector, a guida NATO – e alla coalizione parteciperà anche l’Italia, nonostante i suoi ottimi rapporti con il regime libico e l’Articolo 11 della nostra Costituzione
(2) A proposito ricordiamo che, come ha spiegato il Presidente Putin, l’Ucraina usa già droni contro il territorio russo e ha più volte cercato di invadere il Paese, riuscendovi a Kursk, dove attualmente i soldati ucraini più preparati stanno cadendo sul campo a migliaia. La Risoluzione dell’Europarlamento, in realtà, invitando gli Stati membri a concedere all’Ucraina l’uso di armi a lunga gittata contro lo Stato russo, è una implicita richiesta ai Paesi membri della Nato di usare i sistemi satellitari e gli operatori dell’Alleanza Atlantica, coinvolgendo l’intera Europa direttamente nel conflitto
(3) Per chi volesse approfondire quanto accade in Sahel: https://www.inthenet.eu/2023/08/11/tanto-va-la-francia-al-lardo/
(4) NOC, ovvero National Oil Corporation o National Oil Company è la Compagnia petrolifera nazionale della Libia
(5) Per approfondire: https://www.osmed.it/2020/10/30/libia-la-fragilita-dellaccordo-di-ginevra/
(6) Da https://www.corriere.it/economia/finanza/24_settembre_23/libia-riserve-congelate-per-84-miliardi-e-banche-alla-paralisi-perche-e-una-bomba-a-tempo-anche-per-i-migranti-31172232-c0bc-4e83-861a-f96d04ecbxlk.shtml: “Quella che vedete qui sopra è la missiva elettronica con la quale un certo Abdel Fattah Ghafar comunica a Swift che il nuovo governatore della banca centrale della Libia è lui. Ha dunque – spiega – la firma sovrana sulle operazioni finanziarie del Paese. Qualche giorno prima il premier di Tripoli Abdulhamid Dbeibah aveva spedito le sue milizie a rimuovere con la forza il governatore in carica dal 2011, Saddik al-Kabir, prendendo in ostaggio parte dello staff nella palazzina bianca e rossa della banca. Ghafar precisa nella lettera che al-Kabir, ora fuggito in Turchia, è destituito e il suo potere di firma è ‘revocato’. La lettera è del 26 agosto scorso, ma da allora rimane senza risposta. Swift tace. Ghafar è in sospeso e con lui lo è tutta la Libia”
venerdì, 4 ottobre 2024
In copertina: Particolare della Locandina che annuncia la proiezione di Una storia antidiplomatica, docu-film di Michelangelo Severgnini