
Esce per Mandragora la storia del cioccolato e lo scontro (e incontro) di civiltà
di La Redazione di InTheNet
Ruby Villarreal (con i contributi di Filippo Camerota e Lorenzo Hofstetter) ci regala un volume – nato dall’esposizione omonima (progettata sempre da lei e da Claudio Chiarusi, Cosimo Frezzolini e Roberto Maltagliati) – che racconta la storia non solamente di un prodotto alimentare bensì ci accompagna in un viaggio che principia con la Piedra del Sol, commissionata da Moctezuma II per la capitale azteca Tenochtitlán (l’attuale Città del Messico) nella seconda metà del Quattrocento e finisce il 12 ottobre 1992, cinquecento anni esatti dopo la ‘scoperta’ delle Americhe, con l’incontro tra l’ultima discendente di Cortés e l’ultimo discendente di Montezuma.
Il volume – pregevole sia dal punto di vista scientifico sia per la ricchezza di immagini e di spunti di approfondimento e curiosità – ripercorre la mostra ma, in certo senso, la travalica diventando un libro dalla vocazione divulgativa su diversi aspetti – culturali, naturalistici, storico-politici ed economici – legati al cacao.
Si inizia con un dovuto inquadramento geografico delle terre della Mesoamerica, per tuffarsi nella mitologia mesoamericana e comprendere chi fosse Quetzalcόatl; ma anche per scoprire a quale meraviglioso uccello appartengono le piume variopinte che ne ricoprivano il corpo, ossia al quetzal – il cui nome, non a caso, apprendiamo che “proviene dal nàhuatl quetzalli, che si traduce come «splendida piuma lucente»”.
Dal Divino alla Divinazione il passo è breve. Il secondo capitolo, però, ci presenta una diversa forma di tale arte, ossia quella di intravedere – oltre le Colonne d’Ercole – nuovi mondi. Ovviamente alla base della ricerca e dei viaggi che saranno intrapresi da una serie di navigatori, il primo fra tutti in questa nostra storia è Cristoforo Colombo. A quei tempi, vi era una vera e propria “competizione fra le potenze europee, in particolare tra Spagna e Portogallo, per il controllo delle rotte commerciali marittime”. Nella mostra, come nel volume, ecco allora comparire diverse mappe dell’epoca che ci raccontano anche un altro modo di vedere il nostro pianeta, ossia come sferico – sconfessando così la credenza in una Terra piatta, che era fiorita probabilmente in epoca mesopotamica e poi nella cosmografia greca ma aveva già trovato menti critiche nel VI°-V° secolo a.C. che l’avevano messa in dubbio. Altrettanto interessanti le immagini dell’arrivo di Hernán Cortés e degli spagnoli, che Moctezuma II credette rappresentassero l’avverarsi “della profezia del ritorno del dio Quetzalcόatl”. Di immagine in immagine si ripercorre quell’incontro che avrebbe potuto essere un proficuo scambio tra culture e saperi e che divenne, al contrario, il prodromo della conquista spagnola e del genocidio dei nativi che ne seguì. Significativa al riguardo e di grande suggestione l’immagine a pagina 55, Curandera e hijo, che esemplifica la sopravvivenza “dei membri della cultura wixárika, comunemente conosciuti come Huichol” fuggiti in zone impervie e tuttora “depositari di tradizioni che sono riusciti a preservare nel corso dei secoli”.
Ed eccoci alla terza parte del volume, intitolata Pecunia. Interessante notare non solamente quanto abbiamo appreso tutti a scuola, ossia che i galeoni spagnoli si caricarono di oro, pietre preziose e spezie, ma anche che, nel cosiddetto Nuovo Mondo, si iniziarono subito a imporre tributi: “il Quinto Real era la principale imposta” e corrispondeva a un quinto del valore dei beni, “compresa l’estrazione e la produzione di metalli preziosi” ed era imposto “perfino ai tesori di templi e cimiteri disseppelliti dai conquistatori”. Ovviamente la storia si ripeterà anche in seguito, ad esempio con le tombe dell’Antico Egitto, saccheggiate ben prima che vi arrivassero archeologi degni di questo nome, o con gli inglesi che si appropriarono – grazie a Thomas Elgin – delle sculture greche di età classica, poi conservate presso il British Museum.
Naturalia, la quarta parte, è sicuramente la meno esplorata e ricca di curiosità in quanto affronta sia il tema della salute sia quello della natura e a pagina 95 del volume ecco che scopriamo l’immagine della pianta della kakawa, tradotta in cacao – l’albero, il suo frutto e la bevanda – noto in Messico probabilmente da almeno 4mila anni. Molto interessante la spiegazione della dispersione dei semi che avverrebbe similmente a quella dei semi di caffè in Indonesia, dove gli zibetti – cibandosi delle bacche ma defecandone i semi (indigeribili per gli animaletti) – producono inconsapevolmente il kopi luwak (un tipo di caffè) molto pregiato. Qui ci troviamo di fronte a scoiattoli e scimmie, attratti dai baccelli che hanno una “deliziosa polpa bianca”, ma evitano i semi che sono “amari a causa degli alcaloidi che contengono”. Tra le pagine scopriamo anche i fiori dell’albero del cacao (a noi occidentali praticamente sconosciuti) e poi i frutti in natura, ossia quei baccelli allungati che contengono, all’interno, dai 25 ai 40 semi a forma di mandorla, le cosiddette “fave di cacao” – immerse, come scrivevamo, in una polpa bianca dolce e golosa (per le sciemmiette).
Da pagina 102 il volume racconta il processo di lavorazione del cacao che passa per quattro fasi: “fermentazione, essiccazione, tostatura e decorticazione”. Prima dell’arrivo degli spagnoli, scopriamo che le popolazioni locali usavano il cioccolato sia come bevanda sia in versione solida o in polvere e che la sua preparazione “era riservata alle donne, di tutti gli strati sociali”. A seguire una serie di immagini sia degli strumenti per la lavorazione sia delle coppe per la degustazione e dei convivi in cui era servita la deliziosa bevanda. Molto intenso il paragrafo intitolato Sangre – che lasciamo interamente alla curiosità del lettore.
La quinta parte del volume è dedicata ai Vinti. E qui apprendiamo che, come nella Mesoamerica “il consumo del cioccolato aveva un valore sacro ed era privilegio riservato esclusivamente alle figure di alto rango sociale”, così gli spagnoli esportandolo in Occidente lo trasformarono in un “simbolo di prestigio riservato all’élite sociale e religiosa”. A proposito ci vengono in mente altre stampe e quadri di epoca posteriore, entrati nella storia dell’arte, da La tasse de chocolat di Charpentier le Vieux (1768) a La cioccolata della mattina di Pietro Longhi (1775/80). Firenze è tra gli argomenti del capitolo, visto che l’Italia – dopo la Spagna – fu uno tra i primi Paesi in cui si diffuse la cioccolata. Mentre fu l’Inghilterra a introdurre nel tardo XVII° secolo “due innovazioni. Per primo vennero creati dolcetti a base di cacao, uova, zucchero, spezie e latte” e poi Sir Hans Sloane “ebbe l’intuizione di sostituire l’acqua usata per diluire la cioccolata con il latte, conferendo al prodotto un gusto ancora più gradevole”. Forse non a caso, Linneo conferì al cacao questo nome scientifico: “Theobroma cacao” (con Theo che significa dio e broma, alimento).
La sesta parte, ovviamente, è appannaggio della Schiavitù. Lo sfruttamento colonialista spagnolo delle risorse minerarie e la spoliazione di qualsiasi bene non bastò ai conquistadores. Il frate domenicano Bartolomé de Las Casas, “colonizzatore e schiavista convertito, teologo, vescovo di Chapas e accanito difensore degli indigeni, contestò i diritti dei conquistadores e degli encomendores (1), denunciando le cifre di un etnocidio compiuto dalla politica coloniale a La Española e Tierra Firme, la fascia costiera dell’attuale Venezuela”. Storie di ieri che si ripetono ancora oggi: dal Plan Condor al golpe in Bolivia per il litio al tentativo di golpe in Venezuela per abbattere il Governo bolivariano, le politiche occidentali non sono mai cambiate. Dei 25 milioni di abitanti del Messico, prima della conquista spagnola, nel 1600 ne restava circa un milione – se a Gaza Israele procederà con il genocidio dei palestinesi, le dimensioni della tragedia, riproporzionate, saranno più o meno le medesime. Fu ‘necessario’, quindi, per i colonizzatori e depredatori avviare il lucroso commercio degli schiavi che si allargò, all’inizio forse per un caso fortuito (l’intercettazione “della nave schiavista portoghese San Juan Bautista, diretta al Porto di Veracruz” da parte di due navi corsare inglesi, nel 1619) dall’America Latina alle colonie britanniche. Da questo momento si svilupperà la cosiddetta “tratta atlantica” che prevedeva “un intricato sistema trilaterale: le navi schiaviste trasportavano merci lavorate provenienti dalle nazioni europee, come abbigliamento e armi, verso i centri di raccolta degli schiavi in Africa. In questi centri, le merci europee venivano scambiate con gli schiavi, i quali venivano quindi imbarcati sulle navi dirette al Nuovo Mondo. Una volta giunti a destinazione, gli schiavi venivano venduti e destinati a lavorare nelle piantagioni. Gli schiavisti acquistavano i prodotti coloniali generati da tali piantagioni, per poi fare ritorno in patria e venderli sul mercato europeo”. A questi commerci inumani parteciparono olandesi, inglesi, portoghesi e francesi. E col tempo tali pratiche si allargarono a sempre nuovi Paesi (pensiamo alla Compagnia britannica delle Indie Orientali e al suo commercio di tè e, poi, di oppio con la Cina – raccontato nella bella performance teatrale, Opium Clippers (2) di e con Neja Tomšič; oppure al capolavoro di Joseph Conrad, Heart of darkness, che racconta lo sfruttamento feroce della popolazione congolese da parte del Re del Belgio). Solo nell’Ottocento arriveranno le lotte antischiaviste (raccontate anche in un’immagine esemplare a pagina 148).
Dal colonialismo al neo-colonialismo, però, il passo è stato breve. Interessante a proposito la Mappa della distribuzione mondiale dell’albero del cacao (a pagina 152). Oggi l’80% del cacao prodotto è forastero e proviene principalmente dall’Africa che, nel 2023, produceva il 74,8% delle fave di cacao al mondo e, sebbene quasi l’intero processo sia industrializzato, la raccolta delle fave è fatta ancora manualmente – soprattutto da bambini schiavizzati. Nel 2019, secondo l’Università di Chicago, “790mila bambini, tra i quali alcuni di appena 5 anni, erano impiegati nelle piantagioni di cacao in Costa d’Avorio. Gli studiosi hanno individuato una situazione analoga anche nei territori limitrofi del Ghana”. Bambini in età pre e scolare “frustati, picchiati e trattati come bestie” per la raccolta a costi bassissimi così da ridurre il prezzo del prodotto finale. Un’alternativa – segnalata nel volume – è il Bean to Bar (a pagina 159), ossia “dalla fava alla barra”, un movimento che garantisce che “la coltivazione e la raccolta avvengano secondo rigorosi standard di sostenibilità sociale e ambientale, in piccoli lotti, in modo che ogni fase del processo di produzione possa essere trattata con dedizione e precisione. La collaborazione tra il chocolate maker e i coltivatori coinvolge tutto il processo produttivo. L’acquisto delle fave di cacao è diretto, senza intermediari, apportando benefici diretti alle comunità produttrici”. Tutto ciò va a scontrarsi con quanto denunciato anche da Oxfam, ossia che le società produttrici di cioccolata accumulano enormi capitali lasciando solo le bricioli ai coltivatori.
Il settimo e ultimo capitolo (prima della corposa bibliografia) è dedicato alla Memoria. A pagina 162 si legge un incipit che potrebbe anche essere la conclusione di questo volume ricco, accurato e interessante: “L’economia di mercato non sembra trovare altri valori al suo interno se non la soddisfazione dei desideri e il profitto di pochi privilegiati. È paradossale che l’Ovest dell’Africa, oggi diventato il principale produttore mondiale di cacao, sia la stessa regione da cui milioni di uomini, donne e bambini furono strappati per lavorare come schiavi nelle piantagioni di cacao del continente americano”. La memoria storica dovrebbe essere la chiave per imparare dal passato e per non ripetere sempre i medesimi errori. Oggi una serie di Codici, che ci hanno accompagnato nel volume, ci ricorda – attraverso scritti, documenti originali, dipinti, disegni, mappe e appunti – quanto accaduto nel Centro America a partire dal 1492. Quel passato potrà esserci ancora più utile se non solamente l’acquisto e il consumo del cacao, oggi, sarà più consapevole, ma soprattutto se non permetteremo più che si ripetano i genocidi degli ultimi 500 anni – dalle popolazioni indigene agli ebrei fino ai palestinesi oggi.
(1) encomendores erano i coloni/colonizzatori spagnoli a cui era affidato un villaggio o un gruppo di villaggi indigeni
(2) La recensione:
Cacao entre dos Mundos
La storia del cioccolato e lo scontro (e incontro) di civiltà
Catalogo della mostra tenutasi presso la Biblioteca Medicea Laurenziana
piazza di San Lorenzo, 9 – Firenze
dal 2 novembre 2023 al 2 febbraio 2024
ideazione e progetto scientifico Ruby E. Villarreal V.
volume arricchito con i contributi di Filippo Camerota e Lorenzo Hofstetter
prefazione Francesco Gallori
Mandragora
venerdì, 4 ottobre 2024
In copertina: La copertina del volume, particolare