La deriva antidemocratica dell’Occidente
di Simona Maria Frigerio
Un tempo esistevano i monarchi, prima assoluti e poi contornati da Parlamenti più o meno autorevoli, e il diritto ‘divino’ di governare era tramandato di padre in figlio, raramente figlia (e moglie solo nel caso di reggenza fino alla maggiore età del pargolo che, a quei tempi, era precoce). Così come esisteva una chiesa e una religione, quella Cattolica romana, che tra Inquisizione e persecuzione di eretici e scismatici, governava con decime e indulgenze pagate a caro prezzo, finché non arrivò un monarca (di cui sopra) che, di fronte al diniego del Papa di concedergli il divorzio, edificò la propria chiesa senza alcuna investitura evangelica, con contorno di prelati più ‘elastici’.
Oggi, che il mondo occidentale si vanta di essere ‘democratico’ e il #MeToo ha dato un’apparenza nuovamente cool al femminismo, va in scena a Chicago la commedia di quell’autore tanto amato da Elisabetta I, figlia di quell’Anna Bolena causa dello scisma e finita decapitata (mica potrai divorziare ogni tot anni?). E lì abbiamo visto incoronare a candidata dei Dem, Kamala Harris, nome non estratto dalle urne delle primarie ma sorteggiato dai monarchi di turno, i Clinton e gli Obama, i quali, dubitiamo, non essendo riusciti a mettersi d’accordo su quale tra le gentili consorti candidare come successori dei rispettivi mariti (con Hillary già bocciata nel 2016 nel confronto diretto contro Trump e Michelle di cui ricordiamo gli ultimi anni dedicati all’orto della Casa Bianca e le sue battaglie contro l’obesità – che sarà pure un problema negli States, ma sicuramente non lo è a Gaza…), hanno optato per l’outsider. E così gli scettri che prima passavano di padre in figlio, adesso passano di ex presidenti alle mogli via lobby e, quando la scelta si scontra con l’ostracismo dell’avversario, ma è obbligata vista la pessima figura del cappellaio ‘pazzo’ nel confronto diretto con Trump, le ‘allegre comari’ si riuniscono e fanno uscire dal cappello un altro bianconiglio, da tenere al guinzaglio come l’ex inquilino malato della Casa Bianca telecomandato.
Ma se in Europa non va meglio, visto che meno della metà degli aventi diritto ha votato per il Parlamento Europeo e i manovratori (tipo von der Leyen, pro nucleare, guerra e glifosato eletta grazie ai ‘verdi’) continuano a essere gli stessi nonostante il chiaro dissenso uscito dalle urne; se un Mélenchon fa il gioco della desistenza e così priva i francesi della libertà di scelta, incoronando nuovamente le Petit Roi, che non si smentisce ammanettando il nuovo Assange, Pavel Durov – ma siamo certi che le 26 ONG, tra le quali Human Rights Watch, Amnesty International, Freedom House, Reporter Senza Frontiere, Articolo 19, Pen America e Pen International, che lo sostennero contro le leggi russe, adesso si stracceranno le vesti per difenderlo dalle carceri francesi; ebbene in questo bailamme dove la democrazia (ossia, il potere al popolo, dal greco antico: δῆμος, popolo e κράτος, potere) è sempre più a sovranità limitata, cerchiamo almeno di capire chi è questa Kamala Harris, che fallì miseramente nelle primarie del 2019 sia a livello di raccolta fondi sia di gradimento popolare (1).
Kamala Harris: da procuratore giustizialista a candidata bellicista
Nata a Oakland da madre indiana e padre di origine giamaicana (e perciò non afroamericana, 2), laureata in Legge, come vice-presidente si è fatta notare dal blasonato New York Times già nel 2021. Nel suo articolo, Zolan Kanno-Youngs raccontava del suo viaggio in Guatemala e Messico per risolvere la questione dei migranti (3), a cui diede una risposta brusca (e ben poco Dem): “L’obiettivo dell’amministrazione” Biden “è affermare il controllo sulle sue frontiere, anche in caso questo significhi voltare le spalle, al momento, a coloro che fuggono dalle persecuzioni e dalla povertà” (t.d.g.). Con buona pace del diritto internazionale che, almeno, dovrebbe proteggere i rifugiati.
Come Procuratore Distrettuale di San Francisco e poi Generale della California, Harris si è fatta notare per la sua visione tutt’altro che progressista, come riportava anche CNN (4) dando la parola a Lara Bazelon, professoressa di diritto presso la School of Law dell’Università di San Francisco, dove detiene la cattedra Barnett in Trial Advocacy e dirige la Criminal & Juvenile and Racial Justice Clinics, la quale affermava: “Ogni volta che i progressisti hanno chiesto a Harris di sostenere delle riforme di diritto penale, sia come Procuratore Distrettuale sia come Generale, la stessa si è opposta o è rimasta in silenzio”. E aggiungeva: “Ancora più preoccupante, Harris ha lottato con le unghie e con i denti per sostenere reclusioni illegittime che sono state ottenute con condotte ufficiali scorrette, la manomissione di prove, la falsa testimonianza e la soppressione di informazioni cruciali da parte dell’accusa”.
Non solo, come riporta un interessante articolo al quale vi rimandiamo, firmato da Alexadder Sammon nel 2020 (5), ovvero in tempi non sospetti (quando le testate mainstream non erano costrette a incensarla), Kamala Harris si è battuta per tenere in carcere anche reclusi non violenti quando era Procuratore Generale della California, cercando in ogni modo di “sovverirtire la Decisione della Corte Suprema del 2011 che chiedeva allo Stato di ridurre la popolazione carceraria”. E specifica: “Lavorando in tandem con il Governatore Jerry Brown, Harris e il suo team legale hanno depositato mozioni, condannate dai giudici e da esperti legali come ostruzioniste, in malafede, e insensate, suggerendo a un certo punto perfino che la Corte Suprema non avesse il diritto di ordinare la riduzione della popolazione carceraria californiana”. Ma non solo. Nonostante le critiche per non aver mai spiegato perché si opponesse al rilascio di circa 5mila reclusi non violenti con basse probabilità di recidiva, si è anche opposta al rilascio di innocenti, come nel caso di “Daniel Larsen, ex carcerato condannato da 27 anni al carcere a vita a causa della legge californiana dei ‘3 colpi’. A riguardo Harris dichiarò: «Sebbene Danny sia innocente, la sua condanna non ammetterebbe ricorso perché ha atteso troppo tempo per presentare istanza»”, come denunciato dal California Innocence Project, che ha preso in mano il caso di Larsen e ha vinto la battaglia (5 e 6, t.d.g.). Come a dire che la verità si irrancidisce come il latte, e se si scopre che un innocente è in carcere (e un colpevole, quindi, è libero) lo si lascia marcire dietro le sbarre.
Concordiamo pienamente con le conclusioni di Sammon che tali posizioni di Harris sono diametralmente opposte alle rivendicazioni di Black Lives Matter e delle obiettive situazioni socio-culturali che fanno degli afroamericani, i quali costituiscono solo il 13% della popolazione statunitense, ben il 40% dell’intera popolazione carceraria. Ma nella vulgata mainstream Harris è diventata perfino, lei stessa, afroamericana!
Non sarà quindi un caso che, per la prima volta da oltre un decennio, i Dem riunitisi a Chicago non hanno incluso il bando della pena di morte nella loro piattaforma elettorale (7). Mentre sul fronte dell’interruzione volontaria di gravidanza, come fa notare The Intercept (8), Harris ha dichiarato a Politico che: “Dobbiamo inserire a livello legislativo le protezioni di Roe contro Wade, così da tornare a prima della decisione Dobbs”. Senza entrare nel merito delle sentenze che, negli States, finiscono per creare precedenti che, poi, si applicano come leggi, The Intercept avverte che: “Un numero crescente di sostenitori dell’IVG affermano che inserire Roe nell’ordinamento garantisce solo l’interferenza governativa nel sistema sanitario relativamente alla riproduzione — esattamente ciò a cui Harris diceva di opporsi” (8, t.d.g.). E aggiungiamo, per chi non comprendesse il pericolo di tale posizione per l’autodeterminazione femminile, che se vincesse un presidente anti-abortista, non vi sarebbe più alcuno Stato dove praticare una IVG legalmente.
E chiudiamo con le due guerre in corso che maggiormente vedono il coinvolgimento diretto dell’Occidente. Se è indubbio che Harris continuerà a supportare l’Ucraina (come afferma Joe Biden, non sappiamo se nei momenti di lucidità), secondo Al Jazeera (9) nonostante la preoccupazione per le sofferenze del popolo palestinese, la candidata presidente ha riaffermato l’appoggio a Israele. Del resto, alla Convention dei Dem la voce assente è stata proprio quella dei palestinesi statunitensi (mentre da mesi chi protesta, negli States, a favore degli abitanti di Gaza, è picchiato, brutalizzato e arrestato dalla polizia, nel Paese faro delle libertà e della democrazia).
Registriamo infine le parole del Presidente Putin in risposta alla ennesima richiesta di Zelensky ai partner occidentali di colpire in profondità il Territorio russo (cosa che, peraltro, sta già facendo con i droni, uccidendo quasi sempre civili inermi in edifici residenziali e prediligendo i mercati im Donbass). Come ha precisato Putin: “l’esercito ucraino non è in grado di colpire con i moderni sistemi a lungo raggio ad alta precisione di produzione occidentale. Non può farlo. Ciò è possibile solo utilizzando i dati di ricognizione dei satelliti, di cui l’Ucraina non dispone: si tratta solo di dati provenienti dai satelliti dell’Unione Europea o degli Stati Uniti, in generale, dai satelliti della NATO. Questo è il primo punto. Il secondo, e molto importante, forse la chiave di tutto, è che i lanci di questi sistemi missilistici possono essere effettuati solo da personale militare dei Paesi della NATO. Il personale militare ucraino non può farlo. E quindi non si tratta di permettere o meno al regime ucraino di colpire la Russia con queste armi. Si tratta di decidere se i paesi della NATO sono direttamente coinvolti in un conflitto militare oppure no” (dal Canale Telegram Donbass Italia). Sappiamo già la posizione della candidata Dem.
Mala tempora currunt… sed peiora parantur.
(3) https://www.nytimes.com/2021/06/08/world/americas/kamala-harris-immigration.html
(5) https://prospect.org/justice/how-kamala-harris-fought-to-keep-nonviolent-prisoners-locked-up/
(8) https://theintercept.com/2024/08/15/kamala-harris-roe-abortion-reproductive-justice/
venerdì, 20 settembre 2024
In copertina: Foto senza credits. Il Primo Ministro, Benjamin Netanyahu, stringe la mano all’attuale vice-presidente, Kamala Harris, a Washington DC il 25 luglio 2024