Apartheid, genocidio, reclusioni illegali, tortura
di La Redazione di InTheNet (traduzione di Simona Maria Frigerio)
Torniamo a tradurre, dopo la prima parte della settimana scorsa (1), il rapporto sugli abusi e le torture sistematiche nelle carceri israeliane occorsi dal 7 ottobre 2023, redatto da B’Tselem, la principale organizzazione israeliana per i diritti umani (2) che, già nell’introduzione puntualizza come, ben prima del 7 ottobre, la costante minaccia di arresto e reclusione da parte israeliana “fosse intesa per impedire ai palestinesi di partecipare a qualsiasi azione politica o discorso politico sulle proprie vite e il futuro” in quanto qualsiasi azione poteva e può essere punita con la detenzione senza processo, la violenza e perfino la tortura.
Tutto ciò è stato ed è possibile in quanto qualsiasi detenuto è disumanizzato e trasformato in parte di una massa omogenea di “animali umani e terroristi semplicemente perché è dietro le sbarre, indipendentemente dal fatto che la detenzione sia giustificata o arbitraria, legale o meno. In questo modo abuso, degradazione, e la violazione dei diritti sono permessi” e la logica alla “base del progetto di reclusione è lo stesso seguito dal regime di Apartheid israeliano ovunque”. B’Tselem afferma infatti che: “il progetto di reclusione è una tra le manifestazioni più estreme e violente del sistema israeliano di controllo sui palestinesi” come dimostrato nel Report con 55 testimonianze dirette di uomini e donne, che includiamo per maggiori approfondimenti (2).
Nelle conclusioni B’Tselem, dopo la raccolta ed esposizione delle testimonianze raccolte, accusa Israele di essere colpevole nei confronti dei prigionieri palestinesi di tortura, abusi, condizioni inumane e diniego dei bisogni primari quali cibo, acqua e cure mediche. Dalle informazioni emergerebbe un “meccanismo sistematico, efficiente e istituzionalizzato che ha reso la violenza, l’umiliazione e il degrado parte integrante della routine imposta ai palestinesi” in 17 istituti penitenziari civili o militari a partire dal 7 ottobre 2023.
Dalle testimonianze si evince che questa prassi, che “implica la violazione dei diritti umani più basilari, si focalizza contro membri di uno specifico gruppo etnico/nazionale – i palestinesi. Come parte di tale nuova prassi, i palestinesi detenuti nelle carceri israeliane sono privati dei più elementari diritti, che sarebbero loro garantiti dalle leggi israeliane e internazionali. E sebbene un piccolo numero di questi carcerati sia stato coinvolto, di fatto, negli orrendi crimini del 7 ottobre, ciò non giustifica la tortura, per non parlare di una rete di Campi di tortura per i prigionieri palestinesi”. Ovviamente tale affermazione di principio perde ogni significato di fronte al giornalista israeliano Yehuda Schlesinger che giustifica su un canale televisivo israeliano lo stupro dei prigionieri palestinesi come pratica lecita rieducativa; o di fronte al sondaggio del canale israeliano 12, che ha posto questa domanda ai suoi spettatori: «Siete d’accordo che a un soldato sia permesso violentare un prigioniero con le mani legate?». E al sondaggio il pubblico ha risposto per il 47% Sì e il 43% No. Pensiamo non sarebbe stato molto diverso nella Germania hitleriana. Ma ci domandiamo anche: a quale giornalista e per quale scopo può venire in mente di chiedere al pubblico se è o meno d’accordo con stupri, torture e violenze? Per denunciare la barbarie in cui sta affogando Israele o per rendere naturale tale abiezione se commessa contro un preciso gruppo etnico?
B’Tselem ricorda che la Convenzione contro la Tortura definisce tortura qualsiasi “atto che produca una severa pena o sofferenza, fisica o mentale, inflitto intenzionalmente a una persona, con il proposito di ottenere da tale o da terza persona informazioni o una confessione, punendola per un atto che la stessa o una terza persona ha commesso o è sospettata di aver commesso; o intimidendo o usando metodi coercitivi contro la stessa o una terza persona; o per qualsiasi ragione basata sulla discriminazione di qualsiasi tipo, quando tale pena o sofferenza sia inflitta da chi investighi o durante una indagine. Con il consenso o l’acquiescenza di un pubblico ufficiale o di altra persona che agisca nella sua veste ufficiale”. Sebbene lo Stato di Israele abbia firmato e ratificato tale Convenzione, il divieto di tortura non è mai stato accolto nell’ordinamento legislativo israeliano. È stato convalidato in una sentenza del 1999 dell’Alta Corte – la quale, però, in seguito ha fatto un passo indietro, permettendo la tortura in casi eccezionali secondo il protocollo sulle cosiddette ‘necessità di interrogatorio’ dello Shin Bet – che sicuramente avrebbe approvato anche il Tribunale della Santa Inquisizione…
Più oltre leggiamo che il divieto di tortura è stato “incorporato nelle linee-guida emesse dall’ex Procuratore Generale, Elyakim Rubinstein, il quale ha dichiarato che altri metodi di interrogatorio potrebbero essere usati in caso di necessità, sempre che non arrivino alla tortura”. Ma l’Alta Corte di Giustizia da allora ha dato il via libera al diniego dei diritti basilari per i prigionieri palestinesi.
Nel frattempo, “la revisione giudiziaria o amministrativa degli stessi arresti è stata sospesa de facto per settimane e perfino mesi. Il fatto che la Corte si sia astenuta dall’intervenire in merito e il fatto che abbia consapevolmente permesso che i reclusi fossero completamente isolati, sottolinea il ruolo della Corte nella concessione di violazioni grossolane dei diritti umani dei prigionieri in faccia alla legalità”.
L’influenza del Ministro Ben Gvir è evidente, “ma le sue politiche non sarebbero potute essere implementate senza la cooperazione dell’intero sistema – dal Primo Ministro e il Ministro della Difesa a coloro che si occupano della sorveglianza (i ‘gatekeepers’) quali il Procuratore generale, l’Ufficio del procuratore e la Corte Suprema, e infine, i media, che presentano il trattamento crudele dei prigionieri senza traccia di senso critico. Tutto ciò ha aiutato il Ministro Ben Gvir a realizzare le proprie idee, attivamente o con il tacito consenso”.
La denuncia prosegue sottolineando la gravità delle torture di Israele, dirette contro tutti i reclusi palestinesi, quotidianamente e protratte nel tempo, tali da essere considerate alla pari di un “crimine di guerra e perfino di un crimine contro l’umanità. Dato che il divieto di tortura è assoluto, Israele è obbligata dalle leggi internazionali a indagare e perseguire chiunque direttamente coinvolto nell’implementazione di tali pratiche violente e ingiuriose contro i reclusi palestinesi. Ciononostante, dato che l’intero sistema statale, incluso quello giudiziario, è stato mobilitato in supporto a detti Campi di tortura – fingendo di guardare altrove, prestando supporto, o” addirittura (come abbiamo visto su Tik-Tok e altri social) “sbandierando tali azioni – non ci si può aspettare che i corpi investigativi israeliani facciano il proprio dovere e impongano a coloro che sono coinvolti di rispondere delle loro azioni, certamente non in maniera attiva ed effettiva”.
La richiesta finale è rivolta ai rappresentanti dello “Statuto di Roma, il Tribunale Penale Internazionale e la comunità internazionale affinché si indaghi e si promuovano procedimenti penali contro gli individui sospettati di pianificare, dirigere e commettere tali crimini. Al momento in cui è stilato il Report, oltre 9mila persone – palestinesi classificati come ‘detenuti per la sicurezza’ – sono trattenuti da Israele in una Rete di Campi di tortura, soggetti alle condizioni e agli abusi descritti nel Report. Questa realtà è inaccettabile e ci riempie, come israeliani e palestinesi che credono nella giustizia, nella libertà e nei diritti umani, di vergogna, ansietà e rabbia. Facciamo appello a tutte le nazioni e a tutte le istituzioni internazionali di fare tutto ciò che è nel loro potere per mettere immediatamente fine alle crudeltà inflitte ai palestinesi dal sistema di reclusione israeliano, e di riconoscere che il regime israeliano gestisce questo sistema come un regime di apartheid che deve cessare”.
(1) https://www.inthenet.eu/2024/08/30/welcome-to-hell
(2)
venerdì, 6 settembre 2024
In copertina: Gaza, foto di Hosny Salah da Pixabay