Con Maduro ha vinto la democrazia
di Luciano Uggè (traduzione di Simona Maria Frigerio)
Pilastro del democratico Occidente che, in base a questo fondamento giuridico, prevede che qualsiasi altra forma di organizzazione politica – con specifico riferimento al socialismo e al comunismo – sia per sua natura una dittatura, è il diritto di voto universale e il rispetto di tale voto.
E però quando si tratta di Russia, ad esempio, sebbene si rechino al voto oltre il 75% degli aventi diritto, Europa e Stati Uniti parlano di ‘dittatura’. Mentre la discrezionalità assume forme quasi ridicole in Unione Europea, dove si reca al voto meno del 50% degli aventi diritto, ma chi comanda sono i Presidenti delle Commissioni – non eletti col famoso suffragio universale, ma da giochi di potere in stanze dove i risultati del voto sono stati completamente disattesi. E però guai a non considerarci in democrazia.
Come in Francia, dove il doppio turno e la sinistra pavida di Mélenchon garantiscono ancora una volta che il volere dei francesi sia calpestato in nome di un non meglio precisato ‘bene superiore’: della serie, teniamoci le petit roi, mai una Marine Le Pen – anche se al primo turno il suo Rassemblement National aveva ottenuto oltre il 33% delle preferenze e Macron si era fermato al 20%.
Negli US – campioni di democrazia – si vota nelle primarie persino per scegliere i candidati – nel campo Democratico e Repubblicano – che si contenderanno le presidenziali a novembre. Le primarie, però, avevano designato per i Dem, Joe Biden, ma gli statunitensi dei democratici dovranno andare a votare per Kamala Harris. È questa la visione ‘democratica’ della politica delle potenti famiglie ‘dem’, gli Obama e i Clinton, e delle lobby che gestiscono in realtà il potere negli States. Tutto regolare? Sì, perché gli Stati Uniti sono un Paese democratico a prescindere…
In America Latina, dove molti Paesi sono soggetti a sanzioni unilaterali (da parte del solito Occidente delle regole), condannate più volte dall’inutile (sic!) Assemblea Generale delle Nazioni Unite, si vota sempre immersi in un clima di sfiducia alimentato ad arte da US ed Europa – pronti a bollare i non conformi ai propri diktat come anti-democratici. In Messico è di questi giorni la denuncia fatta dall’attuale Presidente rispetto agli aiuti economici, che gli US avrebbero elargito ad associazioni legate ai partiti di opposizione. Sempre di questi giorni le denunce dei cubani. Ingerenza? No, il solito blocco occidentale, che difende i diritti – propri – ma che assicurerebbe, almeno, la libertà di parola e opinione – salvo essere smentito dall’incidente (definiamolo così…) di Telegram.
Il Venezuela che – a detta di molti osservatori internazionali – ha un sistema elettorale tra i più sicuri e avanzati al mondo in quanto i risultati degli spogli sono inviati direttamente alle sedi dei partiti – i quali possano verificarli ma non intervenirvi; e in cui ha votato oltre il 50% degli aventi diritto; la destra, con l’appoggio dei soliti Paesi dell’Occidente delle regole, invocando presunti brogli che, successivamente, anche la Corte Suprema di Giustizia non ha rilevato, grazie a un ritardo nell’annuncio dei risultati definitivi per colpa di un attacco al sistema centralizzato (chissà chi lo avrà perpetrato?), ha tentato di imporre la vittoria del proprio candidato alla presidenza. Per sancire quello che è apparso da subito un golpe, la destra ha preteso la rivolta di piazza e iniziato i disordini – con omicidi e saccheggi soprattutto a carico delle istituzioni pubbliche. Agli arresti in flagranza di reato, l’Occidente (che malmena senza pietà chi manifesti, o sventoli solo una bandiera, per la Palestina) ha risposto che Maduro doveva garantire le libertà dell’opposizione in piazza.
Eppure il Venezuela democratico e socialista, senza demordere, non si è arreso al nostro volere. Qualsiasi dei potenziali presidenti può chiedere l’intervento della Corte di Giustizia e presentare reclami o denunciare anomalie avendo ricevuto, in diretta, l’esito dei singoli scrutini. La destra, invitata a presentare le prove in suo possesso dei presunti brogli, ha disertato. E il popolo venezuelano, con una imponente manifestazione a Palazzo Miraflores, ha festeggiato il terzo mandato presidenziale per Maduro.
Happy ending per una volta?
Non proprio. Sul fronte israeliano, per gettare fumo negli occhi degli spettatori occidentali, ai 40mila morti palestinesi, Israele ha opposto l’uccisione di 6 ostaggi. Saranno stati i combattenti di Hamas o saranno le ennesime vittime dei bombardamenti israeliani? Difficile saperlo, ma la disparità in cifre è tale che i giornalisti dovrebbero relegare la notizia in quarta pagina invece di sbandierarla come gran cassa di Netanyahu. Se vi aggiungiamo il caso di Noa Argamani, ostaggio liberata che i media avevano detto essere stata picchiata dagli uomini di Hamas, i quali le avrebbero anche tagliato i capelli (per sfregio o perché non avevano niente di più serio da fare?), i dubbi aumentano. Peccato che la giovane non abbia, a suo tempo, retto il gioco e abbia voluto chiarire via social: “Non mi hanno picchiata né tagliato i capelli. Mi trovavo in un palazzo che è stato colpito dall’aeronautica” israeliana. E ha aggiunto: “i tagli in testa” e le ferite “su tutto il corpo” sono dovuti al crollo di un muro, causato dal bombardamento israeliano. E ha concluso: “Come vittima del 7 ottobre, non permetterò a me stessa di essere nuovamente vittima dei media”(t.d.g.).
Chiudiamo con l’ultima fake da testata blasonata. Il 3 settembre, i russi hanno davvero colpito una scuola… ma militare, per la precisione il Centro di addestramento congiunto della 179a, a Poltava, dove “sotto la supervisione di istruttori stranieri”, erano formati i militari ucraini addetti ai droni e alla guerra elettronica. Nonostante i titoli dei nostri colleghi con tanto di tesserino e teorica deontologia professionale, niente scolaretti con cartella e grembiulino… Anche il controllo delle informazioni dovrebbe far parte degli obblighi della professione.
venerdì, 6 settembre 2024
In copertina: Caracas, Wladimir Photo per Pixabay