Pubblicato il rapporto di B’Tselem
di La Redazione di InTheNet (traduzione di Simona Maria Frigerio)
La principale organizzazione israeliana per i diritti umani denuncia gli abusi e le torture sistematiche nelle carceri israeliane dal 7 ottobre 2023, definendo “il Sistema carcerario israeliano come una rete di Campi di tortura”.
Delle 118 pagine (che alleghiamo in inglese, 1) abbiamo tradotto alcuni passaggi dell’introduzione e delle conclusioni che ci paiono particolarmente significativi.
Il Report si concentra sul trattamento subito dai prigionieri palestinesi negli istituti penitenziari israeliani a partire dal 7 ottobre – anche se le Nazioni Unite e Amnesty International hanno denunciato gli arresti arbitrari (anche di minori) e la violenza dei colonizzatori israeliani nei Territori Occupati per anni e anni (2).
B’Tselem ha raccolto la testimonianza di 55 palestinesi reclusi, di cui 30 residenti in Cisgiordania, inclusa Gerusalemme Est; 21 nella Striscia di Gaza; e 4 cittadini israeliani. Tutti hanno fornito le testimonianze dopo il rilascio, e la stragrande maggioranza non è nemmeno stata processata. L’organizzazione israeliana denuncia che tali testimonianze “rivelano una politica sistematicamente e istituzionalmente focalizzata al continuo abuso e tortura dei prigionieri palestinesi. Ivi inclusi frequenti atti di violenza gravi e arbitrari; stupri; umiliazioni e atti degradanti; l’affamare deliberatamente i reclusi; l’imposizione di condizioni anti-igieniche; la privazione del sonno; la proibizione e misure punitive per atti di devozione; la confisca di tutti i beni comunitari e personali; e il diniego a trattamenti medici adeguati”. Dopo le immagini di Abu Ghraib tutto ciò non dovrebbe apparirci estraneo al nostro Occidente ‘delle regole’ ma non dimentichiamo che alla Knesset israeliana si è recentemente discusso un progetto di legge sulla “esecuzione dei prigionieri palestinesi” e nove soldati israeliani accusati di stupro di gruppo, mentre si trovavano detenuti in una base militare, hanno ottenuto il sostegno di centinaia di colonizzatori e militari radunatisi per chiederne la liberazione. Si può solo dire che Israele è ormai un Paese che della deriva etica ha fatto il suo vessillo.
Secondo B’Tselem oltre una dozzina di istituti penitenziari israeliani, sia civili sia militari, “sono stati convertiti in una rete di campi dedicati agli abusi dei prigionieri. Tali luoghi, nei quali ogni detenuto è intenzionalmente condannato al dolore severo e senza tregua, operano di fatto come Campi di tortura”. Il che – dagli eredi del popolo che ha sofferto nei campi di sterminio nazisti o alla Risiera di San Sabba – risulta ancora meno comprensibile o accettabile.
B’Tselem ha ricordato che per anni e, quindi, ben prima del 7 ottobre 2023, Israele ha incarcerato centinaia di migliaia di palestinesi, “soprattutto come strumento per opprimere e dominare la popolazione palestinese” anche se da allora il numero dei detenuti è aumentato enormemente. Dati alla mano, prima del 7 ottobre, il numero dei palestinesi detenuti da Israele classificati come “prigionieri di sicurezza era di 5.192, con circa 1.319 detenuti senza processo, ossia detenuti amministrativi. A inizio luglio 2024, il numero era salito a 9.623 palestinesi incarcerati nei penitenziari israeliani, dei quali 4.781 detenuti senza processo, senza poter conoscere le accuse contro di loro, e senza accesso al diritto di difesa”.
Sono migliaia i casi di arresto a vario titolo (o senza titolo) e hanno interessato medici, accademici, avvocati, studenti, politici (a cui è andata meglio che a Ismail Haniyeh, sic!) e perfino bambini – alcuni dei quali arrestati solo in quanto “maschi in età per combattere” – ammanettati e incappucciati per periodi di tempo variabili (senza alcuna levata di scudi da parte di chi ha difeso una Ilaria Salis).
È B’Tselem ad ammettere che una tale realtà può verificarsi solo a seguito della “disumanizzazione della comunità palestinese da parte degli israeliani. Un processo che è in corso con intensità diversa fin dalla Nakba”. Inoltre, sono diventate comuni richieste “da parte di figure pubbliche e politici per il genocidio e l’espulsione di massa dei palestinesi” – con buona pace anche per i sionisti italiani che continuano ad affermare che non vi sia in atto un genocidio perpetrato dagli israeliani. Inoltre, i media israeliani farebbero da eco ma normalizzerebbero altresì i discorsi definiti nel Report come incendiari, mentre gli “ebrei israeliani mostrano indifferenza di fronte all’uccisione di decine di migliaia di civili nella Striscia di Gaza e centinaia in Cisgiordania. In tale clima sociale, l’abuso dei prigionieri palestinesi è tollerato e addirittura ben accetto”. Inoltre gli abusi sono talmente sistematici, che “non si può dubitare” l’esistenza di una “politica dichiarata e organizzata dalle autorità penitenziarie”. Politica messa in atto sotto la “direzione del Ministro della Sicurezza Nazionale, Itamar Ben Gvir, il cui ministero controlla il Servizio penitenziario israeliano (IPS), con il pieno appoggio del Governo di Israele e del Primo Ministro, Benjamin Netanyahu”. Va riconosciuto a B’Tselem il coraggio di additare colpevoli in alto, a differenza di quanto accade negli States, ad esempio, che giustificano qualsiasi nefandezza del proprio esercito scaricandone la colpa su soldati semplici o, addirittura, nascondendo i misfatti come segreti di Stato.
Le torture, la violazione delle leggi israeliane e internazionali hanno finito per calpestare valori morali basici (come si afferma anche nel Report). Abusi e disumanizzazione sono diventati “le logiche di governo del sistema penitenziario. Il risultato è un sistema specializzatosi in tortura e abusi dove, in qualsiasi momento, molte migliaia di palestinesi sono tenuti dietro le sbarre, per la maggior parte senza processo, e tutti in condizioni inumane”.
B’Tselem indaga anche “il regime di apartheid israeliano” protrattosi per decenni e il ruolo della carcerazione di centinaia di migliaia di palestinesi come meccanismo per sostenere “la supremazia israeliana tra il Giordano e il Mar Mediterraneo”. Secondo varie fonti, si stima che dal 1967 Israele abbia incarcerato oltre 800mila palestinesi della Cisgiordania (inclusa Gerusalemme Est) e della Striscia di Gaza, ovvero il 20% della popolazione totale e circa il 40% dei maschi palestinesi. Va tenuto conto che molti “uomini e donne hanno dovuto crescere da soli i propri figli; che alcuni genitori si sono visti togliere i figli, a volte per anni; che molte famiglie hanno dovuto spendere assai, persino indebitarsi, per pagare le spese legali; che ci sono studenti i cui compagni sono scomparsi improvvisamente senza spiegazioni”. Tutto ciò comporta sradicamento, problemi di crescita e socializzazione, senso di solitudine o abbandono e instabilità, difficoltà a intrattenere e conservare rapporti affettivi e di amicizia, un continuo stato di paura che incide soprattutto sui minori, ma anche sugli adulti.
Inoltre, come B’Tselem sottolinea “i palestinesi dei Territori Occupati dipendono da Israele per il lavoro e il fatto che chi è stato recluso non abbia più il permesso di lavorare in Israele ha implicazioni finanziarie per le famiglie che si estendono al di là del periodo di incarcerazione”.
La settimana prossima torneremo sul documento per la traduzione delle conclusioni.
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venerdì, 30 agosto 2024
In copertina: Foto di Rodolfo Quevenco da Pixabay