Mancati rinnovi contrattuali nel Pubblico Impiego: è solo questione di numeri?
di Federico Giusti
Proseguono, a insaputa dei dipendenti, le trattative per i rinnovi contrattuali. La forza lavoro sarà chiamata a ratificare decisioni già assunte.
Non è solo un problema di democrazia, le piattaforme presentate e votate dagli iscritti al sindacato rappresentativo sono ben diverse dai testi poi sottoscritti.
Una mera formalità o, se preferiamo essere intellettualmente onesti, la solita farsa pseudo democratica di consultazione della forza lavoro, lasciata poi totalmente all’oscuro dell’evolversi delle trattative, informata con scarni comunicati o mobilitata – si fa per dire – nei momenti critici della trattativa per mettere fretta al Governo nel siglare accordi poi rivendicati come grandi vittorie.
I contrasti ai tavoli dei rinnovi contrattuali sono or dunque reali o parte di questa farsa democratica? E le parti quanto sono distanti dalla firma e, soprattutto, su quale testo convergeranno?
Sembra che i ritardi siano legati alla posizione del Governo o, meglio, dall’Aran – l’agenzia governativa che si occupa della contrattazione per i dipendenti pubblici – per la quale gli aumenti previsti restano ancorati al 5,78% per il triennio che va dal 2022 al 2024.
Detto in altri termini parliamo di contratti siglati al momento della loro scadenza. La forza lavoro intanto deve accontentarsi di una dozzina di euro di indennità mensile di vacanza contrattuale ma queste somme saranno poi detratte dal complessivo ammontare degli aumenti.
Il modello contrattuale voluto da Cgil Cisl e Uil è la causa della perdita del potere di acquisto e di contrattazione – prova ne è la miseria dell’indennità di vacanza contrattuale, i ritardi cronici dei rinnovi, il potenziamento del welfare aziendale e di sanità e previdenza integrativa proprio quando la sanità e l’istruzione pubblica vanno letteralmente a picco.
Ma restiamo ai numeri. La percentuale di aumenti proposta del Governo è pari a un terzo, anzi meno, dell’inflazione, perfino inferiore a una cifra che scaturirebbe dall’applicazione del codice Ipca (1) – anche questo voluto dalla Ue e ben accolto dai sindacati rappresentativi – che sappiamo essere del tutto inadeguato a recuperare, con i rinnovi contrattuali, il potere di acquisto perduto in rapporto ai reali costi della vita. Stando a quello che la Cgil asserisce, ma senza mai rimettere in discussione il codice Ipca, gli aumenti erogabili, per adeguare i salari al reale costo della vita, dovrebbero prevedere incrementi del 17%. Ma cosa fa la Cgil (sorvoliamo su Cisl e Uil)? Media per portare a casa qualche briciola in più, non mobilita i lavoratori e le lavoratrici ma, soprattutto, non spende parola sulle proposte del Governo che vanno a depotenziare l’effettivo potere di contrattazione.
Perché non esiste in un contratto solo la parte economica ma anche quella normativa e gli ultimi CCNL hanno introdotto norme veramente discutibili.
La forza lavoro nella Pubblica Amministrazione
Oggi ci sono circa 3 milioni di dipendenti della PA: nell’arco di 25 anni abbiamo perso circa 500mila dipendenti, la lenta e progressiva erosione degli organici coincide con il depotenziamento della sanità e i processi di esternalizzazione di innumerevoli servizi. Del resto, all’ombra del PNRR, già il Governo Draghi faceva intendere che la PA avrebbe dovuto rinunciare a gestire direttamente alcuni servizi.
Tra i comparti in cui la PA è suddivisa esistono poi forti sperequazioni salariali a conferma di un impianto contrattuale sbagliato in partenza. Un dipendente degli Enti locali guadagna anche 300 euro in meno di un ministeriale a parità di livello, la differenza aumenta se guardiamo ai benefit derivanti dalla contrattazione di secondo livello; se poi confrontiamo i salari italiani con quelli europei la disparità di trattamento diventa macroscopica.
E intanto il dissesto pilotato del Servizio Sanitario Nazionale grida vendetta: ormai si affidano servizi a cooperative e interinali oltre alle assunzioni straordinarie a tempo determinato per il PNRR o alla facoltà delle amministrazioni di avvalersi di professionisti esterni (per questo ci ritroveremo sempre più numerosi Ordini ai quali sarà obbligatorio iscriversi e a proprie spese).
Nelle settimane scorse il ministro della PA parlava di attrattività del servizio pubblico e di recuperare da qui a 7/8 anni quel milione di dipendenti che andranno in pensione. Ma al netto delle chiacchiere non si intravedono all’orizzonte decisioni che prevedano, ad esempio, la rimozione dei tetti di spesa in materia di personale o salari dignitosi per favorire un’autentica leva assunzionale.
Ci pare evidente la volontà del Governo di ridurre il peso numerico del personale della PA: decretare la perdita di potere di acquisto salariale per finanziare i tagli al cuneo fiscale e gli sgravi alle imprese e, alla fine, favorire i processi di privatizzazione.
Che fare?
Rispetto a questa situazione cosa intende fare la Cgil ma, soprattutto, la forza lavoro della PA?
Le preoccupazioni della Cgil non sono solo indirizzate alla tenuta salariale, a dirla tutta sarebbero maturi i tempi per rigettare il codice Ipca – ma questo determinerebbe la rottura con Cisl e Uil e la fine di quel lungo inverno della concertazione da cui i rappresentativi non intendono uscire.
Non aiuta una divisione in compartimenti stagni delle trattative – volutamente non si mettono insieme i lavoratori pubblici proprio per salvaguardare orti e orticelli e, quindi, le attuali disparità retributive. È evidente che questa situazione abbia portato anche alla svalorizzazione, a dir poco, del contratto nazionale attraverso continui rinvii alla contrattazione di secondo livello ma se leggiamo gli ultimi CCNL si capisce che tutto il sindacato firmatario ha avallato queste scelte.
I contratti nazionali acuiscono le disparità salariali, danno forza a organismi che delegittimano le Rsu (2) piegandole ai voleri dei sindacati firmatari, introducono gli Ordini professionali, un modello di contrattazione perdente e una logica meritocratica che mette le mani in tasca alla forza lavoro depredandola di risorse che dovrebbero spettarle di diritto.
Non basta allora criticare il Governo per una gestione proprietaria dello Stato quando non si agisce contro i processi in atto, si divide la forza lavoro e ci si muove secondo logiche vecchie e superate, con un sistema di regole destinato a produrre miseria salariale ed erosione del potere di acquisto e di contrattazione, oltre a determinare processi di privatizzazione che rispondono ai dettami neo liberisti dello Stato leggero.
E questo è solo l’antipasto di quanto avverrà con l’autonomia differenziata.
(1) Indice dei Prezzi al Consumo
(2) Rappresentanza Sindacale Unitaria
venerdì, 30 agosto 2024
In copertina: Foto di Wolfgang van de Rydt da Pixabay