Il queer non rappresenta l’universo/mondo
di Simona Maria Frigerio (con un contributo di Noemi Neri)
A bocce ferme, come piace a IntheNet, affrontiamo la kermesse di apertura alle Olimpiadi parigine da altri punti di vista, anche perché il senso di offesa verso un credo religioso o una diversa visione del mondo sono stati già trattati ampiamente.
Partiamo allora dal fatto che la fotografa Brigitte Niedermair aveva immortalato una Ultima cena tutta al femminile, nel 2005, per la campagna pubblicitaria di M+F Girbaud e, tra il fashion e il patinato, aveva in certo modo valorizzato il ruolo della donna in una società fortemente maschile – come era quella descritta nei Vangeli, e avallata tuttora dal Vaticano, esemplificata in quel Cenacolo che, come i simposi greci (se si escludono le etere), vedeva solamente il genere maschile sedersi a tavola per discutere di filosofia, politica o religione.
Barbara Butch, che si auto-definisce “una grassa lesbica queer ebrea”, non ha quindi fatto niente che non si sia già visto e, del resto, l’espressione massima della macchina mediatica consumistica, ossia la pubblicità, ha attinto a piene mani nell’iconografia cristiana (basti pensare ai Jesus Jeans o all’icona della musica pop, Madonna, che grondava crocifissi in Like a virgin – poi indossati da tutte le ragazzine dell’epoca – o si atteggiava a novella Maria Maddalena in Like a prayer).
La Butch avrebbe anche ‘trasgredito alle regole’ posando nuda per la copertina di Télérama, con il titolo “Perché rifiutiamo la gente grassa?”. Anche in questo caso anni dopo una Demi Moore che sdoganava la nudità, ad esempio, della donna incinta, e ignorando forse che l’obesità negli Stati Uniti è un fatto che interesserebbe il 39,8% della popolazione adulta (difficile, quindi, rifiutare metà degli abitanti di uno Stato…). Per la verità, che è sempre più prosaica della retorica, la questione non è di nicchia, bensì una problematica che comporta serie ricadute sulla salute – dal diabete di tipo 2 a un eccessivo affaticamento delle articolazioni, e ancora, ipertensione, cardiopatie, persino alcuni generi di tumori. Grasso è bello? Di certo, non è sano.
Ma andiamo oltre. Butch dopo aver provocato, perché si è trattato di questo nella migliore delle ipotesi (nella peggiore dell’ennesima prova muscolare dell’Occidente di voler imporre la propria visione del mondo come la più corretta e, per questo, esportabile ovunque con le famigerate ‘missioni di pace’), pare voglia anche far causa per cyber-bullismo. E però se si pretende di giocare duro, in scivolata sulla caviglia dell’avversario, non si può poi lamentarsi con l’arbitro per la gomitata nell’occhio… Così come non si capisce perché il Cio (quello stesso organismo che ha escluso dalle Olimpiadi la Russia e la Bielorussia, che non è in guerra con nessuno, ma ha accolto Israele col suo carico di 16.000 bambini palestinesi ammazzati) abbia deciso di censurare la performance, dopo averla a suo tempo approvata. La censura è un errore che si aggiunge ad altro errore in quanto dimostra pochezza estetico-culturale nel momento della decisione e pusillanimità a posteriori: ben vengano le critiche e ben vengano le opere – valide o meno che siano – a suscitarle: la democrazia si basa anche su questi presupposti.
Dove ci portano tali considerazioni spurie?
In realtà, non molto lontano, se non ci domandiamo il senso di tale operazione. Da quanto avremmo appreso a mezzo stampa, Butch (ebrea e che, proprio per questo, forse, avrebbe potuto inviare un messaggio di altro tipo, ad esempio di riconciliazione tra musulmani, cristiani ed ebrei e, al contrario, ha accusato di antisemitismo i cristiani che l’hanno tacciata di blasfemia), con tale performance intendeva “unire le persone, radunarle e far sì che condividessero un sentimento di amore attraverso la musica”.
Cosa non ha funzionato in tale nobile intento? Solo la scelta dell’iconografia cristiana? Il fatto che la Dioniso/Cristo con tanto di pseudo-aureola sia sovrappeso? O che a quella tavola, a rappresentare il mondo, ci fossero solamente dei personaggi queer che, quando erano i freak immortalati da Diane Arbus esprimevano poetica e bellezza, ma qui pretendono di rappresentare tutte e tutti e, al contrario, sono una minoranza che, nell’ostentazione, rischia solo di risvegliare il peggior oltranzismo religioso e rigurgiti omofobici? Perché il mondo è composto da uomini e donne, che appartengono a etnie e religioni, culture, ceppi linguistici e costumi diversi, di età differente, con disabilità fisiche e/o psichiche più o meno rilevanti, eterosessuali, omosessuali, bisessuali, eccetera. Non siamo un unico manicheo universo fluido, consumistico, affetto da disforia di genere, intercambiabile a seconda dei capricci del capitale transnazionale, carne da cannone, manovrabile, inoculabile, acritico, acefalo, e figlio di un pensiero unico e omologante. Ma l’universo cangiante non era rappresentato.
Il caso della collega Noemi Neri
Ho sempre percepito la Spagna come un Paese all’avanguardia rispetto ai diritti civili. Di fatto, i differenti orientamenti sessuali sono maggiormente accettati rispetto all’Italia, le coppie omosessuali possono sposarsi e gli episodi di discriminazione sono minori.
Consultando l’offerta di un’agenzia di formazione sul territorio di Valencia, mi sono imbattuta nel corso Sensibilizzazione alla diversità sessuale, gratuito e della durata di due giorni. Ho colto l’occasione per fare esperienza diretta su come viene affrontata questa tematica. La parte più teorica del corso, in realtà, mi sembrava contribuisse a creare ancora più etichette e sotto etichette dei differenti modi di amare. Mi sono persa nelle categorizzazioni tra binario, pansessuale, alosessuale, fraisessuale, grisessuale, eccetera. Le relazioni umane sono indubbiamente complesse, dunque il linguaggio di cui necessitiamo per descriverle non può essere superficiale; tuttavia mi domando se tutte queste categorie aiutino la comprensione di modi eterogenei di amare o creino ancora più difficoltà. Al di là della modalità più o meno divulgativa di comunicare ‘nuove’ forme di approccio alla sessualità, a colpirmi è stato un episodio avvenuto durante un’esercitazione pratica.
Come partecipanti siamo stati divisi in gruppi, ognuno poteva condividere con gli altri situazioni di discriminazione a cui aveva partecipato direttamente o indirettamente. A me tornò in mente quando, in Italia, l’ex deputata Vladimir Luxuria fu attaccata per essere entrata nel bagno delle donne nella Camera dei deputati. Una ragazza del mio gruppo raccontò una situazione ben più singolare, che riporto: “Un mio carissimo amico ha sempre dichiarato di sentirsi anche donna. Dopo aver ragionato a lungo, ha deciso di cambiare sesso. Quando lo ha comunicato alla moglie, lei ha deciso di lasciarlo”. A questo punto io ho domandato dove fosse la discriminazione e la ragazza, piuttosto sorpresa, mi ha chiesto: “Perché: se il tuo fidanzato cambiasse sesso lo lasceresti?”. E sinceramente ho risposo sì, senza ombra di dubbio. Lei ha incalzato sostenendo che se ami una persona la ami a prescindere la sesso, ami la persona in quanto tale. Non ho niente da opinare in merito, infatti può darsi che per lei sia così; io non riesco a prescindere dall’aspetto sessuale, ma non per questo penso di discriminare qualcuno. Se il mio compagno si dovesse sentire donna e cambiare sesso, è libero di farlo. Allo stesso modo io sono libera di voler avere relazioni solo con uomini. L’episodio mi ha fatto molto riflettere in quanto la ragazza stava vedendo in me una persona discriminatoria, quando dal mio punto di vista ognuno è libero di avere relazioni con chi vuole e di esprimere se stesso come vuole.
Sono assolutamente a favore della parità di accesso ai diritti civili, non mi piace quando si creano dei privilegi solo per determinate categorie teorizzate e scelte dai politici. Il problema è che quando la difesa di ‘nuovi’ orientamenti sessuali o ‘nuovi’ modi di percepire se stessi, per esempio non binari, trans, trans, diventa estrema, porta alla demonizzazione dell’eterosessuale. Nell’episodio raccontato, infatti, io non posso essere eterosessuale, il mio identificarmi donna a cui piacciono gli uomini, in questo caso, diventa discriminatorio, un approccio assurdo che utilizza la discriminazione per combattere la discriminazione!
Questo è solo un esempio personale di come quando la difesa dei propri diritti non tiene conto di tutte le diversità, cade nello stesso errore del nemico che combatte. A questo proposito mi è venuto in mente l’interessante libro di Andrew Doyle, Libertà di parola. Sul totalitarismo dei buoni (Piano B Edizioni, 2022), dove si riportano gli effetti nefasti della cancel culture sostenuta dal politically correct, dove la messa al bando di alcune idee “per il bene di tutti” delinea una nuova forma di totalitarismo, quello dei presunti buoni.
Nel suo libro Doyle cita l’illuminista Thomas Paine: “Ho sempre sostenuto strenuamente il diritto di ogni uomo ad avere la propria opinione, per quanto questa possa essere diversa dalla mia. Chi nega a un altro questo diritto si rende schiavo della sua opinione attuale, perché si preclude il diritto di cambiarla”.
Ulteriori domande
Dopo aver ascoltato la testimonianza di Noemi mi sono chiesta: perché una persona dovrebbe vergognarsi di essere eterosessuale? O un/una omosessuale perfettamente a proprio agio con la propria appartenenza di genere ma attratto/a da persone del proprio sesso, senza velleità di ostentazione, senza voler essere queer e, magari, con il semplice desiderio di incontrare la persona giusta e formare una coppia stabile deve fingersi ‘fluido/a’ per essere incasellato/a in quella sigla, sempre più simile a una stringa da programmatore, LGBTQ+ e quant’altro?
L’attrazione sessuale è una questione di chimica. Un eterosessuale non sarà attratto da tutte le donne che si vede passare davanti, come non lo sarà una lesbica! E se a una persona piace il o la propria partner è sia per motivi psicologici e intellettuali (condivisione di valori, ideali, spazi, tempi, interessi, gusti, eccetera) sia fisici. Anche un bisessuale, perché dovrebbe sentirsi attratto dal proprio partner nel momento in cui diventa una lei? L’amore non è solamente platonico e nessuno dovrebbe essere costretto a far sesso contro le proprie inclinazioni o a forzare le stesse per un ideale fluido che è più ghettizzante del peggior oltranzismo.
Facciamo alcuni esempi banali. Una donna che ama portare i jeans e gioca a calcio deve essere per forza lesbica? E se le femministe buttavano via il reggiseno, lo facevano per andare a letto con altre donne (il che era proprio uno tra i pregiudizi e i timori del maschio anni 60) o per non sentirsi costrette, come avevano fatto le loro nonne, prima di loro, col corsetto? Un ballerino e un melomane devono essere obbligatoriamente gay per amare la danza e la Callas? Sono tutti luoghi comuni!
Piacciamo e ci piacciono gli altri per ciò che siamo e sono. Dentro e fuori: uno sguardo, il dinoccolare quando si cammina, un particolare modo di ridere magari scuotendo le spalle, o di rimproverare sbattendo le palpebre e abbassando il capo. Gesti, odori, inflessioni di voce, espressioni facciali, anche apparenza fisica. Cambiando sesso è un intero universo di senso a venire meno, per noi e per gli altri.
La fluidità di genere non è omosessualità. È una problematica seria, che si affronta psicologicamente, farmacologicamente e, se la persona in età adulta se la sente, chirurgicamente. Le “procedure mediche di affermazione del genere” possono essere uno strumento che permette alle persone transgender di vivere in maggiore armonia con la propria identità. Ciò non ha nulla a che fare con la scelta del partner – del proprio sesso o meno. Inibire i processi puberali con ormoni non è la risposta. Bensì l’ennesima costrizione. Facciamo un esempio che ci viene dalla letteratura scientifica. Quante ragazze soffrono di anoressia perché non si riconosco nelle proprie madri e, non mangiando, cercano di controllare il proprio mondo e di inibire la crescita e la trasformazione in donne(/madri)? Soffrono di fluidità di genere (1)? No. Ma un errore nella diagnosi, soprattutto in fase puberale, a cosa potrebbe condannarle? Occorre stare molto attenti ai messaggi e agli stereotipi (positivi o negativi) che si trasmettono agli e alle adolescenti. Lasciare che crescano, sperimentino e capiscano senza forzarli in percorsi psichiatrici e farmacologici prima del tempo sembra ormai una blasfemia. Ma un mondo fluido è anche un mondo perennemente instabile, ove si è più fragili e più manovrabili, altro che liberi!
Domande, tante. Certezze, nessuna. Ma voglia di prevaricare o imporre verità assolute, mai.
(1) Si veda: “l’attuale approccio trans-affermativo alla disforia di genere nei giovani e il focalizzarsi su modifiche fisiche irreversibili del corpo conseguite prima del raggiungimento della maturità non solo è in contrasto con lo sviluppo adolescenziale, ma può anche costituire un danno iatrogeno diretto. I clinici che si occupano di questa popolazione dovrebbero approfondire la loro conoscenza delle complessità dello sviluppo adolescenziale femminile e ascoltare la raccomandazione dell’autore di non colludere frettolosamente nell’uso di modelli di identificazione trans” in: https://www.generazioned.org/disforia-di-genere-e-anoressia-nelle-ragazze-adolescenti/
venerdì, 23 agosto 2024
In copertina: una delle tante immagine che sono state caricate sui social