Il centro-sinistra non ha colpe?
di Federico Giusti
Alcune regioni del centro-sinistra spingono per un referendum contro l’autonomia differenziata licenziata dal Governo; ma, in sostanza, siamo arrivati a questo punto di non ritorno proprio a causa delle mire maggioritarie e federaliste del medesimo centro-sinistra.
Maggioranza e minoranza nel Parlamento italiano sono divisi sull’autonomia differenziata ma anche all’interno dei vari schieramenti esistono posizioni differenti e, in taluni casi, inconciliabili. Siamo arrivati a un punto di non ritorno dopo anni di spasmodica ricerca di soluzioni atte a soddisfare i desiderata dei centri del potere economico e finanziario – anche se sono proprio i poteri forti, oggi, a manifestare dubbi e perplessità sulla riforma dell’intero sistema. Quanti tra coloro che difendono la Costituzione come baluardo della democrazia hanno contribuito a modificarla nel corso degli anni giudicando il controllo e la direzione dell’economia a fini sociali un’aberrazione nella dominante ideologia di mercato?
L’opposizione di centro-sinistra sta per raccogliere le firme a sostegno di un referendum abrogativo proposto dalle cinque regioni governate e, in attesa di conoscere il quesito referendario, appare evidente che alcune aree geografiche, dove il Pd continua ad avere consensi, sono tra quelle ad avere spinto con maggiore forza verso un modello federalista senza ritorno. Il federalismo e il presidenzialismo erano giudicati dai Costituenti due modelli autoritari e funzionali agli interessi economici dominanti: il potere del popolo era legato a un sistema elettorale costruito sul proporzionale che proprio il centro sinistra ha contribuito ad affossare. Chi scrive non è certo fautore della democrazia borghese ma resta innegabile che nel sistema elettorale attuale, il maggioritario, minoranze formate da milioni di elettori, non abbiano voci in capitolo e rappresentanza, l’esclusione dai consigli comunali e regionali o dal Parlamento di cospicue minoranze è, a nostro avviso, tra le cause della crisi stessa della democrazia.
Sono del tutto legittime le critiche delle regioni meridionali consapevoli che l’autonomia differenziata destinerà maggiori risorse al nord a mero discapito del sud arretrato economicamente, ostaggio del lavoro nero e con servizi sanitari e scolastici pubblici decisamente lontani dagli standard europei.
Se l’Italia è un Paese in crisi economica, l’autonomia differenziata non rappresenta certo la soluzione; alcune regioni necessitano di fondi statali senza i quali il servizio sanitario nazionale sarà destinato al collasso favorendo ulteriori, e nefasti, processi di privatizzazione.
Il Testo di legge approvato dal Governo in teoria stabilirebbe il principio della “proporzionalità delle risorse da destinare a ciascuna Regione” ma è proprio questo principio a essere dettato da ideologie che non tengono conto dei reali fabbisogni o, per dirla in altre parole, dubitiamo fortemente che la distribuzione futura delle risorse possa rispondere ai requisiti di equità sociale se pensiamo che a dominare la distribuzione del vil denaro saranno princìpi di efficienza alquanto discutibili.
Si va costruendo un modello statale assai contorto, un insieme di leggi destinate ad alimentare confusioni normative che potranno portare alcune regioni a rivendicare la gestione di risorse e di materie rilevanti come il commercio con l’estero, la previdenza integrativa, la protezione civile, le banche regionali, le politiche di formazione e di orientamento in materia di lavoro. Se l’autonomia differenziata nasce per ridurre il peso della burocrazia è assai probabile che partoriremo l’effetto contrario. Pensiamo alla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, alla gestione di porti e aeroporti, alle reti di trasporto e di navigazione. Alcune Regioni potranno attrarre investimenti a discapito di altre anche con normative favorevoli a possibili investitori. Si acuiranno, in breve, le differenze economiche e sociali tra le varie aree geografiche. E stiamo parlando di materie che dovrebbero essere, al contrario, di competenza dello Stato e non di singole entità regionali; quanto poi alla contrattazione politica tra Governo e regioni permangono innumerevoli criticità legate al peso economico e politico dei vari interlocutori. Perfino settori del padronato italiano sono alquanto scettici verso questo impianto normativo e legislativo: temono l’aumento dei costi e dell’inefficienza proprio nella gestione dei beni e servizi pubblici con effetti negativi sull’intero Paese.
Non a caso, ai primi di luglio, la Regione Veneto ha chiesto alla Presidente del Consiglio il via libera per attuare l’Autonomia differenziata in tutte le materie che non richiedono l’individuazione dei Lep (Livelli essenziali delle prestazioni): la bagarre è appena iniziata e, ammesso che la Cassazione accolga il quesito referendario delle regioni del centro sinistra, ci attendono mesi di caos istituzionale e di spinte destinate a disintegrare quanto resta della democrazia nel nostro Paese.
venerdì, 2 agosto 2024
In copertina: Le mani sulla città? Foto di Sabine Kroschel (Venezia) da Pixabay