Disuguaglianze sociali ed economiche
di Federico Giusti
Premessa. Non si comprende la crescente disuguaglianza sociale senza guardare alle dinamiche retributive e contrattuali.
Gli ultimi quarant’anni, all’insegna del neo liberismo, hanno visto crescere le disuguaglianze sociali e salariali all’interno dei Paesi a capitalismo avanzato e delle nazioni emergenti. Allo stesso tempo è calato il potere di acquisto e di contrattazione, l’età pensionabile si è innalzata e ovunque risultano in crescita infortuni e morti sul lavoro insieme alle malattie professionali soprattutto nei Paesi cosiddetti emergenti. In molte nazioni, inoltre, l’aumento esponenziale degli infortuni e delle morti sul lavoro avviene nei periodi economici in cui il PIL cresce maggiormente o dove l’innovazione tecnologica si afferma con maggiore lentezza.
Poi ci sono malattie professionali non ancora ritenute tali che derivano dai cambiamenti produttivi. Essendo i tempi dell’osservazione, dello studio e dell’analisi delle patologie spesso troppo lunghi, gli stessi producono risultati quando i problemi si sono già ampiamente manifestati in tutta la loro drammaticità (emblematico è l’esempio dell’amianto).
Stando ai dati Inail le denunce di malattia professionale protocollate nei primi 11 mesi del 2023 sono state 67.094, ossia un quinto in più del 2022. L’incremento delle malattie professionali è in rapida crescita – nel 2023 sono state il 32,1% in più rispetto al 2021, il 63,9% in confronto al 2020.
Quanto al potere contrattuale è bene ricordare come numerose materie oggetto di contrattazione con il tempo siano state sostituite e disciplinate da istituti contrattuali diversi, all’insegna della mera informazione o degli strumenti concertativi al termine dei quali la parte datoriale assume le proprie decisioni senza alcun potere di veto delle rappresentanze dei lavoratori. Le deroghe ai contratti nazionali e il rinvio alla contrattazione di secondo livello sono stati elementi costanti di quell’impoverimento contrattuale avvenuto anche nel primo livello di contrattazione. Pensare allora che la difesa del contratto nazionale sia la panacea di ogni male è non solo errato ma anche frutto dell’incomprensione di quali siano le dinamiche oggi esistenti nei vari Ccnl (contratti collettivi nazionali di lavoro). Sono questi ultimi a prevedere esplicitamente il rinvio alla contrattazione di secondo livello consentendo le deroghe rispetto a quei contratti nazionali che ormai si occupano ben poco dei diritti collettivi preferendo dedicarsi a tutele individuali. Il rafforzamento degli enti bilaterali, della previdenza e della sanità integrativa sono parte del problema o, se preferiamo, di una strategia costruita per erodere l’effettivo potere di contrattazione e quanto resta del welfare universale.
Nel frattempo, statistiche impietose attestano la crescita delle disuguaglianze.
Numerosi rapporti internazionali, come ad esempio quello dell’Oxfam, hanno riportato analisi e statistiche inconfutabili sulla crescita delle disuguaglianze avvenuta negli ultimi lustri: le cinque persone più ricche del mondo hanno raddoppiato le proprie fortune dal 2020, mentre 4,8 miliardi di persone risultano oggi più povere rispetto al 2019. E l’allargamento della forbice sociale e salariale investe direttamente l’Europa, specie i Paesi dell’Est.
Potremmo quindi sostenere che l’aumento della ricchezza complessiva sovente non si traduce nel miglioramento delle condizioni materiali di vita, il che dovrebbe indurre a una sola riflessione: le ricchezze sono andate ai profitti e non ridistribuite sotto forma di aumenti salariali e potenziamento del welfare. E per invertire la tendenza urge rivedere i rapporti di forza tra capitale e forza lavoro. Mai come oggi il potere contrattuale del sindacato è stato relegato a materie in numero veramente esiguo, l’assenza di conflitto nuoce non solo alle classe lavoratrice ma anche al sindacato stesso, al suo effettivo radicamento sociale e alla capacità di far prevalere gli interessi dei salariati sulle logiche speculative e di mercato.
Sarà una conclusione ideologica ma è evidente che senza conflitto la condizione salariale non è destinata a migliorare e si verifica invece l’accumulazione della ricchezza, del potere economico e di quello politico, nelle mani di ristrette élite. Potremo, in seguito, aprire una riflessione sulla natura del reddito, sulla quota derivante dal lavoro (i salari) e quella derivante da interessi e dividendi. In tal caso prenderemmo atto di come la ricchezza prodotta non sia in buona parte riconducibile ai redditi da lavoro, molti dei quali ormai hanno paghe orarie inferiori a un ipotetico salario minimo. Questo a conferma che proprio i quarant’anni neo liberisti hanno fatto la fortuna del capitalismo speculativo e finanziario determinando al contempo la precarizzazione del lavoro e delle nostre stesse esistenze.
Per approfondire:
venerdì, 12 luglio 2024
In copertina: Le lotte cilene al tempo di Allende, foto di WikiImages da Pixabay