Debito pubblico, Nato, Pil e welfare: come quadrare il cerchio?
di Federico Giusti
Il neokeynesismo di guerra ha permesso agli Usa di conservare la propria egemonia nel panorama globale ma, al contempo, è lecito chiedersi se la corsa al riarmo possa essere una soluzione praticabile per tutti i Paesi a capitalismo avanzato.
Se guardiamo agli Stati europei dell’area mediterranea – ad esempio, Italia, Spagna e Grecia – l’obiettivo di destinare il 2% del Pil alla spesa militare è oggettivamente perseguibile? E, qualora lo fosse, quali ripercussioni avrebbe sull’economia di questi Paesi anche in rapporto ai dettami di Maastricht?
La spesa militare ufficiale è molto inferiore a quella reale, vale per gli Usa come per altri Paesi della Nato con capitoli di spesa afferenti a svariati ministeri e non computabili dentro le risorse impegnate a fini militari.
Premessa necessaria a conferma che tra i dati ufficiali e quelli reali esistono contraddizioni rilevanti.
Ammesso, ma non concesso, che ogni Paese Nato voglia e possa raggiungere nell’arco di due o tre anni l’obiettivo del 2% del proprio Pil destinato alle spese militari, sarebbe in tal caso sotto controllo il debito pubblico?
Nella Ue l’idea di escludere le spese militari dalle regole di Maastricht è diffusa e trasversale a nazioni e organizzazioni politiche. Aumentando le spese militari sarebbe scontato accrescere le tasse o tagliare ulteriormente i fondi per lo stato sociale ma scelte del genere potrebbero determinare conflitti diffusi e assai pericolosi per la tenuta dei Governi nazionali.
Non siamo solo noi a suscitare dubbi e perplessità ma perfino l’agenzia di rating statunitense Moody’s con un apposito documento, Higher defence spending will strain budgets, but is credit positive for companies (La maggiore spesa per la difesa metterà sotto pressione i bilanci, ma è positiva per le aziende dal punto di vista del credito).
Snoccioliamo un po’ di dati. Nel 2022 la spesa per la difesa è stata pari all’1,3% del Pil per l’Ue e all’1,2% del Pil per la zona euro, con una spesa in entrambi i settori relativamente stabile in percentuale del Pil rispetto al periodo 2013-2022 (oscillante tra l’1,2 e l’1,3% del Pil), ma in calo rispetto al biennio 1995/1996 (1,6% del Pil). In percentuale sulla spesa totale, la spesa per la difesa è stata pari al 2,6% nel 2022, nell’Ue, e al 2,5% nella zona euro. Nel 2022 i livelli più elevati della spesa totale per la difesa nei Paesi della Ue sono stati osservati in Grecia (2,6 % del Pil), in Lettonia ed Estonia (entrambe 2,2% del Pil), Lituania (2,1% del Pil), Francia e Romania (entrambe 1,8% del Pil), Cipro e Svezia (entrambe 1,6% del Pil), nonché Bulgaria e Slovacchia (entrambe 1,5% del PIL). Per contro, l’Irlanda (0,2% del PIL), Malta e il Lussemburgo (entrambi 0,5% del Pil) e l’Austria (0,6% del Pil) hanno registrato una spesa relativamente bassa per la difesa nell’Unione Europea. Tra i Paesi dell’Ue e dell’Efta, l’Islanda ha registrato il livello più basso in assoluto, in quanto non dispone di un esercito permanente (0,1% del Pil).
Teniamo conto che, a livello europeo, nonostante le esplicite richieste della Nato fin dal 2014, per anni la spesa militare è stata contenuta – salvo poi, all’indomani della guerra in Ucraina, aumentare visibilmente. Fino al 2021, il livello della spesa per la difesa nell’Ue era rimasto stabile – sia in percentuale del Pil sia in percentuale sulla spesa totale. Tuttavia, nel 2022, in termini assoluti, la spesa dell’Ue per la difesa è aumentata a 204 miliardi di Euro, rispetto ai 184 miliardi del 2021. Questo aumento dell’11% rappresenta il secondo rialzo relativo più incisivo tra le funzioni di spesa generali (1).
Ora, alla luce di questi dati dobbiamo aprire alcune riflessioni. Ossia se il modello militarista dominante negli Usa sia esportabile ad altri Paesi Nato e, soprattutto, ai membri dell’Unione Europea e se un aumento delle spese militari, come richiesto dalla Nato, non sia invece una sorta di cavallo di Troia per le regole che sorreggono la stessa Ue.
È innegabile che accrescere gli investimenti a fini di guerra determinerebbe per l’Italia la crescita del debito pubblico fino al 144% del Pil nel 2030, qualora invece raggiungessimo, sempre per la spesa militare, il 2% del nostro Pil il debito arriverebbe al 147%. Paesi come Grecia, Spagna e Italia potranno quindi permettersi “livelli più bassi di sostegno popolare” a fronte di continui e progressivi aumenti della spesa militare?
Moody’s (2) punta i riflettori su Italia e Spagna: possiamo anche dubitare della bontà di questo interessamento pensando a operazioni finanziarie di natura speculativa dettate da obiettivi politici non meglio definiti come, ad esempio, l’indebolimento della Ue. Ma i rischi che corrono Spagna e Italia potrebbero anche investire nazioni come Francia, Regno Unito, Polonia e perfino la Germania – lacerata da una recessione economica che ha fermato dopo lustri la sua crescita economica.
Possiamo anche ipotizzare il timore statunitense nel fare i conti con una Ue armata e incline all’aumento delle spese militari. Del resto, alcune aziende produttrici di armi del vecchio continente potrebbero anche rappresentare una concorrenza pericolosa per lo strapotere economico Usa. Detto ciò è evidente che gli equilibri politici e sociali del vecchio continente sono ben diversi da quelli vigenti negli Usa e tagli poderosi al welfare oggi sarebbero ingestibili.
La crisi pandemica, prima, e quella causata dalla guerra in Ucraina stanno alimentando non poche contraddizioni in seno ai Paesi Ue. Un eventuale, e probabile, aumento del debito avrebbe l’effetto di ridurre la spesa sociale alimentando conflitti generalizzati difficilmente superabili. Ma questa elementare osservazione, se insinuata da un’agenzia finanziaria, appare alquanto sospetta. Forse a turbare i sonni di Moody’s sono ben altre ragioni come, ad esempio, il timore che in seno alla Ue prevalgano forze politiche nazionaliste con interessi e obiettivi non sempre accettabili Oltre Oceano.
Prendiamo, ad esempio, l’Italia ove la spesa per il settore militare tra il 2013 e il 2023 è passata da 20 miliardi di euro a 26 miliardi (+ 30%). Qui entrano in gioco altre ragioni, quali la mancata crescita del Pil – e le previsioni per l’Italia non sono certo incoraggianti. Il neokeynesismo di guerra sarà forse la soluzione per la crescita economica del vecchio continente o al contrario, come crediamo, rappresenterà un ostacolo e una contraddizione insuperabile?
Possiamo allora permetterci un aumento delle spese militari, rispettando al contempo i dettami di Maastricht nel rapporto tra Pil e debito pubblico, e allo stesso tempo evitare un disastro sociale derivante da ulteriori tagli al welfare? E sarà sostenibile una politica di austerity per i prossimi anni?
(1) Spesa pubblica per la difesa – Statistica (europa.eu): https://www.eeas.europa.eu/eeas/investire-di-più-e-insieme-nella-difesa-delleuropa_it#:~:text=Sulla%20base%20dei%20dati%20dell,NATO%2C%20pari%20al%202%25.
(2) Moody’s: “Allarme debito con la corsa al riarmo della Nato: Italia a rischio” – Affaritaliani.it
venerdì, 5 luglio 2024
In copertina: Foto di Karen. T. da Pixabay