Invece di guardare il dito, puntiamo alla luna
di Simona Maria Frigerio
Il Pd si spreca spesso a rivendicare i diritti civili quando non è più al potere per garantirli. E del resto, nella storia del Partito Comunista conosciamo la ritrosia ormai storica di Togliatti verso il divorzio, “innaturale e dannoso” (1), dato che l’Italia era (ed è) un Paese cattolico (o meglio, seppur ufficialmente laico, assoggettato ai voleri della Chiesa cattolica); o l’incomprensione del Pci – come di intellettuali sensibili ma poco avvezzi ai desideri e al pensiero femminili e femministi – quali Pier Paolo Pasolini, verso il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza. In questi giorni, che ci avvicinano al 28 giugno, invece di parate kitsch, proviamo a ragionare su diritti e doveri.
Se non stupisce che gli eredi (sebbene molto distanti ideologicamente dal Pci quando si tratti di critica al capitalismo) di detto partito, oggi, senza nemmeno chiedere alle donne cosa pensino del cosiddetto affitto del proprio utero o della vendita di un neonato creato sostanzialmente in provetta, con il colore degli occhi e il sesso predeterminati (il che potrebbe presto condurci alla vendita degli organi e sebbene rasenti l’eugenetica), non si siano fatti carico, quando erano al potere, di dare a omosessuali e lesbiche il semplice diritto a sposarsi esattamente come gli eterosessuali, con conseguente regolare diritto di adozione, forse è proprio ai basilari ai quali si dovrebbe tornare invece di imbastire carnevalate controproducenti. L’unione civile, al contrario, avrebbe potuto essere uno strumento giuridico per garantire alcuni diritti economici stabiliti tra adulti consenzienti, etero od omosessuali, che non vogliano in ogni caso sposarsi.
In Italia è più facile aggirare le leggi che approvarle?
Passiamo a un secondo punto e chiariamo che è un pregiudizio non supportato dai dati che alla madre surrogata ricorrano principalmente gli omosessuali. In Europa, la maternità surrogata è consentita in forma altruistica (ovvero senza esborso diretto per l’acquisto del neonato ma solo per la copertura sanitaria della gestante) nel Regno Unito, nei Paesi Bassi, in Danimarca e in Portogallo – dove è comunque vietata (Uk) o scoraggiata (altrove) per i non residenti. Anche in Belgio è altruistica e solo per i residenti; mentre sappiamo che l’Ucraina (2) – prima del conflitto – così come la Grecia e la Georgia sono le mete principali per la maternità surrogata commerciale ma solo per le coppie eterosessuali, anche straniere (e, guarda caso, spesso italiane). E ancora, l’Armenia ammette la surrogata retribuita o non, e qui possono accedervi anche le coppie omosessuali e i single.
La Russia, tacciata di omofobia e arretratezza culturale, ha invece chiuso le porte agli stranieri per quanto riguarda la maternità surrogata solo nel 2022 in quanto sembra essersi accorta (prima di noi) che era una forma di sfruttamento. Un altro Paese che permette la surrogata è Israele – ma solo per i residenti eterosessuali o le madri single infertili.
A questo punto vi chiederete perché il discrimine dei residenti. La risposta che possiamo darci (ma come ipotesi), soprattutto nel caso in cui si preveda solo la forma volontaristica, è che pare realmente difficile che una donna possa essere tanto legata a una coppia o a un/una single da portare avanti una gravidanza se non ha con loro/lui/lei un legame di conoscenza profonda (e questo avviene soprattutto tra persone di famiglia o amici che, di solito, vivono nello stesso Paese). Forse il legislatore si è reso conto che altrimenti si favorirebbe un commercio illegale?
Ma veniamo alle cosiddette ‘Mecche’ del sistema – Canada e Stati Uniti (3). Siamo tutti d’accordo che una donna che decida di donare il proprio utero in maniera volontaria è da apprezzare e siamo anche coscienti che potrà farlo solo una donna legata da profondo affetto e amicizia ai futuri genitori. Ma per l’esiguità di tali persone nella vita reale di ognuno di noi, nei Paesi dove è ammessa solo la scelta volontaristica (ed è difficile o pericoloso pagare in nero), le madri surrogate sono ovviamente poche. Così, in Canada (dove chi paghi una donna per ‘affittare’ il proprio utero rischia diversi anni di carcere e una mega-multa), si è deciso che le pene draconiane per chi aggiri la legge ricadano solo sul ‘committente’ e solo se residente. Fatta la legge, trovato l’inganno. Ecco che stranieri e canadesi – emigrati di lusso magri solo per il tempo indispensabile alla ‘pratica’ – acquistano ciò che dovrebbe essere donato, creando di fatto un sistema basato sulla diseguaglianza e che discrimina in base alla ricchezza personale. Gli States ovviamente hanno leggi diverse a seconda degli Stati, con alcuni in cui la madre surrogata è ammessa solo su base volontaristica, mentre in altri (come la Mecca del cinema, la California dei vip milionari, ma anche Stati tradizionalmente Repubblicani come il Texas o la Florida) è un business che assicura non solamente la ‘produzione’ di bambini, ma anche (in alcune cliniche) il loro sesso e il colore degli occhi (2), per coppie etero/omosessuali e single. I costi ovviamente sono iperbolici – dai 120 ai 140 mila euro per bambino – e possono lievitare in caso di complicazioni (anche per via del sistema sanitario privato e dalle parcelle gonfiate Made in Us).
Abbiamo scritto tutto ciò per sfatare alcuni falsi miti e stereotipi e allargare la discussione, in quanto decidere se la pratica della madre surrogata debba essere legalizzata o meno non è una scelta per favorire una parte di popolazione che, altrimenti, non potrebbe avere biologicamente un figlio (ossia gli omosessuali) bensì anche coppie (sterili o con malattie genetiche) eterosessuali, che potrebbero adottare, o single (che, se donne, potrebbero accedere più facilmente alla pratica medica dell’inseminazione artificiale o possono, in ogni caso, diventare genitori affidatari) e vip in carriera che non intendano perdere tempo. Il discrimine, quindi, diventa la possibilità di spesa del singolo o della coppia di ‘committenti’ e la necessità della donna, che si presta alla pratica commerciale, di guadagnare – soprattutto in Paesi dove la povertà è endemica (e gli States possono rientrare in tale categoria se, come scrivono i colleghi dell’Avvenire: “quasi il 12% della popolazione americana vive nel bisogno. Per 38 milioni di persone, cibo a sufficienza, acqua pulita, un’abitazione adeguata o vestiti puliti sono un lusso spesso inaccessibile” (4).
Arrivati a questo punto del ragionamento, mi e vi chiedo: in un’Italia (come la maggior parte dei Paesi) dove la surrogata al momento è vietata, la battaglia è far registrare presso l’anagrafe dei Comuni bambini ottenuti con una pratica illegale? E tutto ciò raggirando anche le leggi che esistono – e sono pienamente legittime – sull’adozione del figlio biologico del partner (art. 44, comma 1 della Legge sulle adozioni che, alla lettera d, permette l’adozione di un bambino non in stato di abbandono)? E la vera battaglia non sarebbe dare a un bambino o a una bambina due genitori a tutti gli effetti sposati (non per ragioni ideologiche o religiose bensì in quanto reciprocamente garantiti in caso, ad esempio, di separazione)?
Ripartiamo dai fondamentali
Eccoci tornare all’incipit. I partiti che si dicono laici non dovrebbero riconsiderare, innanzi tutto, la legge approvata dal Governo Renzi, ossia la cosiddetta Cirinnà o, più esattamente, la L. 76/2016 sulle unioni civili? Cristina Kirchner ha fatto molto meglio di noi in un Paese latinoamericano – ossia in un’area ancora fortemente conservatrice – rendendo finalmente omo ed eterosessuali uguali di fronte alla legge e detentori dei medesimi diritti (ma anche doveri) matrimoniali.
E invece, forse perché l’Italia è il Paese dei miraggi che impediscono di concentrare l’attenzione sulla realtà, la sinistra va alla deriva inseguendo i diritti di una piccola fascia di popolazione che, come scritto, non è costituita dagli omosessuali ma dai ricchi che possono comprarsi tutto – dal rene sul mercato (per ora) nero al piccolo principe biondo con gli occhi azzurri o tagliati a mandorla (perché non è nemmeno questione di etnia bensì di portafoglio).
L’omosessualità non è disforia di genere
In questo bailamme, chi perde è proprio quella parte di mondo omosessuale che pretende rispetto e parità di doveri e diritti e che, al contrario, finisce nel calderone del gender fluid. Ma la disforia di genere non è una moda bensì una impossibilità di riconoscersi nel proprio sesso, che comporta un percorso lungo e doloroso fatto di trattamenti ormonali e chirurgici, oltre che di supporto psicologico – il quale andrebbe affrontato quando ci si conosce davvero e si ha la forza e la maturità per farlo. Non c’entra nulla con l’omosessualità, la bisessualità e l’eterosessualità, che concernono la scelta del proprio partner sessuale. Anche in questo occorrerebbe fare attenzione perché confondere i margini sta rendendo sempre più facile alla fascia omofoba della società trasformare nuovamente omosessuali e lesbiche in freak e le manifestazioni arcobaleno in ‘spettacoli da baraccone’. Le scenette di Sanremo non sono meglio di quelle dell’avanspettacolo o delle battute da cinepanettoni: il folklorismo pacchiano non libera, abbassa la discussione e arma chi non vuole garantire uguali diritti e doveri e quella politica che pasce innalzando finti steccati per separare ancora di più la popolazione. Divide et impera.
Continuare a catalogare ogni comportamento come deviante rispetto a una normalità stereotipata non ci sta liberando, bensì ci sta riportando ai giochi per bambine e ai giochi per bambini: sia mai che al bimbo dell’asilo piaccia stirare e alla bimba sparare con la colt di plastica, guai se lui piange vedendo Bambi e lei si vesta d’azzurro, guai se lui vuole iscriversi al corso di danza e lei predilige il karate. Questa nuova sinistra o questa Europa che fingono di essere dalla parte delle libertà, etichettano e ghettizzano, costringono e impongono, erigono barriere inserendo qualsiasi scelta nella categoria disforia di genere o nella categoria cisgender. Addio alle femministe che gettavano al vento i reggiseni e si mettevano i pantaloni senza per questo sentirsi meno donne!
Ritorniamo ai basilari. Rivendicare il dialogo come esseri umani può aiutarci a uscire definitivamente dalla dicotomia nata ai tempi di pro-vax v/ no-vax perché tali finte battaglie servono solo a farci perdere di vista l’obiettivo comune: ritrovare noi stessi come singoli e come comunità pensanti e agenti.
(1) Togliatti sul divorzio: https://spazio70.com/media/documenti/quando-il-pci-era-contro-il-divorzio-il-manifesto-con-togliatti-per-la-campagna-referendaria-del-1974/
(2) I dati ufficiali: https://www.inthenet.eu/2023/05/05/i-figli-non-si-pagano/
(3) Un’accurata inchiesta sulla madre surrogata nel mondo: https://espresso.repubblica.it/attualita/2023/04/05/news/mappa_maternita_surrogata-394767174/
(4) La povertà negli States: https://www.avvenire.it/economiacivile/pagine/emarginazionec-era-una-volta-in-america-cosi-muo
venerdì, 28 giugno 2024
In copertina: Foto di Rosy da Pixabay