Partita la raccolta firme di Diritti alla Follia: lettera aperta ai compagni e alle compagne
di Simona Maria Frigerio
In queste prime settimane di campagna per la raccolta di 50.000 firme per cambiare la legge sull’amministrazione di sostegno, l’abolizione dell’interdizione e dell’inabilitazione, mi sono giunte molte voci contrarie all’iniziativa. Alcune, comprensibili, di parenti stretti di disabili psichici e/o fisici che si sono sentiti messi ‘sotto accusa’ e che non hanno capito, non avendo letto la proposta, di cosa si stia veramente discutendo; ma le più, di rifiuto per via del ‘colore politico’ di colui che ha fondato Diritti alla Follia, ossia Michele Capano – avvocato e militante Radicale.
L’Italia è un Paese strano, un Paese dove si ammazza l’unico intellettuale e artista che – comunista e antiabortista, ovvero Pier Paolo Pasolini – aveva il coraggio di stringere la mano e rispettava Marco Pannella – che lottò per l’autodeterminazione femminile ed era, d’altro canto, capitalista e atlantista. Due uomini così diversi, allora, riuscivano a rispettarsi e a dialogare. Oggi pare che qualsiasi proposta se non ha il nostro sigillo non vale nemmeno la carta sulla quale è vergata.
Eppure, cari compagni e care compagne, ricordiamoci che i radicali in questi anni si sono battuti (con pochi altri partiti e movimenti, quasi tutti extraparlamentari) non solamente per l’interruzione volontaria di gravidanza, ma anche per il divorzio. Pensiamo all’Associazione Luca Coscioni che difende il diritto all’eutanasia (il che non significa sopprimere vecchi e malati come qualcuno inopinatamente suggerisce ma, ancora una volta, garantire il diritto di scelta dell’individuo anche di dire ‘basta’ a lunghe sofferenze). Pensiamo al referendum per rendere legale la cannabis – che avrebbe tolto lauti guadagni alle mafie ed è stato osteggiato anche dalla cosiddetta sinistra preoccupata per quattro piantine auto-coltivate. E ancora, a Nessuno tocchi Caino, che si batte per l’abolizione della pena di morte.
Ma non è di questo che le compagne e i compagni mi scrivono bensì del colore del sigillo. Il gioco delle divisioni sui cavilli, porta da sempre la sinistra a perdere di vista i principi. Se Pasolini apprezzava l’onestà intellettuale di Pannella non significa ne condividesse le scelte capitalistiche. Se ci si affianca ad associazioni e movimenti che partono dall’idea di uno o più membri o simpatizzanti radicali, non significa condividere con loro anche il sostegno alla Nato (che, in ogni caso, non mi sembra messo in dubbio nemmeno dalle velleità pacifiste di facciata della sinistra), o a quel liberismo feroce e a quell’austerity di cui è campione il Presidente Javier Milei (con i pessimi risultati che tali scelte stanno facendo ricadere sulla popolazione argentina, soprattutto meno abbiente).
Ma entriamo nel merito almeno di un paio di punti e, per una volta, cari compagni e care compagne, torniamo a parlare di idee e non di personaggi – questa politica da spot televisivo che glorifica messianici vip i quali, per procurarsi uno scranno, rinascono alla politica senza aver mai lavorato un giorno della propria vita.
La legge che istituiva la figura dell’Amministratore di Sostegno, secondo il mio modesto parere, nasceva con le migliori intenzioni. Figura no-profit (che sarebbe stata quindi, quasi sicuramente, un familiare, un amico, una persona veramente cara al beneficiario e da lui/lei prescelta) che era seguita anche da un giudice tutelare, per ‘tutelare’ appunto il patrimonio del beneficiario e, quindi, evitare che qualche parente apparentemente ben intenzionato ma con mire altre si impadronisse di beni mobili e immobili ben prima di ereditarli (onestamente e legittimamente).
Purtroppo, negli anni il meccanismo si è in qualche modo deteriorato irrimediabilmente. Una pletora di professionisti (in pensione o ancora in attività), a volte commercialisti, altre avvocati, sono nominati dai giudici tutelari, senza nemmeno conoscere il beneficiario o la beneficiaria, anche in casi in cui quest’ultimo/a sarebbe ancora in grado di intendere e volere e vi si sostituiscono sia nelle scelte mediche sia in quelle patrimoniali. E già verrebbe da chiedersi perché un commercialista dovrebbe essere incaricato di decidere, magari, se il beneficiario debba o meno fare una chemio, assumere degli psicofarmaci o sottoporsi a un intervento chirurgico se il beneficiario è in grado (o meno) di intendere e volere. Con quale competenza?
Ma è sul patrimonio che si gioca la vera partita (anche se meno grave). In effetti al professionista il Ministero della Giustizia “riconosce solo un rimborso delle spese e, in taluni casi, un equo indennizzo stabilito dal giudice tutelare in relazione al tipo di attività prestata”, ovvero più elevato è il patrimonio, maggiori sono le pratiche da seguire autorizzate dal Giudice tutelare (come la vendita di immobili) e maggiore sarà l’indennizzo. Esentasse. Da qui ecco il fiorire di professionisti trasformatisi in AdS che seguono anche 40/50 beneficiari l’anno (come mi è stato riportato da fonte interna). Ma se un professionista per un cliente guadagnerà un migliaio di euro l’anno (e, quindi, parliamo anche di 50.000 euro l’anno esentasse), quanto tempo potrà dedicargli? Quanto vi costa il commercialista per fare un semplice 730? E una consulenza da un avvocato?
Ovviamente vi saranno anziani in pensione che operano in tal senso per pura bontà d’animo, per spirito di sacrificio e senso di responsabilità civica, ma quanti AdS pensano solamente a inserire il beneficiario o la beneficiaria in una Rsa, ottenere l’autorizzazione dal Giudice tutelare per venderne tutti i beni mobili e immobili, accreditare la cifra risultante su un Conto vincolato sul quale la Rsa o la Casa di cura, magari privata, ha l’accredito diretto mensile?
Da quando mi sono interessata al caso di un’amica, che aveva avuto la madre costretta al ricovero forzato in RSA, e che ne è uscita solo facendo causa al suo Amministratore di Sostegno; dopo aver sentito il caso di Marta Garofalo Spagnolo, morta a poco più di trent’anni in un gesto di ribellione contro l’istituzione totale (che, ieri, era il manicomio, oggi può essere la Casa famiglia psichiatrica o l’imposizione di psicofarmaci da parte dei Centri di Salute Mentale per Adulti); dopo la storia che mi hanno raccontato due donne – separate da un AdS estraneo – dai propri compagni di vita, rinchiusi contro la propria volontà in Rsa; dopo che mi è stato riferito di un disabile psichico al quale l’AdS centellina perfino i biscotti e tiene sotto controllo con le telecamere; dopo che un’amica avvocata mi ha raccontato di due anziani signori conviventi che si trovano a dover combattere contro un figlio che, dal nulla, riemerge per diventare Amministratore di Sostegno del padre (capace di intendere e volere) così da allontanarlo finalmente e definitivamente dalla compagna di un’esistenza; dopo tante storie… mi chiedo: quale colore ha la libertà?
Raffaello Belli, uno dei promotori fiorentini più agguerriti di Vita Indipendente, in un’intervista che mi ha gentilmente concesso mi ha fatto notare che l’AdS dovrebbe essere una persona di cui il beneficiario ha piena fiducia e, comunque, non dovrebbe sostituirsi a lui o a lei in tutte quelle decisioni che può assumere da sé: dove vivere, con chi vivere, come vestirsi, cosa mangiare, se leggere questo o quel quotidiano e così via. Se la persona con disabilità psichica e/o fisica ha bisogno di un aiuto, deve essere un supporto che fornisce una rete sociale di persone e professionisti che non vanno a sostituirsi alle decisioni dell’individuo ma lo aiutano e lo sostengono, nei limiti che ognuno di noi ha. Se oltre mezzo secolo fa già il team di Basaglia metteva in discussione la prescrizione di psicofarmaci perché misura costrittiva come una camicia di forza quando non voluta e condivisa con il paziente, che è e resta una persona, perché siamo qui oggi a dover discutere di una legge che ha semplicemente sostituito termini e mezzi ma non la sostanza di una continua coercizione della nostra libertà perché i marginali, gli esclusi, i diversi non hanno posto in questa società arrivista, individualista, consumista ed edonistica? Come diceva Pasolini (proprio per riallacciarmi all’intellettuale che ho citato all’inizio del pezzo): “Io credo nel progresso, non nello sviluppo”.
Ci sarà modo nei prossimi mesi di affrontare anche i temi dell’abolizione dell’interdizione e dell’inabilitazione. Per il momento fermiamoci qui. Cari compagni e care compagne, battersi per obiettivi di libertà e autodeterminazione non ha colore: a meno che ormai tutto ciò che vi interessa sia avere anche voi un’armocromista.
Per maggiori info:
https://dirittiallafollia.it/campagna-riforma-amministrazione-sostegno/
venerdì, 28 giugno 2024
In copertina: Foto di Gerd Altmann da Pixabay; nel pezzo, il logo della Raccolta firme