C’era una volta… ora non c’è più
di Simona Maria Frigerio
C’era una volta l’acid rock, genere musicale e stile di vita influenzati entrambi dall’Lsd, da chitarre distorte e atmosfere lisergiche che ipnotizzavano il pubblico così come i musicisti in un crescendo psichedelico pseudo-tribale.
C’era una volta un cantante bello e dannato come Lou Reed che cantava Venus in furs (Shiny, shiny, shiny boots of leather / Whiplash girlchild in the dark / Clubs and bells, your servant, don’t forsake him / Strike, dear mistress, and cure his heart (1), ispirato all’omonimo romanzo tedesco di Leopold von Sacher-Masoch e al sadomasochismo come forma di piacere sessuale condiviso da servo-a/padrone-a.
C’era una volta un altro cantante/poeta, altrettanto dannato ma persino più bello, che si chiamava Jim Morrison e che cantava in The End (“Father?” / “Yes, son?” / “I want to kill you” / “Mother? I want to…”, edipicamente “fuck you”).
E infine c’era una volta un poeta performer, che si faceva di funghi (ma non di porcini) e il suo Howl, letto dallo stesso Ginsberg nel 1955, presso la Six Gallery di San Francisco, fu una della prime performance agite in una galleria d’arte, mescolando creazioni artistiche per media diversi in un unico luogo aperto al pubblico.
25 maggio 2024. Nello spazio performatico dello Scompiglio di Vorno (che resta unica punta di diamante delle arti contemporanee in Lucchesia e oltre), Jacopo Benassi e Untitled Noise hanno tentato l’impossibile, ossia ricreare quel clima psichedelico mixando musica tra l’elettronico e l’industriale, con Benassi che scattava foto in bianco e nero al pubblico astante – flashato e assordato – proiettandole in tempo reale su schermo video gigante e, infine, si calava nel ruolo di uno sfatto (per le droghe) Lou Reed, e (per l’alcool) Jim Morrison, ripetendo con la sua flebile voce priva di intonazioni e sex appeal “fuck, kill, shiny leather, mother, father” – senza grande originalità (anche perché lo avevano già fatto altri e meglio).
La cosa che ha meno convinto di questo bailamme di media espressivi abbozzati e mixati sul palco è l’uso della fotografia in quanto strumentale a un finale ancor più scontato, teorizzato e abusato di tutto il resto, ossia alla proiezione di un primo piano di Benassi che tenta di paragonarsi al Morrison sfatto, prossimo al Père-Lachaise, mentre lui esce dalla sala (palco e sala coincidono come nelle esperienze psichedelico-tribali d’altri tempi) e la sua voce riecheggia in loop.
Ci troviamo in pratica di fronte a una immagine-tempo in quanto l’immagine (come simulacrum o phantasma) non si trasforma nel movimento di una serie di azioni filmiche ma si inabissa nel cortocircuito dell’immagine virtuale. Teorizzazioni ormai vecchie di decenni, già ampiamente sperimentate e sulle quali Benassi (peraltro eccellente fotografo) non interviene nell’unico modo in cui potrebbe trasfondere una propria originalità creativa. Ossia le foto, che scatta e proietta del pubblico, non aggiungono nulla alla dicotomia tra rappresentazione/costruzione e assenza/presenza, che solo una importante concettualizzazione e una certa mano registica avrebbero reso creazione artistica e non mero escamotage per proporre, infine, la propria come immagine cristallizzata.
C’era una volta. Ora si ha bisogno di altro.
(1) T.d.g.: Lucidi, lucidi, lucidi stivali di pelle / Frustata di una ragazza-bambina nel buio / Arriva veloce il tuo servo, non abbandonarlo / Colpisci, cara padrona, e cura il suo cuore
La performance è andata in scena:
Spazio Performatico dello Scompiglio
via di Vorno 67, Vorno (Lucca)
sabato 25 maggio, ore 19.30
Rozzo Interplay
Live set performance
di e con Jacopo Benassi e Untitled Noise
(prima performance della rassegna dei vincitori del Bando – indetto dalla Associazione Culturale Dello Scompiglio – e incentrato sulla Voce)
venerdì, 14 giugno 2024
In copertina: Jacopo Benassi / Untitled Noise – Bunker Torino (foto gentilmente fornita dall’Ufficio stampa dello Scompiglio, particolare)