Continua la tournée con la lettura dei messaggi di Hossam al-Madhoun
di Francesca Camponero
Quindici sedie sistemate a semicerchio in attesa dei quindici attori che hanno dato voce alle testimonianze di Hossam al-Madhoun, regista e produttore teatrale della compagnia Theatre for Everybody a Gaza. Così si presentava, martedì 4 giugno intorno alle ore 21, la Sala del Maggior Consiglio al Palazzo Ducale di Genova per accogliere GAZA ORA messages from a dear friend . Il progetto, un adattamento di Messages from GAZA NOW del londinese Az Theatre, è stato concepito e curato da Jonathan Chadwick, Ruth Lass e Iante Roach. Per l’Italia, la produzione è di Iante Roach, attrice, produttrice e co-regista di Az Theatre, e di Tanita Spang, attrice e mediatrice culturale per lo spettacolo dal vivo.
Uno spettacolo costruito su resoconti diretti e testimonianze degli ultimi sei mesi di chi ha vissuto in prima persona i disagi, le sofferenze e gli orrori della guerra che si sta svolgendo a Gaza. Le letture a opera dei quindici attori – Eugenia Amisano, Elena Arvigo, Elena Dragonetti, Iris Fusetti, Paolo Li Volsi, Mirna Kassis, Nicola Pannelli, Pier Luigi Pasino, Fiorenza Pieri, Carolina Rapillo, Alessandra Ravizza, Aleph Viola , Lara William e le stesse Iante Roach e Tanita Spang (questo il cast genovese) – hanno condotto gli spettatori dentro la città assediata immergendoli nella quotidianità di chi non ha più una vita. Il filo rosso è la vicenda di Hossam che, separato dalla figlia che studia a Beirut, deve affrontare l’incertezza di un quotidiano fatto di angoscia e paura insieme alla moglie e all’anziana madre malata.
I testi, tradotti in italiano, e letti dagli ottimi attori elencati, vogliono dare un chiaro messaggio di pace e di solidarietà con il popolo Palestinese che ingiustificatamente sta subendo la violenza dei bombardamenti israeliani che fanno pagare loro l’atto di pochi scellerati.
I messaggi sono stati scelti fra più di cento, scritti da Hossam al-Madhoun, e inviati tra blackout e colpi di mortaio. Ci tengo a riportare alcuni stralci di questi, che mi hanno colpita e che trovo particolarmente significativi:
“Ho vissuto 55 anni e sono stato testimone solo di guerre, bollato come terrorista dagli israeliani per la sola colpa di essere nato qui. Ma che colpa ho di essere nato a Gaza?”
“Guardo il mare con le navi della Marina Militare. Il mio cane è silenzioso come se sapesse cosa accade”.
“Ho guidato a 140 km all’ora non per coraggio, ma per paura: dovevo tornare in città a prendere lo stretto necessario per la sopravvivenza. Ma questo non è il mercato che conosco: migliaia di persone che vanno avanti e indietro per comprare beni di prima necessità. Tutti si muovono velocemente per nascondere vergogna e paura. È il giorno del Giudizio”.
“Un bombardamento ogni 5 minuti. Siamo isolati, non c’è internet, non abbiamo notizie, siamo noi la notizia”.
“Mia madre deve andare in ospedale: ha un problema allo stomaco. Spesso non può né mangiare né bere perché le si apre la ferita dentro ed esce tutto fuori. Deve andare in ospedale. Ma quale ospedale? Quei pochi rimasti devono occuparsi dei casi gravi, delle urgenze dei feriti. Non so cosa fare, a chi chiedere aiuto senza sembrare inopportuno. Mi sento colpevole di avere una madre malata. Mi sento colpevole di tutto”.
“Si cammina fianco fianco con la morte. Nulla di diverso dall’Inferno di Dante che avrebbe avuto maggiore ispirazione fosse qui adesso”.
“Povera Gaza non è rimasto neppure un albero. Solo una farfalla bianca svolazza. Da noi significa simbolo di morte. Vorrei allontanare questa idea perché lei è così bella...”.
“Odio le parole, mi fanno sentire inerme. Non ci sono parole per la morte di Macmud, il mio amico che sorrideva sempre”.
“Cosa resta di noi? Facce magre che non si vedono da mesi. Nessuno specchio. Ci si rade a tentoni. La faccia è piena di tagli. C’è un ragazzino che vende uno sguardo a un pezzo di specchio di 15 cm. Qualcuno paga, si guarda e piange. Io mi guardo ma non piango. Non provo più emozione, mi sento pesante. Cosa resta di me? …Il residuo di un essere umano. Nessun animo, nessun corpo, solo povere ossa”.
“Sei mesi di danni ai corpi e alle anime. 3.360 persone ammazzate a sangue freddo. Sei mesi in cui non si può tornare a casa. Sei mesi in cui i bambini sono diventati venditori ambulanti invece di andare a scuola”.
Con queste parole il pubblico è portano per mano tra gli sfollati in evacuazione forzata, cammina tra le macerie di una città distrutta, vede i volti di quelle famiglie sotto l’assedio totale che hanno perso tutto, donne senza più marito e figli rimasti vittime sotto le macerie: la sofferenza di chi vive a contatto continuo con la morte non capendo il perché. Perché non c’è perché alla guerra, ricordiamolo sempre.
Alla fine della performance tanti applausi sentiti. Iante Roache Tanita Spang ringraziano sia il pubblico che l’organizzazione di Palazzo Ducale che li ha ospitati in quella bella sala. Io confesso di sentirmi un po’ in colpa di essere lì, in quella ‘bella sala’, mentre nello stesso momento so esserci troppa gente al buio in un angolo freddo di un brutto rifugio.
venerdì, 14 giugno 2024
In copertina: Foto dell’Autrice del pezzo, durante la replica del 4 giugno a Palazzo Ducale