La divisione dei poteri nello scenario politico attuale
di Simona Maria Frigerio
Premessa. Fu Platone che, nel dialogo La Repubblica, scrisse per primo che era necessaria l’indipendenza del giudice dal potere politico. Ma per la teoria moderna sulla separazione dei poteri bisognerà attendere il 1748 quando Montesquieu, ne Lo Spirito delle leggi, constatò che: “Chiunque abbia potere è portato ad abusarne”, individuando nell’indipendenza l’una dall’altra delle tre funzioni dello Stato – legislativa, esecutiva e giudiziaria – la garanzia per la libertà dei cittadini.
Oggi, però, il potere giudiziario è messo decisamente in crisi, soprattutto a livello internazionale, perché gli organismi sovranazionali che dovrebbero garantire l’eguaglianza di fronte alla legge – come hanno recentemente affermato anche i Presidenti Putin e Xi Jinping nel loro comunicato congiunto al termine dei colloqui bilaterali – si sono politicizzati, ovvero sono troppo spesso manipolati dall’egemonia occidentale oppure impotenti di fronte a Stati protetti e sostenuti da chi rappresenta il potere egemonico unipolare.
Ecco, quindi, che la Corte Penale Internazionale è praticamente impotente quando intenta causa – per crimini di guerra o contro l’umanità – non versus qualche dittatorello dello Stato libero di Bananas ma chiede l’arresto del Premier israeliano Benjamin Netanyahu e del suo Ministro della Difesa, Yoav Gallant, per “aver causato lo sterminio, e la fame come metodo di guerra, inclusa la negazione di aiuti umanitari, deliberatamente prendendo di mira i civili”.
Allo stesso modo non hanno conseguenze le decisioni della Corte internazionale di giustizia dell’Onu che ha ordinato a Israele di fermare la sua offensiva a Rafah o le misure provvisorie che la stessa aveva imposto allo Stato di Israele addirittura il 26 gennaio, tra le quali: “garantire che gli atti considerati genocidi ai sensi della Convenzione sul Genocidio non abbiano luogo a Gaza”. Come ha scritto l’analista politico, Mouin Rabbani, su X: “La Storia – con l’iniziale maiuscola – è stata fatta oggi. A partire dal 26 gennaio 2024, Israele e i suoi sponsor occidentali non potranno più mobilitare l’Olocausto per proteggersi dalle responsabilità dei loro crimini contro il popolo palestinese”. Purtroppo, però, tutto ciò non ferma Netanyahu né il suo esercito.
Dal potere giudiziario a quello legislativo, registriamo, al contrario, finalmente una presa di posizione netta del Presidente russo, Vladimir Putin, che ha firmato un Ordine Esecutivo per mettere fine all’arroganza occidentale. Dopo decenni di neo-colonialismo e neo-liberismo che hanno imposto non solamente un’unica visione dello sviluppo nel senso di delocalizzazione della produzione, libero scambio di merci (ma non libertà di migrazione) e sfruttamento delle risorse umane e naturali, è finalmente giunto il momento in cui i paradigmi stessi di un mondo unipolare vengono meno. Se fino a due anni fa, l’Occidente poteva impunemente trasgredire alle proprie regole (contraddicendo lo stesso WTO e il diritto internazionale), adesso è la Russia (ma stiamo notando vieppiù anche la Cina) a ribattere con misure per “compensare i danni causati alla Russia e alla sua Banca Centrale dalle azioni ostili statunitensi”. Come informa il sito del Presidente, il 23 maggio Putin ha firmato – come scrivevamo – un Ordine Esecutivo, per nulla arbitrario in quanto basato sulla “Legge Federale No. 281-FZ su Misure Economiche Speciali e Misure Coercitive, datata 30 dicembre 2006; sulla Legge Federale No. 390-FZ sulla Sicurezza, datata 28 dicembre 2010; e sulla Legge Federale No. 127-FZ su Misure Impattanti (Contrastanti) le Azioni Ostili degli Stati Uniti e di altri Stati Stranieri, datata 4 giugno 2018”. Nel merito si specifica che, in caso siano sequestrati in modo ingiustificabile beni di proprietà russa su decisione delle autorità statunitensi, l’avente diritto potrà far richiesta a un tribunale russo per la conferma del sequestro indebito e il successivo risarcimento danni. A quel punto: “La Corte farà, a sua volta, richiesta alla Commissione Governativa, intesa a monitirare gli investimenti stranieri nella Federazione Russa, affinché fornisca una lista di asset statunitensi che potranno essere utilizzati per la compensazione dei danni. Si potrà trattare di beni immobili o mobili sul territorio della Federazione Russa, obbligazioni, azioni di aziende russe e diritti di proprietà detenuti dagli Stati Uniti o da suoi cittadini”. Aldilà dei titoli dei media occidentali che nascono, come sempre, da un pensiero povero di complessità, l’Ordine Esecutivo di Putin si appoggia a leggi vigenti e non espropria indiscriminatamente ma basandosi su precise denunce, vagliate dalla magistratura, a cui spetterà poi agire conformemente a quello che possiamo qualificare come un decreto presidenziale. La separazione dei poteri è quindi garantita ma, soprattutto, la Russia reagisce alla minaccia mentre il mondo unipolare scricchiola.
Il terzo potere – o il quarto secondo Orson Welles – potrebbe essere quello detenuto dai media, inteso non come gran cassa dei peggiori istinti dell’opinione pubblica – vedasi i vari casi di cronaca nera o rosa che imperversano (come rumore distraente) su tv nazionali e quotidiani; quanto come giornalismo d’inchiesta e denuncia che può rendere meno manipolabile quella stessa opinione pubblica e più critica sulle scelte politiche ed economiche.
L’esempio migliore di questo giornalismo e della tenacia del mondo libero e democratico, che chiamiamo Occidente, nel perseguirlo, tacitarlo, infangarlo e distruggerlo con uno stillicidio che, solo in apparenza è legale ma, in realtà, dimostra quanto ormai la magistratura sia un’arma del potere politico, è Julian Assange. Nonostante gli sia stato concesso di appellarsi contro l’estradizione negli Stati Uniti, la verità è che questo giornalista a cui il diritto alla libertà di stampa e di parola dovrebbero garantire una immediata scarcerazione, è tuttora detenuto nel Regno Unito, dopo essere stato infangato da quella Svezia che equipara rapporti non protetti a violenza carnale, dimostrandosi Paese che non ama affatto le donne in quanto le infantilizza, trattandole come vittime e destituendole dal diritto all’autodeterminazione sul proprio corpo.
L’unica vera colpa del fondatore di WikiLeaks è di aver denunciato i crimini di guerra statunitensi in Iraq e in Afghanistan. E appare quasi ridicolo che l’appello sia stato garantito solo perché gli States non hanno accettato a priori che il giornalista possa avvalersi della protezione garantita dal Primo Emendamento – che riguarda la libertà di parola – in quanto straniero. In pratica, negli States, la libertà di espressione, protetta nella Dichiarazione universale dei diritti umani e nella Legge internazionale sui diritti umani delle Nazioni Unite, sarebbe appannaggio solo dei cittadini statunitensi. Ma del resto, cosa ci si può aspettare dal Paese che protegge e foraggia Israele, esempio di Stato/nazione (degli ebrei, come si autodefinisce), basato costituzionalmente sull’apartheid dei palestinesi (ma anche dei cristiani)?
venerdì, 7 giugno 2024
In copertina: Julian Assange, immagine di Hafteh7 da Pixabay (particolare)