Cartoline dall’inferno
di Luciano Uggè
Iante Roach, attrice e produttrice italo-australiana che lavora da anni con gli artisti della Striscia di Gaza, il Theatre for Everybody palestinese e l’Az Theatre di Londra stanno organizzando una tournée in Italia con le letture sceniche dei messaggi inviati dall’attore, regista, drammaturgo e fondatore del Theatre for Everybody, Hossam al-Madhoun, scritti a partire dal 9 ottobre scorso e con aggiornamenti quasi quotidiani dalla Striscia di Gaza.
Noi abbiamo partecipato alla serata del 20 maggio al Teatro Cantiere Florida di Firenze. Presenti sul palco la stessa Iante Roach e Tomaso Montanari, il rettore dell’Università per Stranieri di Siena, il quale – in un preambolo pregnante – ha ricordato come a chiunque giustificasse il genocidio del popolo palestinese in atto con i fatti del 7 ottobre, si può rispondere che se questo massacro riguardasse un popolo cristiano la nostra reazione sarebbe forse diversa.
Indirettamente, anche le parole di Primo Levi, espresse nell’intervista concessa a Gad Lerner nel 1984, hanno aleggiato sul palco: “Alla fonte da cui traevano forza gli ebrei della Diaspora, oggi traggono motivi di riflessione e di travaglio. Per questo parlo di eclissi, spero momentanea, del ruolo d’Israele come centro unificatore dell’ebraismo” e più oltre, Levi affermava profeticamente in quella sua denuncia della ‘vittima che si fa carnefice’: “Credo che vada sollecitato il ritiro [di Israele] dal Libano. Altrettanto urgente è bloccare i nuovi insediamenti ebraici nei territori occupati. Dopo di che, come già dicevo, va cautamente ma decisamente perseguito il ritiro dalla Cisgiordania e da Gaza”.
Tutto ciò ovviamente non è accaduto. Al contrario, dalla Nakba a oggi Israele, invece di porsi come modello di democrazia, è diventato vieppiù uno Stato fondato sulla violenza, retto da un regime razzista che utilizza gli strumenti dell’apartheid e dell’occupazione illegale dei Territori palestinesi per reggere un’economia di guerra, spina nel fianco dei Paesi arabi di chiara matrice (e con il sostegno) occidentale. E di questo sembra essersi finalmente accorta anche la Corte di Giustizia Internazionale dell’Aia che ha spiccato mandati di cattura contro Yahya Sinwar, Mohammed Diab Ibrahim al-Masri, noto come Deif, e Ismail Haniyeh, rispettivamente a capo di Hamas, della sua ala militare nota come Brigate Al-Qassam, e dell’ufficio politico di Hamas; ma altresì contro il Premier israeliano, Benjamin Netanyahu, e il suo ministro della difesa, Yoav Gallant, penalmente responsabili di crimini di guerra e crimini contro l’umanità.
Sono ormai 76 anni che i palestinesi attendono di tornare nella loro terra, dopo l’esodo forzato del 1948 (la Nakba di cui scrivevamo), o di vivere in pace e sicurezza in quello Stato promesso a più riprese dalle Risoluzioni dell’Onu. Anche se va detto che la ripartizione in due nazioni, proposta ufficiale datata 1947, garantiva che lo Stato ebraico popolato da 498.000 ebrei e 407.000 arabi avrebbe occupato il 55% del territorio, mentre ai 735.000 arabi restanti (e a una minoranza ebrea composta da 10.000 persone) sarebbe stato attribuito solo il 45% del territorio precedentemente sotto mandato britannico. In pratica, i colonizzatori, andandosene, invece di restituire la Palestina ai suoi abitanti per la costituzione di uno Stato multietnico e multireligioso (grazie alla presenza di islamici, ebrei e cristiani) garantiva indirettamente la legittimità di uno Stato/Nazione degli ebrei, come si sarebbe autodefinito Israele nel 2018 – seguendo quella direttrice teocratica e razzista, islamofobica e antidemocratica che già intravedeva Levi negli anni 80 del Novecento.
Perché questa lunga premessa? Perché non si può comprendere il valore della Resistenza palestinese se non si conosce la storia di questo popolo perseguitato e colonizzato da coloro che, seppur furono vittime (ma di noi europei e non degli arabi), oggi non hanno alcun diritto di perpetrare i medesimi crimini dei nazi-fascisti, primo fra tutti il genocidio.
Sul palco per Gaza Ora. Messages from a dear friend, al contrario, scorre la quotidianità del massacro in atto vista con gli occhi di un palestinese colto e di mezza età, come Hossam al-Madhoun, che narra pacatamente di incontri, viaggi spericolati, forme di accoglienza inaspettata, mancanza di gas o farina, centinaia, anzi migliaia di persone ammassate in spazi che ne potrebbero contenere un decimo, cellulari che non prendono, sangue e amputazioni, scuole trasformate in rifugi e bambini in uomini, acqua potabile che è ormai un miraggio, così come una doccia calda o uno specchio – storie di ordinaria follia tra scoppi di bombe e voli di droni, polvere, sangue e morte.
Alcuni messaggi sono troppo lunghi per il ritmo teatrale e, ovviamente, dipende da chi le recita la capacità di raggiungere il pubblico. Ma resta la testimonianza, quella testimonianza che ha risvegliato i giovani delle università di tutto il mondo e che, proprio qui in Occidente, danno più fastidio al potere perché sono i ragazzi che, soprattutto negli States, rappresentano le famiglie più agiate e l’élite democratica – che potrebbero fermare Israele rendendo la rielezione di Biden a Presidente ancor più difficile. In fondo, anche in Vietnam fu una generazione a dire basta alla guerra, la stessa che oggi – purtroppo – controlla forse le lobby che le guerre, le foraggiano.
Il teatro se non è civile, non è teatro: è spettacolo.
Gaza Ora. Messages from a dear friend
Testimonianze di Hossam al-Madhoun
le prossime date della tournée, a giugno:
1° giugno SONDRIO Spazio in via di definizione
3 giugno ROMA Casa Internazionale delle Donne, ore 19.00
4 giugno GENOVA Palazzo Ducale, ore 21.00
30 giugno FIRENZE Lumen, ore 21.00
Milano, Torino, Venezia, Palermo, Bari, Lecce, e altre date/città sono in via di definizione
Alcuni tra i testi di Hossam al-Madhoun: https://aztheatre.org.uk/another-day-messages-from-gaza-now/messages-from-gaza-now-in-italiano/
venerdì, 31 maggio 2024
In copertina: Il Logo dell’Az Theatre