Le libertà delle persone: le stesse per disabili e normodotati
di Simona Maria Frigerio
In questi mesi l’Associazione Vita Indipendente si sta battendo per ottenere una serie di garanzie dalla Regione Toscana e, in primis, dal Presidente Giani. L’associazione opera in Toscana fin dagli anni 90 e ha due caratteristiche distintive: “I suoi soci sono esclusivamente persone con accertata disabilità che necessitano di assistenza personale e dichiarano di voler fare vita indipendente”; e ricomprende al suo interno “diverse tipologie di disabilità”, ossia “poliomielitici, spastici, distrofici, para-tetraplegici, non vedenti ed ipovedenti” senza distinzione.
Negli ultimi mesi ha iniziato a lottare contro alcuni punti della delibera della Giunta regionale toscana n. 1577/23, laddove la stessa intendeva sostituire il termine ‘vita indipendente’ con ‘vita autonoma e domiciliarità’. Un passo indietro enorme, come ci spiega telefonicamente Raffaello Belli, da anni promotore e attivista dell’associazione: «Il termine indipendente implica non solamente l’autonomia che può assicurare, ad esempio, un ausilio tecnologico e la domiciliarità garantita dalla presenza di un o una badante, ma il diritto di esercitare il potere decisionale sulla propria esistenza, il che implica la scelta del proprio o della propria partner, del colore di una cravatta o del farsi o meno aiutare in una determinata mansione – anche ci volesse il triplo del tempo se la facessi da me!».
Parlare con Belli apre un mondo, soprattutto a chi si crede normodotato (perché, in fondo, chi lo è davvero?). Siamo tutti diversi l’uno dall’altro e ognuno ha i suoi limiti. Si può essere grandi miopi (come me) e sembrare normodotati solo perché le lenti a contatto ci permettono di muoverci con sicurezza nello spazio – ma senza quell’ausilio tecnologico, cosa faremmo? Non potremmo nemmeno camminare per strada da soli! E poi, con l’età, tutti quanti dobbiamo arrenderci a una progressiva diminuzione delle nostre capacità – fisiche e cognitive; per non dire nulla sulle conseguenze di una malattia, magari degenerativa, o di un incidente – che possono metterci nella condizione di rimanere disabili a vita (o anche solo per un periodo di tempo).
Proseguendo nella chiacchierata emerge con forza la rivendicazione dell’associazione che “le persone con disabilità esercitino e siano titolari dei diritti fondamentali di libertà e di uguaglianza, primo fra tutti quello di autoorganizzarsi la propria vita come ogni altra cittadina o altro cittadino”. Ma non solo,“Vita indipendente significa che le persone con disabilità non devono lasciarsi condizionare da presunti ‘esperti’ senza disabilità che troppo spesso finiscono per esercitare sulle persone con disabilità forme asfissianti di controllo e di potere”. E qui entra in gioco la figura dell’Amministratore di Sostegno, il quale troppo spesso «è imposto d’imperio», come avverte Belli. Al contrario: «l’AdS dovrebbe prendere qualsiasi decisione basandosi sulla volontà del disabile. Ovviamente la vita indipendente implica che il disabile sia in grado di decidere ma anche coloro che possono farlo solo parzialmente, devono essere rispettati nelle loro scelte. Faccio un esempio. Se una persona non è in grado di portare avanti le pratiche per la compravendita di una casa, è ovvio che debba farsi aiutare da un esperto, ma questo non implica che chi mi aiuta in una pratica burocratica complessa debba poi decidere anche dove devo vivere, cosa mangiare o leggere, o come vestirmi! Inoltre, la persona che mi aiuta deve essere qualcuno di cui mi fido, che conosco e che è di mio gradimento. Tutto ciò, nella pratica, non è applicato». E Belli, con la sua grande sensibilità, tiene anche a sottolineare un altro aspetto spesso sottaciuto: «Una donna deve essere aiutata da altre donne; altrimenti, se lo fa un uomo, è una forma di violenza. E colei o colui che aiuta dovrebbe dare consigli ma mai sostituirsi alla volontà del disabile».
Passando dalla quotidianità ai ‘massimi sistemi’, va detto che a Ginevra l’Onu ha costituito il Comitato per i Diritti delle Persone con Disabilità. Ma se si riconosce un diritto e poi non si elargiscono i fondi e non si costituiscono reti e strutture atte a esercitarlo, a cosa serve? Il General comment n. 5 del 2017 dell’UNCRPD, al punto 16, stabiliva (come si legge sul sito dell’associazione): “vita indipendente… significa… [avere]… tutti i mezzi necessari per… prendere tutte le decisioni riguardanti la propria vita… compreso l’accesso ai trasporti, all’informazione, alla comunicazione e all’assistenza personale, al luogo di residenza, alla routine quotidiana, alle abitudini, al lavoro dignitoso, ai rapporti personali, all’abbigliamento, all’alimentazione, all’igiene e alla salute, alle attività religiose, alle attività culturali e ai diritti sessuali e riproduttivi… [e compreso decidere]… dove viviamo e con chi, cosa mangiamo, se ci piace dormire o andare a letto la sera tardi, stare dentro o fuori casa, avere una tovaglia e candele accese al tavolo, avere animali domestici o ascoltare musica. …Inoltre non va interpretata unicamente come capacità di svolgere le attività quotidiane”.
Queste parole pesano come macigni se pensiamo all’impossibilità per un paraplegico di prendere un treno o anche un tram (visto che esistono gradini e gap che non permettono alla carrozzina di salire e scendere da molti mezzi di trasporto pubblico); ma pensiamo anche alle sterilizzazioni forzate imposte dai regimi nazi-fascisti (ma anche da ‘civilissimi’ Paesi come la Svezia (1) fino al 1976); o, ancora oggi, a persone il cui corpo è sottoposto all’arbitrio di un AdS (2); e ancora, alla crescente mania italiana di ricorrere a una Rsa per risolvere qualsiasi problema di assistenza e cura (3). Case di cura, spesso private, a loro volta trasformatesi in lucrosi business per le multinazionali proprietarie e per il mercato immobiliare, dove confluiscono i beni immobili di anziani costretti a vendersi l’abitazione di una vita per mantenersi in strutture asettiche e molto simili a quelle istituzioni totali che affermiamo di aver eliminato dalla nostra realtà con la chiusura dei manicomi.
Ma torniamo ai fondi. L’importo del finanziamento nominale regionale pro capite per l’assistenza personale per la vita indipendente, in Toscana, “è fermo al 2004, e quindi in termini reali si è ridotto del 50%”. Di conseguenza, anche se “in astratto la vita indipendente è un diritto”, non esiste alcuna “norma di legge che stabilisce di preciso quanto deve essere dato per l’assistenza personale”. Belli ammette che: «I soldi non bastano! Se uno ha un assistente personale solo qualche ora al giorno, forse. Ma non quando si ha la necessità di un’assistenza H24. Inoltre non è facile trovare un o una badante che sia presente e di aiuto ma che lasci al disabile di decidere della propria vita». Proprio su questo punto allarghiamo il discorso ai gruppi di auto-aiuto (una realtà valida e in uso da decenni negli States ma che ancora fatica a prendere piede in Italia). Belli ci spiega: «Bisogna imparare a gestire e a organizzare la propria vita. E occorre avere consapevolezza di sé. Mi spiegherò ancora una volta con un esempio. Si deve tornare a sentirsi degli studenti, che hanno bisogno di imparare. Si cresce pian piano, interloquendo anche come coppia. Ma ci vuole chi ci aiuta a imparare. Ecco perché è necessario condividere con altri disabili le proprie esperienze. Chi ha maggiore esperienza può trasmetterla a chi si ritrova in una particolare situazione da un tempo minore. L’aiutante deve aiutare il disabile a scoprire il proprio corpo e ad assecondarlo. È un percorso da fare insieme. Ma anche il disabile deve avere la forza e la volontà di fare da sé, non deve arrendersi anche quando può essere difficile e doloroso. Io ogni giorno mi impongo di camminare per cento metri. Possono sembrare pochi, ma per me è come per un normodotato fare dieci chilometri! Certamente potrei restarmene seduto ed evitarmi lo sforzo, che è immane. Ma io non mi arrendo. Io tutti i giorni mi impongo di farlo e lo faccio».
Recentemente, a Bruxelles, è stato denunciato che in molti Paesi europei la vita indipendente è negata a chi ha più di 65 anni dato che i finanziamenti per l’assistenza personale sono azzerati al compimento del 65° anno d’età. La Regione Lombardia, che è sempre apri-pista quando si tratta di togliere qualche diritto o finanziamento sociale, all’articolo 2 della Legge regionale n. 25/2022, ha stabilito che “la vita indipendente non spetta a chi diventa disabile per via dei processi degenerativi dovuti alla vecchiaia”. Proprio nel momento in cui noi tutti avremmo più bisogno di continuare la nostra esistenza senza pesare sui nostri figli, che magari hanno una loro vita altrove, o che pretenderemmo di vivere nella nostra casa, a cui siamo legati da ricordi e affetti – ebbene, terminata la vita lavorativa ed esaurita la nostra capacità di produrre per il capitale, ci trasformiamo in un peso che va scaricato.
Chiudiamo ancora una volta rivolgendoci a Belli che rivendica: «La vita indipendente deve valere anche per gli anziani. In Toscana c’è uno Statuto che, all’articolo 4 (comma e), stabilisce “il diritto delle persone con disabilità e delle persone anziane ad interventi intesi a garantirne la vita indipendente e la cittadinanza attiva” (4). Se non ci battiamo perché anche gli anziani abbiano il medesimo diritto, l’unica alternativa è di finire in una Rsa. E questo è il mio peggior timore. Potrei raccontare molte storie che mi sono state riferite, ma vi lascio con una sola, l’esperienza di un’infermiera che è stata licenziata perché cambiava il pannolone del disabile anche quando urinava e non solo quando defecava. In quelle strutture si arriva persino a questo!».
In Toscana è stabilito che la vita indipendente non spetta a chi diventa disabile per via dei processi degenerativi dovuti alla vecchiaia e questo nonostante a Bruxelles si sia sottolineato che è una decisione inammissibile. Eppure qualsiasi medico, se chiamato a rispondere, afferma che l’unico rimedio per attenuare i processi degenerativi dovuti all’età è rimanere indipendenti perché questo permette alla persona di continuare ad assumersi responsabilità, a confrontarsi con il problem solving, a partecipare a una vita sociale e culturale attiva. L’Istat, a proposito, ha pubblicato nel 2020 un interessante studio, intitolato Invecchiamento attivo e condizioni di vita degli anziani in Italia (5), nel quale si legge: “Negli anni della tarda maturità e delle età anziane gli individui possono tendere a mantenersi attivi conservando stili di vita partecipativi, coltivando relazioni e impegnandosi sul piano sociale, adattandosi ai cambiamenti imposti dall’ambiente esterno, mantenendo elevati livelli di efficienza fisica e psicologica, fattori che possono contribuire a migliorare le condizioni di salute e favorire la longevità. Occorre quindi creare i presupposti, ancora oggi pressoché inesistenti, sul piano sociale ed economico perché ogni individuo possa invecchiare attivamente”.
Come ha detto uno dei maggiori cosmologi, fisici e astrofisici al mondo, Stephen Hawking: “Il consiglio che voglio dare alle persone disabili è di concentrarsi sulle cose che la disabilità non impedisce di fare bene e di non rimpiangere ciò che non si riesce a fare. Non siate disabili nello spirito, come nel corpo”.
(2) https://www.inthenet.eu/2024/03/22/solo-gli-uomini-odiano-le-donne/
(3) https://www.inthenet.eu/2024/02/23/rsa-il-nuovo-business/
(4) https://www.regione.toscana.it/documents/10180/70254/Statuto+Regione+Toscana+attualmente+in+vigore/202ede6b-95fb-411d-952e-0da9f98a6f99
(5) https://www.istat.it/it/files/2020/08/Invecchiamento-attivo-e-condizioni-di-vita-degli-anziani-in-Italia.pdf
venerdì, 24 maggio 2024
In copertina: Foto-di-🆓-Use-at-your-Ease-👌🏼-da-Pixabay