Due iniziative targate La Città del Teatro per il 1° Maggio
di Simona Maria Frigerio
In questi giorni si ricordano due eventi. Uno eminentemente storico e ormai svuotato di senso, come la Festa dei Lavoratori e l’altro, il 2 maggio 2014, il rogo della Casa dei Sindacati, più attuale che mai; visto che a quell’evento seguì una guerra civile e che i neofascisti e i neonazisti di tutta Europa da quel momento e da quel luogo – Odessa, il set de La corazzata Potëmkin, capolavoro di Ejzenštejn – ricominciarono a espandersi senza più freni come petrolio sversato in mare. Quel giorno morirono, oltre a 48 persone (ufficialmente accertate), le ultime velleità di democrazia sociale e rispetto dei diritti, branditi dagli occidentali come arma per insanguinare il resto del mondo nei precedenti due decenni.
Tornare quindi a parlare di diritto al lavoro, ma anche del diritto a una rappresentanza sindacale, a manifestare e a esprimere le proprie opinioni e anche il proprio dissenso, diritto a una vita dignitosa, diritto alla pace, alla salute, all’istruzione, all’assistenza, è oggi più importante che mai. Un oggi, in cui l’Occidente appoggia e arma i nazionalisti ucraini che inneggiano a Bandera e a un passato nelle SS, fornendo armi per contrastare il diritto del popolo del Donbass all’autodeterminazione. Un oggi in cui l’Occidente appoggia e arma Israele mentre viola il diritto internazionale impunemente per realizzare la sua distopica visione della Grande Israele, comportandosi come i nazisti con gli ebrei, ovvero perseguendo una vera e propria pulizia etnica, tronfi del loro sentirsi superiori – loro, ‘razza eletta’, come lo erano gli ‘ariani’ di Hitler?, viene da chiedersi. Un oggi, in cui l’Occidente sembra sempre più una barzelletta che non fa ridere, con un’Europa governata da burocrati non eletti che agiscono come monarchi assoluti senza rendere conto a nessuno e gli Stati Uniti, che non trovano di meglio da presentare alle elezioni presidenziali che due guerrafondai con torbide storie familiari e finanziarie alle spalle, e una sostanziale incapacità di guardare lontano – perché resi miopi dal capitalismo lobbistico a Stelle e Strisce e… dai ‘limiti dell’età’.
In un quadro così desolante pare che le uniche note positive arrivino da un popolo martoriato come gli huthi yemeniti, che cercano però – da soli – di bloccare i rifornimenti di armi occidentali a Israele (minacciando i nostri traffici, in ogni caso in misura minore di coloro che hanno fatto esplodere il Nord Stream II); e dalle università, un po’ in tutto l’Occidente, che sono scese in… campus – per chiedere il cessate il fuoco immediato e la fine del genocidio palestinese. Avranno i nuovi vietcong del mare e gli studenti di oggi la forza e la perseveranza del ʻ68?
Lunghissima premessa, lo sappiamo, ma per arrivare al diritto al lavoro – sancito dalla nostra Costituzione, come quello a non entrare in guerra, e altrettanto eluso – bisogna ricomprendere lo stesso in un ventaglio di diritti che il capitalismo finanziario, transnazionale e liberista ha ormai quasi azzerato. Come si fa a tagliare, altrimenti, quell’obolo di povertà che denominavano ‘reddito di cittadinanza’ e avere il coraggio politico di inviare missili Scalp del valore di oltre un milione di euro l’uno a Kyiv per continuare la carneficina in Donbass e, magari, riuscire pure ad allargare il fronte a una Crimea pacifica e pacificata? Come si fa a inviare armi un po’ ovunque ce lo chiedano la Nato (che dovrebbe essere solo un’organizzazione militare difensiva) e lo Zio Sam, e non essere esecrati dagli italiani quando ci vogliono due anni per fare una Tac, quasi un anno per un intervento al cuore anche salva-vita; e, se si rimane paraplegici, bisogna far fronte in proprio a ogni spesa per adeguare la propria abitazione (sempre che si riesca ad averne e a conservarne una)? Eppure tutto ciò è indispensabile perché ogni elemento architettonico deve tenere conto delle dimensioni di una carrozzina, delle difficoltà di movimento di chi può contare solo su due braccia (se è fortunato), di quelle ore di fisioterapia che, ovviamente, sono a carico del cittadino.
Questo è lo stato delle cose e, in questo scenario di devastazione a cui mancano solo le macerie fumanti del ʻ45 (ma non è detto che le petit roi non ci trascini fin lì a breve), dei diritti dei lavoratori cosa è rimasto (a parte gli asterischi alla fine della parola per la felicità delle femministe)?
Esternalizzazioni, delocalizzazioni, contratti a termine, esodi, cooperative che sfruttano più delle aziende padronali, lavoro a chiamata, con voucher, telelavoro – ma fa più ‘cool’ smart working così il lavoratore non si accorge di lavorare sempre, senza straordinari retribuiti, socialità e possibilità di fare massa critica e ribellarsi magari scioperando in difesa dei propri diritti. Siamo andati ben oltre i giapponesi, che scioperavano lavorando e mettendosi una fascia al braccio o in testa – il tradizionale hachimaki. E qui parliamo ancora di chi guadagna qualcosa per il tempo e lo sforzo che dedica al lavoro. Pensiamo ai migranti clandestini, che le nostre Ong – invece di finanziare progetti di sviluppo nei loro Paesi – allettano con false promesse. Il diritto a emigrare per motivi economici non è riconosciuto nemmeno dall’Onu, quindi i migranti che sbarcano sulle nostre coste finiscono in Centri di ‘accoglienza’ e, se sono fortunati, con un foglio di via che dà loro il ‘diritto’ di finire nel mercato nero, quello della raccolta dei pomodori a Sarno (ancora oggi) o della piccola delinquenza, di fare il lavapiatti in un ristorante tedesco o pulire i cessi di un pub a Stoccolma e, se proprio gli va male, essere internati in Rwanda da quei civilissimi britannici che hanno per Premier un banchiere di origine indiana.
E in queste tribolazioni da cerchi danteschi, adesso si aggiungerà l’intelligenza artificiale (come ha spiegato Federica Merenda nell’incontro organizzato da La Città del Teatro, il 29 aprile, presso la Biblioteca Peppino Impastato di Cascina, e che avrebbe meritato la prima serata in teatro il 1° Maggio). L’IA potrà monitorare continuamente il lavoratore e, come denunciano Emiliano Gentili e Federico Giusti, in un articolo di prossima pubblicazione, non solo lo farà con il “Digital Safety Advice, che è uno strumento wearable con GPS che monitora se il lavoratore esce dall’area consentita, si toglie il casco o adotta altri comportamenti anomali”, o con l’“Overall Equipment Effectiveness (un misuratore dell’efficacia complessiva dell’impianto)” così da “ottimizzare le operazioni di fila e ridurre la manodopera necessaria”; ma arriverà – grazie anche alla frammentazione della classe lavoratrice dovuta sia alla moltiplicazione dei contratti (con diminuzione delle garanzie occupazionali) ma anche al telelavoro (che parcellizza e divide) – a pretendere un’intensificazione della quantità e velocità con la quale si svolge ogni mansione, con la riduzione di qualsiasi tempo morto (anche solo due chiacchiere col collega o distendere la schiena alla scrivania). L’IA imporrà – peggio che nella catena di montaggio di Tempi Moderni – che ogni operazione sia fatta utilizzando il nostro corpo nel modo che, secondo la stessa, è più efficiente per la produzione (il che non corrisponderà sempre al più salubre o meno logorante per il lavoratore).
E finiamo con lo spettacolo Italian Jobs. La classe operaia se ne va dal paradiso di e con Debora Mattiello, che è anche un’amica e, quindi, eviteremo di fare recensioni. Nel monologo, che è ancora in fase di elaborazione e che avevamo visto anche in un precedente step di studio (1), Debora affronta alcune di queste nuove categorie di lavoratori: la socia della cooperativa che, in realtà, è una precaria; il corriere, che deve sottostare a turni massacranti; il sindacalista di altri tempi che rammenta quando le donne cominciarono a entrare in fabbrica e, affrancandosi dal maschio (padre o marito), acquisirono fiducia in se stesse e senso della propria dignità e delle proprie capacità; e così via. Ogni personaggio parte da una storia reale, che è stata raccontata a Debora grazie a un lungo lavoro sul campo, che le ha permesso di fare decine di interviste. Ogni storia ha il suo tempo – di narrazione, ma anche di inquadramento di un periodo storico e di un processo lavorativo – come il cottimo, che sembrava dimenticato… E una storia, in particolare, ci colpisce oggi, dopo il caso di Aaron Bushnell, il soldato statunitense che si è auto-immolato per protestare contro la politica della Casa Bianca che sostiene Israele e il genocidio del popolo palestinese. Ci ha colpiti perché oggi i giovani che nelle università stanno manifestando e che, domani, potrebbero farlo nelle aziende del futuro, non devono morire bensì vivere per i loro ideali. Ideali che andranno riformulati anche grazie a quella classe di intellettuali (da Pier Paolo Pasolini a Herbert Marcuse o Samir Amin) che manca totalmente, a una stampa che torni libera da veline e censure a fare inchieste scomode senza tema di querele, a nuove menti politiche che sappiano riformulare un’idea di democrazia sociale, rifiutando innanzi tutto la guerra e la Nato, l’asservimento agli scopi geo-strategici d’Oltreoceano, o a quelli sempre più mediocri dell’asse franco-tedesco. Dobbiamo tornare ai tempi di Enrico Mattei – quando l’Italia pretendeva il suo posto nel mondo.
La conferenza dibattito si è tenuta:
Biblioteca Comunale Peppino Impastato
viale Comasco Comaschi, 67 – Cascina (PI)
lunedì 29 Aprile 2024, ore 17.30
Il lavoro oggi
sono intervenuti: Michelangelo Betti, Sindaco di Cascina; Alessandro Gasparri, Segretario Generale CGiL Pisa; Federico Del Giudice, Docente di Storia del lavoro presso l’Università di Pisa; Federica Merenda, Assegnista di ricerca in Filosofia Politica presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa; Debora Mattiello, attrice e autrice di Italian Jobs. La classe operaia se ne va dal paradiso
Lo spettacolo è andato in scena:
La Città del Teatro – Sala Margherita Hack
via Tosco Romagnola, 656 – Cascina (PI)
venerdì 3 maggio 2024, ore 21.00
Italian Jobs
La classe operaia se ne va dal paradiso
viaggio inchiesta nel mondo del lavoro contemporaneo
di e con Debora Mattiello
regia Caterina Casini Laboratori Permanenti
venerdì, 10 maggio 2024
In copertina: La Locandina dello spettacolo (particolare)