da Cartoline dalla Cambogia
di Simona Maria Frigerio
Un giorno arriva e scoppia a ridere fregandosi le mani. Sul tuk-tuk ha due cartoni rettangolari e, con la coda dell’occhio, me li indica. Muore dalla voglia di dirmi cosa ha comprato, anzi che io gli chieda cosa ha comprato. Ma io non cedo e fingo di non capire. Si arrende: «Ho trovato il modo di fare un bel po’ di soldi!»
Abbocco, o fingo di farlo: «Vendendo scatole ai turisti?»
«Pannelli solari».
«Ai turisti?», quando voglio posso sembrare davvero ottusa.
«Ma no!»
«E allora come faremo i soldi?»
«Intanto, risparmiando sulla luce».
«Ma i pannelli funzionano di giorno, quando c’è già quella del sole!»
«Il prossimo passo sarà comprare una batteria, così accumuleremo energia e potremo avere la luce anche di notte!»
«E cosa me ne faccio? Di notte dormiamo. E poi ci sono già i lampioni!»
«Ma non è finita qui», prosegue imperterrito rincorrendo il suo sogno, come un bambino che insegue una lattina vuota che rotola sulla strada. «Comprerò un motore elettrico. E allora risparmierò sulla benzina e comincerò davvero a guadagnarci!»
«A ripagare i debiti, direi…»
«E poi mi vedo già: quelli degli altri tuk-tuk verranno da me perché gli spieghi come ho fatto. Nel giro di tre o quattro anni potrei avere un’officina tutta mia e riconvertire a pannelli solari tutti i tuk-tuk di Phnom Penh e… da lì al mondo il passo è breve!»
«Ma non ci sono già i motori elettrici?», continuo a non capire perché tanto entusiasmo.
«Certo! Ma devi ricaricarli e spendi per farlo. E poi dove trovi una presa elettrica qui in giro?»
Mi guardo intorno e ammicco alla montagna di cavi sospesi che portano l’elettricità a quelli che hanno una casa… Noi avremo un tuk-tuk/abitazione coi pannelli solari: sai che chiccheria!
«Smettila! Attaccarti alla rete elettrica senza permesso è rubare!»
«E toglierci il lago per svenderlo agli speculatori cos’è? Un’opera di bene? Un regalo per nostra figlia, che respira tubi di scappamento 24 ore al giorno?», gli urlo senza contegno, quasi fosse colpa sua.
«Con te, ci rinuncio! Sei sempre la solita disfattista». Mi volta le spalle e si mette al lavoro.
In fondo, mio marito è un genio della meccanica. Ha iniziato a riparare motori di barche con suo nonno quando non era nemmeno capace di scrivere. Non ha mai avuto bisogno di un libretto di istruzioni. Lui si mette di fronte a un motore e sta lì, come faceva suo nonno, per due, tre ore, per tutto il tempo che gli serve e poi, d’un tratto, comincia ad armeggiare. La gente del lago, all’inizio, non gli dava credito, spesso il tizio che gli chiedeva una mano veniva da me, dopo una decina di minuti, e mi dava un colpetto col gomito e, quando mi giravo, mi faceva segno come per chiedermi se era un po’ tocco. Ma quando alla fine se ne andava con la sua barca a punto, non rideva più…
Forse ha ragione. Forse tra cinque anni o dieci avrà una officina tutta sua e monterà pannelli solari e motori elettrici su tutti i tuk-tuk di Phnom Penh. O forse tra cinque o dieci anni, i tuk-tuk non ci saranno più e gireranno solo auto elettriche prodotte in Giappone o in Cina o in Corea, e noi che non avremo i soldi per comprarle, cosa faremo? Dove andremo? Io mi accontenterei di meno. Mi accontenterei di una tenda, dove dormire belli distesi e non ammassati tutti e quattro, uno sull’altro, nel tuk-tuk. E magari di un secondo telo, per quando arrivano i monsoni, così che l’acqua non filtri; e due brandine, per stare sollevati da terra, dal piscio e dagli scarafaggi. Ma per fissare una tenda ci vogliono i paletti. E dove li pianti i paletti sull’asfalto? Dovremmo tornare al lago. Ma come lo convinci? Lui, lì, non vuole più metterci piede. È tutto sabbia, cemento e rifiuti. Ma nella sabbia, i paletti tengono e tra i rifiuti, vedi mai che trovo anche un tavolo di plastica con due sedie per noi e una piccola, rossa, come quella della bambina dei pescatori di bottiglie! Anche mia figlia più grande la vorrebbe. Potremmo mangiare seduti, da signori, come quando andiamo al banchetto all’angolo a fare scorpacciata di vongole al peperoncino. Invece di imbrattarti tutto in piedi, in mezzo alla strada, senza sapere dove sciacquarti le mani e sei costretto a scendere alla sponda del Mekong, inondata di immondizia.
Mio marito scende dal tettuccio e: «Voilà. Siamo il primo tuk-tuk di Phnom Penh a pannelli solari!», annuncia orgoglioso come un banditore da fiera. Io faccio spallucce e salgo con la bambina, sistemandomi per la notte. Il problema è trovare la giusta misura tra la luce piena del lampione (che ti protegge ma non ti fa dormire) e il buio di qualche traversa (che è meno sicuro ma dormi da dio). Alzo lo sguardo per un attimo, prima di tornare ad allattare la mia figlia più piccola. La ragazza con la canotta passa e, pudicamente, si volta dall’altra parte. Scommetto che lei, almeno, un letto per la notte ce l’ha.
venerdì, 3 maggio 2024 (la settimana prossima, un nuovo racconto)
Per chi si fosse perso i precedenti:
In copertina: Foto di Simona Maria Frigerio
(Cartoline dalla Cambogia, di Simona Maria Frigerio ©2024, tutti i diritti riservati, vietata la pubblicazione integrale o parziale senza il consenso dellʹautrice)