Speculazioni edilizie ed edifici fatiscenti, sporcizia e inquinamento
di Simona Maria Frigerio
Phnom Penh è riassumibile, purtroppo, nelle poche righe del sottotitolo. A cui si potrebbero aggiungere una povertà dilagante, un traffico caotico e l’ubriachezza molesta di vecchi allo sbando.
La capitale della Cambogia, a parte il Museo Nazionale (1) e, in misura decisamente minore, il Palazzo Reale (di cui scriveremo prossimamente) con annesso Tempio del Buddha di smeraldo, ha ben poco da offrire. Una delle rare passeggiate è sul lungofiume – la città sorge infatti nel punto in cui il lago Tonlé Sap e il fiume Mekong si congiungono. A Phnom Penh, del resto, le aree pedonali sono pressoché inesistenti e i marciapiedi servono a parcheggiare le vetture e le mercanzie dei negozi. Purtroppo, anche questa passeggiata non è l’idillio che potreste aspettarvi (sebbene reclamizzino cene romantiche con crociera sul Mekong), dato che le acque sono marroni e limacciose, l’odore che emanano è nauseabondo e molti cambogiani vivono tra i rifiuti delle sue sponde o sulle loro barche tipiche, che usano anche per pescare (la loro unica fonte di sostentamento, sempre più precaria), mentre una miriade di nuovi grattacieli incombe all’orizzonte.
Del resto, agli altri laghi della zona e ai loro abitanti è andata persino peggio (2). A causa della svendita del patrimonio pubblico lacustre agli speculatori del settore immobiliare (operata dal Governo cambogiano in fasi successive), dei 25 laghi di Phnom Penh, 15 sono stati riempiti di sabbia per permettere la costruzione di edilizia privata e spazi commerciali, 8 sono stati parzialmente riempiti e uno è diventato una discarica. Il più famoso, il Boeung Kak, esteso per 90 ettari e situato nel centro della città, che era un serbatoio idrico, una fonte di sostentamento per i pescatori, un bacino di contenimento delle alluvioni nei periodi monsonici (e poi non si dia la colpa al cambiamento climatico!) e uno dei pochi spazi verdi in una metropoli caotica e inquinata, invece di essere valorizzato come l’Hoan Kiem nel centro di Hanoi, è stato anch’esso prosciugato per costruirvi un piccolo parco giochi decisamente kitsch e dare il via ai progetti per una selva di grattacieli (che, nel 2024, stentano ancora a trasformarsi da cartelloni pubblicitari in edifici). Cemento armato su grigiore e montagne di spazzatura è quanto ne resta (e pensare che il nostro hotel pubblicizzava la vista lago!). Qui non è nemmeno possibile immaginarsi un futuro come quello del Turia, a Valencia, dove si è deciso di spostare il letto del fiume più a sud e trasformare l’intero percorso in un parco pubblico, con campi sportivi e piste per correre o andare in bicicletta, sì migliorare la vita degli abitanti locali.
Anche il Mercato Centrale, a meno di non essere alla prima esperienza in Oriente, non offre granché. La parte centrale è occupata da venditori di gioielli in oro o argento, occhiali, orologi e pietre più o meno preziose. Tutt’intorno montagne di vestiti che, prima o poi, si scoprirà che sono prodotte dai cinesi, i quali li rivendono in ogni Paese del Sud-est asiatico e, infine, il mercato con i generi alimentari: pesce, frutta, verdura e spezie tra olezzi di rancido, sudore, sporco e il sole rovente che sembra filtrare persino sotto le pesanti tende che proteggono i banchi.
Tra gli edifici religiosi, tutte le guide segnalano, per una visita o un tour, il Wat Ounalom, vicino al Museo Nazionale, sempre sul lungofiume. Edificato ufficialmente nel 1443, in realtà è stato più o meno ricostruito in anni abbastanza recenti con cemento armato e una mano di tinteggiatura. Nelle guide descrivono 44 strutture, tra cui uno stupa che, narra la leggenda locale, un tempo conservava un sopracciglio di Buddha. Probabilmente il numero delle strutture comprende la miriade di piccoli stupa disseminati caoticamente e gli edifici (molti dei quali in ristrutturazione o costruzione), che ospitano i monaci e i giovani destinati alla vita religiosa. Non aspettatevi, quindi, campane, canti, rituali e giardini fioriti alla thailandese. Qui, la cosa più tipica, è stato vedere bambini e adulti giocare con le proprie flip flop di plastica consunta.
Dal Wat Ounalom, risalendo sempre il lungofiume, potrete vedere anche il piccolo porto turistico con le imbarcazioni per le minicrociere sul Mekong o le cene a lume di candela. A parte qualche raro cimelio dei tempi del colonialismo francese, non scorgerete però niente di particolare.
Questa zona, che ospita praticamente tutto quanto c’è da vedere in uno sputo, è anche quella dei ristoranti e bar per turisti e del Night Market. Non immaginatevi però né i deliziosi ristorantini vietnamiti né un mercato notturno con tavoli e allegria alla thailandese, in compenso – se piace – un palco per fare musica. Phnom Penh respira l’abbandono, i vecchi bavosi europei e un turismo mordi e fuggi verso Angkor o le isole al largo di Sihanoukville.
La settimana prossima completeremo il tour tra mercati e vita di strada.
(1) Il Museo Nazionale della Cambogia: https://www.inthenet.eu/2024/04/12/museo-nazionale-della-cambogia/
(2)
e
https://teangtnaut.org/facts-figures-28-phnom-penhs-lakes-now/
venerdì, 26 aprile 2024
In copertina e nel pezzo: Foto di Simona Maria Frigerio