Quattro casi a confronto: Donbass, Kosovo, Cataluña e Taiwan
di Luciano Uggè
A mente fredda e a bocce ferme, analizziamo. Siamo ormai abituati da politica e mass media a dare peso alle richieste di autodeterminazione delle minoranze all’interno degli Stati (che difficilmente si identificano con la cosiddetta nazione, includendo popoli di etnia, religione, lingua e cultura diverse) se sono funzionali ai nostri interessi di Occidentali di destabilizzare regimi ostili, o per depredare risorse energetiche e minerarie. Eppure il diritto internazionale continua a esistere almeno sulla carta e, nonostante le visioni non siano sempre concordanti (vedasi sul Kosovo il parere della Corte di giustizia internazionale dell’Aia, che differisce da altri pronunciamenti ufficiali), alcuni principi fondamentale non dovrebbero essere mai dimenticati in quanto servono a contemperare due esigenze entrambe importanti: una certa stabilità territoriale degli Stati e la legittima aspirazione all’autodeterminazione dei popoli, dall’altra.
Per questo motivo il diritto internazionale sempre più ammette che aree geografiche etnicamente, culturalmente e linguisticamente omogenee (2) possano chiedere di autodeterminarsi soprattutto se le loro specificità non sono rispettate dallo Stato centrale (3), violandosi così i diritti fondamentali dell’uomo (e della donna).
Vediamo, ad esempio, il caso della Cataluña che gode, come ogni Comunità autonoma spagnola, di tutte le libertà, non solamente linguistiche e culturali, ma anche legislative (comprese tematiche quali sanità e istruzione) e di un ritorno considerevole del proprio gettito fiscale (4), il che rende Barcellona la città con il Pil più elevato della Spagna, dopo Madrid.
Taiwan, aldilà di essere nominalmente parte della Repubblica Popolare Cinese, è addirittura indipendente de facto e, dopo la fine della dittatura di Chiang Kai-shek, ha sviluppato un proprio processo democratico che, nel 1996, ha portato all’elezione del primo Presidente nato sull’isola. L’ex Formosa ha un proprio parlamento e la più ampia autonomia per la gestione politica, economica e finanziaria del Paese, perché quindi tentare di diventare uno Stato anche formalmente staccato dalla Cina? Sappiamo come andò a finire quando i sudisti lottarono per la secessione negli Stati Uniti, ma qui lo zampino dello zio Sam sembra mirare a due obiettivi: destabilizzare l’area creando problemi al rivale economico e assicurarsi sine die la supply di semiconduttori, di cui Taiwan è il maggiore produttore al mondo (una sola tra le sue società, la Tsmc, monopolizza il 52,9% del mercato mondiale). D’altro canto, però, il maggior importatore di prodotti tecnologici taiwanesi è al momento Beijing: creare, quindi, una frattura con la Cina significherebbe non solamente una crisi a livello economico di dimensioni gravissime per tutti gli Stati tecnologicamente avanzati ma anche una crisi per la stessa Taiwan, che vedrebbe venire meno il suo principale buyer e potrebbe non avere più accesso alle terre rare cinesi. Qui davvero si comprende poco il desiderio di Taiwan di trasformarsi in pedina dei giochi geo-strategici statunitensi.
Veniamo ora al Kosovo – spina nel fianco della Serbia – che l’Occidente sostiene con la Kfor dal 1999. La Serbia dal 2006 si è dotata di una Costituzione che garantisce i diritti anche linguistici delle minoranze e garantirebbe l’autonomia del Kosovo (5). Al contrario, nelle elezioni del 23 aprile 2023 nel nord del Kosovo, solamente il 3,47% degli aventi diritto è andato a votare – si è quindi astenuta la (stragrande) maggioranza serba. Le nuove amministrazioni comunali sono oggi a guida albanese ma, vista l’affluenza alle urne, è legittimo domandarsi se l’appoggio europeo a questo Kosovo indipendente de facto – ma non a livello di diritto internazionale – non sia un modo per mantenere una zona conflittuale all’interno di un Paese, la Serbia, considerato dall’Occidente filo-russo, invece che per garantire una minoranza (quella kosovara) dall’egemonia serba.
E veniamo infine al Donbass. Dal 1991 al 2014 le zone a maggioranza russofona e di religione ortodossa russa, in Ucraina, hanno convissuto con la minoranza (nell’area) di lingua ucraina senza problemi. Dopo il colpo di Stato da noi noto come EuroMaidan (6), e la cacciata del Presidente Yanukovich, regolarmente eletto (7), le cose hanno cominciato a cambiare. Non vi racconteremo nuovamente la storia anche perché molti nostri lettori la conoscono e altri non vorranno mai accettarla per vera – ma lampante, e sotto gli occhi di tutti, è che la lingua russa, la religione russo ortodossa e l’autonomia scolastica e culturale (non tutti forse vogliono che il proprio figlio onori Bandera e dimentichi che esiste il 1° Maggio o che il Natale Ortodosso si festeggia il 7 gennaio), in Ucraina, sono state via via abolite per far posto a un regime dichiaratamente filo-nazista (visti i simboli e i personaggi che mette in mostra e onora) e, sebbene ufficialmente disposto a trasformare la Costituzione in senso federale così da garantire ampia autonomia al Donbass, in realtà prono ai diktat statunitensi e inteso a creare e armare un esercito potente per fare strage di due Repubbliche ʻribelli’, Donetsk e Lugansk, che sono state capaci di resistergli per otto anni. Il resto è storia. E il diritto internazionale, anche in questo caso, se non vi fossero coinvolti altri interessi, sappiamo a chi darebbe ragione.
Quattro casi, altrettante posizioni alquanto contraddittorie dell’Occidente.
(1) «La legge generale internazionale non contiene proibizioni all’indipendenza. Di conseguenza la dichiarazione non ha violato la legge generale internazionale», ha dichiarato giovedì il presidente della Corte internazionale di giustizia dell’Aja: https://www.swissinfo.ch/ita/kosovo–l-indipendenza-non-viola-la-legge/18016254
(2) L’approfondimento: https://unipd-centrodirittiumani.it/it/attivita/Autodeterminazione-diritti-umani-e-diritti-dei-popoli-diritti-delle-minoranze-territori-transnazionali/187
(3) Un Rapporto dell’Unesco (Doc. SHS- 89/CONF. 602/7, Parigi, 22.02.1990) definisce il popolo come:
1. un gruppo di esseri umani che hanno in comune numerose o la totalità delle seguenti caratteristiche:
a. una tradizione storica comune;
b. una identità razziale o etnica;
c. una omogeneità culturale;
d. una identità linguistica;
e. affinità religiose o ideologiche;
f. legami territoriali;
g. una vita economica comune
(4) Le materie di competenza dello Stato, in Spagna, sono: la politica estera, la difesa, la moneta, l’immigrazione, la sicurezza dello Stato, la giurisdizione, il sistema tributario. Riguardo a quest’ultimo punto, però, si fa presente che i governi regionali ricevono una quota significativa del gettito fiscale complessivo (il 33% del reddito delle persone fisiche, il 35% dell’Iva, il 40% delle accise su idrocarburi, tabacco, birra e alcolici; il 100% di accise su energia elettrica e registrazione degli autoveicoli). Si veda: https://www.fiscooggi.it/rubrica/dal-mondo/schede-paese/articolo/spagna
(5) L’articolo 79 della Costituzione serba del 2006 garantisce agli appartenenti delle minoranze nazionali il diritto ad esprimersi, mantenere, conservare ed esprimere pubblicamente le specificità culturali etniche e religiose, l’utilizzo dei propri simboli, l’utilizzo della propria lingua e della propria scrittura, le scuole nella lingua madre, informazioni nella propria lingua, e dove compongono una popolazione significativa, la possibilità fare i processi nella propria lingua, scrivere il nome delle vie, i segni topografici e dei luoghi nella propria lingua, il diritto ad associarsi e a collaborare con i loro compatrioti, e in particolare viene vietata l’assimilazione con la forza
(6) Una ricerca dettagliata sulla strage di piazza Maidan a Kiev nel 2014 conferma le responsabilità dell’estrema destra: https://lists.peacelink.it/cultura/2023/03/msg00000.html
(7) L’Osce dichiarò le elezioni ʻtrasparenti’, come scriveva anche La Repubblica in tempi non sospetti: https://www.repubblica.it/esteri/2010/02/08/news/ucraina_8_febbraio-2224351/
venerdì, 5 aprile 2024
In copertina: Foto di Gordon Johnson da Pixabay