Scenari inflattivi alimentati ad arte per aumentare i margini di profitto
di Federico Giusti
L’innalzamento dei tassi di interesse può essere spiegato con alcuni testi di critica marxista all’economia che, tuttavia, risulterebbero ostici per molti lettori. Per questa semplice ragione, anche a costo di essere schematici, proviamo a sintetizzare poche argomentazioni per andare oltre a quella nozione del potere assoluto della finanza sull’economia divenuta un luogo comune – e che non fa comprendere una realtà sempre più complessa e articolata.
La politica monetaria con i tassi di interesse ai minimi storici è servita in una fase economica antecedente alla Guerra Globale intrapresa dagli Usa: le banche si sono riprese i loro spazi dopo gli anni pandemici recuperando la redditività di tutte le funzioni di intermediazione rispetto alle imprese e alle famiglie.
Sempre il sistema finanziario guarda con crescente interesse alla crisi di alcuni Paesi, come l’Argentina, per promuovere politiche neo liberiste quali privatizzazioni, pagamenti in valuta estera, acquisizioni di aziende pubbliche, prestiti. I laboratori neo liberisti, tra gli anni 70 e 80 del Novecento, nel corso del tempo si sono trasformati in terreno di caccia per le multinazionali oltre a un banco di prova per soluzioni autoritarie anti democratiche con il restringimento degli spazi di agibilità democratica e sindacale e processi involutivi della stessa democrazia borghese. Particolarmente interessante è il connubio tra populismo reazionario e liberismo economico.
Aumentando i tassi di interesse cresce l’efficienza dell’allocazione del capitale e si spianano le porte alla progressiva e, talvolta, lenta e intricata uscita dal mercato delle imprese a minore redditività per favorire nuovi processi di centralizzazione dei capitali.
La ripresa dell’inflazione, pur contenuta, non è scaturita dal conflitto del lavoro contro il capitale, i salari restano infatti ancorati a un insufficiente potere di acquisto ma, piuttosto, da processi speculativi attorno alle materie prime, in primis quelle energetiche e alimentari, ad esempio con meccanismi finanziari sempre più complessi, e oscuri al grande pubblico.
Detto in altri termini, i prezzi sono determinati dalle speculazioni finanziarie e dagli andamenti dei titoli in Borsa che subiscono pressioni tali da determinare continue oscillazioni dei prezzi.
La disponibilità di credito negli anni pandemici ha fatto lievitare i prezzi. Le imprese, con la complicità degli Stati e degli organismi finanziari che non sono mai super partes, hanno aumentato i prezzi per conservare i margini di profitto e, così facendo, hanno provocato quella spirale inflattiva acuita dall’embargo alla Russia per la fornitura di gas e petrolio.
Siamo quindi in presenza di un’inflazione non determinata dall’aumento dei salari ma dalla crescita dei prezzi e dalla conservazione o aumento dei margini di profitto. Per essere chiari dobbiamo ridurre ai minimi termini la definizione dei fenomeni inflattivi: l’inflazione da costi (è il nostro caso) avviene quando, di fronte all’aumento dei costi di produzione e delle materie prime, le imprese aumentano i prezzi per salvaguardare i profitti. Poi c’è l’inflazione da profitti, quando le aziende decidono il rialzo dei prezzi solo per accrescere i profitti e, infine, l’inflazione da potere di mercato in presenza di un regime di monopolio che, nei fatti, impedisce la concorrenza.
Sull’inflazione da profitti rimandiamo a un articolo de IlSole24ore, Inflazione, perché il rialzo dei prezzi dipende più dai profitti che dai salari (1), della primavera scorsa, ove si spiegava che il picco d’inflazione del 2022 è in larga misura attribuibile alla crescita dei margini di profitto delle imprese. In termini meno tecnici, sembra che le imprese abbiano aumentato i prezzi più di quanto sarebbe stato giustificato dall’aumento dei costi, mentre la dinamica dei salari è stata moderata. In questo contesto i salari hanno perso potere di acquisto anche quando i prezzi risultavano invariati.
Il capitale finanziario specula sul prezzo delle materie prime a tutela dei margini di profitto ricorrendo alla dinamica inflattiva, che rappresenta un affare per le Banche centrali che aumentano i tassi di interesse e rafforzano il potere effettivo della Finanza: una dinamica che non raggiunge mai livelli tali da determinare la crisi economica globale per favorire invece il processo di concentrazione dei capitali, la crescita dei ricavi e la redditività delle stesse Banche. Queste ultime hanno poi diversificato il loro portafoglio titoli con un business concentrato in alcuni settori strategici.
Questa analisi, approssimativa, ci permette anche di comprendere la svolta green della Ue, che cerca di concentrare i propri capitali in alcuni settori e con sinergie tra imprese concorrenziali (ad esempio, quelle produttrici di armi e di tecnologie avanzate).
(1) L’articolo completo: https://www.ilsole24ore.com/art/inflazione-perche-rialzo-prezzi-dipende-piu-profitti-che-salari-AEOcWrCD
venerdì, 23 febbraio 2024
In copertina: Foto di Steve Buissinne da Pixabay