…le stelle delle serie tv?
di Simona Maria Frigerio
Pensiamoci un attimo: li amiamo, ci affezioniamo, li detestiamo e, comunque, li seguiamo per anni – che siano l’odioso JR, il petroliere con cappello e stivale da vaccaro di Dallas, o l’affascinante ma vendicativo Patrick Jane di The Mentalist; il serial killer in cerca di normalità Dexter Morgan, di Michael C. Hall (che, caso più unico che raro, era già stato – in un ruolo diametralmente diverso – tra i protagonisti di Six Feet Under) o l’eterno innamorato di Jennifer Aniston (che poi ha fatto, lei sì, il salto di qualità), ossia un giovane David Schwimmer nei panni di Ross Geller in Friends. Per anni, come vecchi amici o amanti fedeli, ci attendono sempre alla stessa ora nello stesso posto e poi, improvvisamente, scompaiono – ed è difficile che tornino a farci visita in altri panni.
William Shatner è stato tra i più fortunati perché, grazie a Star Trek, è riuscito (nonostante una pausa decennale) a impersonare James T. Kirk per tutta la vita; così come David Duchovny che, oltre a tentare di bissare il successo con Californication, ha impersonato (tra serie originale, ripresa e film) per ben 5 lustri Fox Mulder in X-Files. Ma cosa succede di solito alle star di serial & series?
Una categoria a sé stante è quella costituita dai divi hollywoodiani che da un po’ di anni non disdegnano di prestarsi, per qualche tempo, al piccolo schermo, come lo schizzato e logorroico Tim Roth nei panni di Cal Lightman in Lie to Me; il talentuoso Liev Schreiber di Ray Donovan; una Glenn Close patinata nel ruolo dell’avvocatessa Patty Hewes di Damages; il perturbante Mads Mikkelsen, perfetto Hannibal dell’omonima serie; o un William Petersen (già protagonista di due cult movies di genere giallo, come Manhunter. Frammenti di un omicidio e Vivere e morire a Los Angeles), che pareva tagliato su misura per impersonare l’intelligente e un po’ misantropo Gil Grissom di CSI. Questi, come altri attori non più giovanissimi (il Peter Falk di Colombo, ad esempio, o la Kyra Sedgwick dal rossetto ciliegia di The Closer), smessi gli abiti televisivi possono ritirarsi a vita privata o tornare sul grande schermo.
Dall’altro lato della scala anagrafica, per alcune future star le serie sono state un vero trampolino di lancio. Pensiamo a Meg Ryan – che si è fatta conoscere, come Kevin Bacon, grazie a una soap opera; a George Clooney in camice bianco per ER. Medici in prima linea; Michelle Williams, tra i protagonisti di Dawson’s Creek (da cui proviene anche la ex signora Cruise, Katie Holmes); o Jessica Alba, che ha riscosso i suoi primi successi da adolescente con Flipper.
Ma tutti gli altri?
Che fine hanno fatto Calleigh Duquesne, Melina Kanakaredes, Teri Hatcher o Dana Fairbanks? Dal nome reale forse non le riconoscete nemmeno eppure sono state le star di CSI (spin-off Miami e New York), Desperate Howsewives e The L World. Serie pluriennali, andate in onda anche su canali nazionali e in chiaro che, almeno per quanto riguarda le casalinghe sull’orlo di una crisi di nervi, hanno fatto la storia del costume televisivo, partorendo sotto-filoni e modi di dire.
La ragione del loro obnubilamento è il business? Ossia una mera questione economica: la star di una serie non accetterebbe compensi inferiori e, quindi, la produzione, per un nuovo prodotto televisivo da presentare sul mercato, preferirebbe spendere di meno con un volto sconosciuto? Oppure è il timore che un attore, il quale ha vestito per molti anni gli stessi panni, non possa essere credibile per il pubblico se ne indossa altri? O ancora, i compensi a decine, se non centinaia di migliaia di dollari a puntata, saziano l’attore medio da piccolo schermo che, consapevole delle sue possibilità, mette da parte come Cip e Ciop il suo gruzzoletto e poi si dedica a ciò che lo interessa veramente? O ancora, i divi della tv anche quando ci sembrano così bravi, sono solamente ‘in parte’ e riciclarsi è difficile perché mancano di vero talento?
Tutte spiegazioni credibili ma è certo anche l’inverso, ossia che è difficile riproporre il medesimo personaggio interpretato da un altro attore (almeno agli spettatori che conoscevano la serie originale). Se Starsky & Hutch resteranno per sempre Paul Michael Glaser e David Soul (impari la sfida del 2004 di Ben Stiller e Owen Wilson); si può dire altrettanto per la messa in piega perfetta di Don Johnson e i doppiopetto di Philip Michael Thomas, perfetti per Miami Vice, e irraggiungibili da due attori pur bravi come Colin Farrell e Jamie Foxx.
E però, a questo proposito, è pur vero che le serie, le soap, le telenovelas e persino le sit-com non sono solamente generi legati a un preciso contesto storico, con ritmi e tempi della narrazione, oltre che modelli recitativi in grado di far ridere o creare la suspense legati ai tempi di fruizione e al grado di maturazione o saturazione del pubblico (soprattutto per quanto riguarda la comicità e la dose sopportabile di sesso e violenza). Ma ciò che le rende dei successi popolari è dato anche dal rispecchiarsi dei personaggi delle serie in un immaginario collettivo pop ben radicato in costumi, modi pensare e dire, tormentoni linguistici o musicali, paure e aspirazioni. Ecco il perché X-Files oggi non può che essere un flop. E però Gillian Anderson, lei sì ottima attrice, sa essere altrettanto convincente in Hannibal o The Fall.
venerdì, 23 febbraio 2024
In copertina: Foto di Reimund Bertrams da Pixabay.