È lecito parlare di ripresa occupazionale e di aumenti salariali?
di Federico Giusti
Stando a Il Sole 24 Ore il rapporto sull’occupazione negli Usa fotografa una economia in salute che in un solo anno avrebbe creato 216 mila posti di lavoro rispetto ai 170 mila preventivati. Quindi: la disoccupazione sarebbe in diminuzione, attestandosi al 3,7% rispetto al 3,8% previsto; la paga oraria sarebbe invece cresciuta di 15 centesimi in un anno; la forza lavoro attiva, pur non raggiungendo ancora i livelli antecedenti la pandemia, nel complesso è giudicata in ripresa. Stando invece ad altri dati riportati dai media occidentali la disoccupazione Usa risulterebbe leggermente più bassa.
A prescindere da qualche differenza di misurazione è possibile capire come, in un anno di sovraprofitti per le imprese statunitensi, la dinamica salariale sia rimasta decisamente bassa e anche il rapporto tra posti di lavoro creati e perduti finisca con l’essere insoddisfacente.
I dati possono quindi essere letti e interpretati con risultati finali assai diversi (sorvolando per il momento sulla questione della loro attendibilità).
Salari, scioperi e licenziamenti
Dopo gli scioperi nell’industria meccanica statunitense stanno ora arrivando licenziamenti di massa e analogo risultato (migliaia di tagli occupazionali) registriamo laddove i sindacati pensavano di avere scongiurato i processi di ristrutturazione ricorrendo ad accordi temporanei; in sostanza, nel caso statunitense, due sono gli atteggiamenti registrati e contrastanti: da una parte chi esalta la ripresa del conflitto nella patria del capitalismo al fine di esaltare un nuovo protagonismo operaio e sindacale d’Oltre Oceano, dall’altra quanti, pur riconoscendo la positiva novità degli scioperi e di una nascente opposizione nei luoghi della produzione, sollevano al contempo dubbi e criticità sulla gestione e sugli esiti delle vertenze, e criticandone gli esiti e le decisioni finali assunte dal sindacato – anche a seguito di forti pressioni del grande capitale e dell’amministrazione Biden.
Un altro aspetto, spesso taciuto, riguarda la discrepanza tra le rivendicazioni iniziali e i contenuti dell’accordo finale con il quale è stata decretata la fine degli scioperi nelle industrie produttrici di auto. A pensarci bene i risultati ottenuti dal sindacato Usa non sono soddisfacenti: permangono forti disuguaglianze salariali e contrattuali tra siti produttivi, in assenza di contributi reali al fondo pensione e al welfare, e con licenziamenti articolati previsti già per l’inizio del 2024.
Possiamo quindi ipotizzare che l’economia statunitense potrebbe trovarsi nei prossimi mesi alle prese con esuberi consistenti, specie nei settori meno interessati alla transizione energetica, nei quali il basso costo del lavoro non rappresenta più una condizione sufficiente a conservare inalterati i margini di profitto. Anzi, potremmo anche asserire che gli aumenti salariali arrivano dopo anni di retribuzioni in continua erosione, di investimenti in tecnologie e dopo mesi di scioperi conclusi con accordi discutibili che presentano sovente risultati parziali come indiscusse vittorie salvo poi scoprire, a distanza di poche settimane, nuovi esuberi attraverso i processi di automazione. E anche in questi casi le dinamiche democratiche legate al voto delle maestranze sugli accordi finali evidenziano numerose irregolarità.
Già negli ultimi giorni del 2023, ad esempio, UPS ha annunciato centinaia di licenziamenti e la società globale di gestione dei documenti Xerox ha resi noti tagli del 15% della sua forza lavoro. Contestualmente, il Conference Board Leading Economic Index prevede il perdurare della fase recessiva.
Di opinione simile un’economista citata dal New York Times, Kathy Bostjancic, che scrive sul giornale: “Vediamo già segnali che i settori sensibili al ciclo dell’economia stanno riducendo in modo significativo l’aggiunta di lavoratori ai loro libri paga” e più oltre: “Prevediamo una moderata perdita di posti di lavoro entro la metà del 2024. Il tasso di disoccupazione dovrebbe salire a circa il 5% nel corso del 2024”.
Stando ai fatti degli ultimi mesi, l’amministrazione Biden non solo ha aumentato le spese militari ma in sostanza ha rivisto, al ribasso, le spese sociali. L’aumento dei tassi di interesse, poi, ha indebolito la domanda interna e alimentato anche la disoccupazione, mentre gli aumenti salariali accordati dopo anni di erosione del potere di acquisto sono rimasti inferiori al reale costo della vita.
La Federal Reserve, inoltre, aveva fissato degli obiettivi invalicabili per il 2023 e l’inizio del 2024: la crescita dei salari del 3% con un tasso di inflazione annuo del 2%. Ora, non solo queste previsioni sono state smentite nel corso degli ultimi mesi, ma i tassi di interesse rimarranno invariati e questa decisione avrà impatti negativi sia sugli interessi dei mutui e sulle carte di credito sia sui pagamenti degli onerosi prestiti studenteschi, per i quali inizialmente l’amministrazione Biden aveva previsto una moratoria, di fronte a migliaia di insolventi che non riuscivano a onorare i pagamenti.
Non è forse un caso, allora, se numerosi conflitti sono stati letteralmente disinnescati dal sindacato proprio nei settori che oggi vediamo colpiti da licenziamenti di massa.
Basti ricordare come la crisi dell’UPS fosse già nota alla fine della primavera scorsa e che uno sciopero programmato per i 340 mila lavoratori UPS si è tradotto in un accordo che alla fine non ha arrestato i licenziamenti. Analogo discorso potremmo fare per le aziende meccaniche, ove alcuni siti produttivi già all’indomani dell’accordo sindacale annunciavano o licenziamenti o un turn over con nuove assunzioni a livelli e retribuzioni decisamente più basse.
Nelle fabbriche Stellantis sul finire del 2023 hanno imposto la settimana corta con tagli retributivi, dato che alcune lavorazioni sono state esternalizzate in fretta e furia, annunciando ulteriori licenziamenti con la vaga promessa di ricollocazione degli esuberi in altri siti produttivi una volta terminata la ristrutturazione delle catene per la produzione di auto elettriche. ‘Ironia della sorte’: il posto di lavoro potrebbe arrivare tra mesi, o anni, in una città distante centinaia di km e a condizioni retributive inferiori a quelle attuali.
Alla luce di queste elementari considerazioni è ancora possibile parlare di protagonismo operaio negli Usa e di sostanziale ripresa della dinamica occupazionale?
Riferimenti:
Usa: +216.000 di posti lavoro a dicembre, sopra stime, disoccupazione stabile al 3,7% – Il Sole 24 Ore
Despite ‘strong’ jobs report, unemployment expected to rise in 2024 – World Socialist Web Site (wsws.org)
UPS rings in the new year with hundreds of job cuts across the US – World Socialist Web Site (wsws.org)
venerdì, 16 febbraio 2024
In copertina: Foto di Janno Nivergall da Pixabay