La semantica fa politica?
di Simona Maria Frigerio
Mentre Israele continua a uccidere i civili palestinesi incurante del giudizio della Corte di Giustizia Internazionale, e prosegue imperterrita il genocidio di un popolo attaccando Rafah, soffermiamoci su uno dei nodi che occorrerà sciogliere se si vuole davvero ricoscere lo Stato di Palestina, ossia far tornare 800mila colonialisti israeliani entro i confini di Israele.
*°*°*
In questi mesi si è sentito molto parlare dei ‘coloni’ di Israele. Termine che ha portato, nella mente dei più, a credere di trovarsi di fronte a coltivatori, mezzadri o contadini (come riporta anche Treccani). La realtà è un po’ diversa e se non si utilizzano i termini appropriati si rischia di creare un immaginario e favorire una narrazione che non corrispondono al vero (anche se, forse, è proprio questo a cui aspirano i nostri mezzi stampa).
Il termine più appropriato per definire gli 800mila israeliani che hanno occupato, contravvenendo a tutte le Risoluzioni dell’Onu, i Territori palestinesi è ‘colonialisti’, che Treccani definisce “fautori dell’espansione coloniale del proprio popolo”, come storicamente erano i francesi in Algeria; i conquistadores spagnoli in America Latina; gli italiani fascisti in Eritrea, Somalia, Libia ed Etiopia; i belgi in Congo e, ancora, i britannici in India.
Ora, tutti questi esempi (e molti altri che potremmo fare e che vedono gli occidentali, soprattutto europei, conquistare territori abitati da popolazioni locali con vari intenti, alcuni reali: sfruttare uomini e risorse naturali; altri di facciata: portare la civilizzazione, la prosperità e la pace), in tempi di ‘decolonizzazione dei musei’, naturalmente un po’ infastidiscono. Ci impegniamo tanto a licenziare il curatore wasp, negandogli di organizzare una mostra sui nativi americani, nonostante due lauree, tre master e oltre cento pubblicazioni sull’argomento, e poi lasciamo che centinaia di migliaia di colonialisti israeliani, da decenni, si impadroniscano di una terra che non appartiene loro – né per diritto umano né per diritto ‘divino’.
Partiamo dal diritto umano. Da anni associazioni pacifiste e Ong denunciano la violenza e i soprusi dei colonialisti israeliani. Amnesty International, il 4 marzo del 2023 scriveva: “Secondo l’organizzazione israeliana per i diritti umani Yesh Dih, tra il 2005 e il 2022 il 93% delle indagini su attacchi dei coloni contro i palestinesi della Cisgiordania è stato chiuso senza incriminazioni. Oltre l’80% delle denunce palestinesi alla polizia israeliana non sono state neanche oggetto d’indagine. Nel 2022 le Nazioni Unite hanno registrato 621 attacchi dei coloni israeliani contro i palestinesi della Cisgiordania occupata”. Ovviamente l’immagine dei ‘coltivatori, mezzadri o contadini’ scompare di fronte alla realtà dei fatti ma se non si comincia a etichettare un comportamento con il termine che meglio lo definisce, si continuerà a credere alla ‘terra senza popolo e al popolo senza terra’ invece di ammettere che la colonizzazione dei Territori occupati, da parte di Israele, è stata una manovra portata avanti in maniera scientifica per ottenere l’espulsione del popolo palestinese e la conquista, di fatto, delle sue terre.
E adesso passiamo al diritto cosiddetto divino. Come ha scritto Vincenzo Brandi in una Lettera aperta a Marco Travaglio, pubblicata anche da L’Antidiplomatico (2): “Vi fu nell’antichità una parziale diaspora [ebraica, n.d.g.], sia volontaria in cerca di fortuna ad Alessandria e Roma, sia forzata dalle deportazioni seguite alle rivolte antiromane del 68/70 e del 135 d.C. Tuttavia il nucleo principale degli antichi abitanti della Palestina si è mantenuto ed è in buona parte alla base dell’attuale popolazione palestinese, convertitasi prima al Cristianesimo e poi all’Islam”. Questo cosa significa? Che Israele millanta crediti ma anche dal punto di vista ‘divino’ non ha diritti sulla terra di Palestina più degli stessi palestinesi che vi hanno continuato a risiedere per duemila anni, ossia fino a quando gli ebrei immigrati (ancora non costituitisi in uno Stato autonomo) hanno intrapreso una vera e propria pulizia etnica degli arabi, nel 1947. E l’Occidente li ha lasciati fare per due motivi. La cattiva coscienza dovuta all’orrore dell’Olocausto e la consapevolezza che, a livello geo-strategico, conveniva alle potenze ex colonialiste avere un avamposto di origine europea e di matrice filo-statunitense nel Medio Oriente.
Il buon proposito per i mesi a venire, che probabilmente saranno ancora insanguinati e bui? Tornare a usare appropriatamente le parole, secondo il loro significato etimologico e la semantica – e non per il loro valore propagandistico. La guerra non è un’operazione di pace, i missili non sono mai intelligenti, il vaccino deve avere proprietà immunizzanti, il coprifuoco non serve contro un virus (a meno che non ci si trovi di fronte alla zanzara della malaria), il genocidio non è un’operazione antiterroristica, e così via. Chissà che si ritorni a dialogare. Ma per farlo occorre riacquisire un linguaggio comune e preciso, lontano dalle mistificazioni della propaganda.
(1) Una tra le molte denunce di Amnesty International:
(2) La Lettera aperta che incitiamo a leggere per intero: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-israele_e_i_palestinesi_lettera_aperta_a_marco_travaglio/39602_51752/
venerdì, 16 febbraio 2024
In copertina: Foto di Lisa Runnels da Pixabay