La parabola discendente dell’immagine degli ucraini in Europa
di Luciano Uggè
Il doppio standard è una delle caratteristiche più evidenti della politica ma anche dei mass media occidentali. Così come il continuo scarto nella narrazione dei medesimi eventi che plasma continuamente, quasi fosse argilla malleabile, la nostra realtà.
Uno tra i più recenti spostamenti impercettibili di senso lo sta compiendo negli ultimi mesi lo status degli ucraini fuggiti dalla guerra che, nel 2022, erano considerati profughi e, oggi, sempre più sono additati come renitenti alla leva che dovrebbero rientrare in patria, imbracciare il fucile, trasformarsi in carne da macello per la gloria degli epigoni di Bandera e per il regime change in Russia a cui mira l’Unione Europea.
Ma procediamo con ordine. La Repubblica del 25 febbraio 2022 scriveva: “Salvini: «Accogliamo gli ucraini in fuga, sono profughi veri»” (come se siriani o libici fossero finti). E aggiungeva forse per par condicio: “E a chiedere di dare riparo agli ucraini in fuga è anche il segretario del Pd Enrico Letta, che alla Camera si è rivolto a Draghi: «Mi ha colto negativamente vedere che nelle conclusioni del Consiglio europeo non si facesse riferimento ai rifugiati. Il nostro Paese deve mettere in agenda l’allestimento di corridoi umanitari»”.
Ma non solo ci premevano i rifugiati, ci stava a cuore anche la cultura ucraina (mentre quella palestinese può scomparire dalla faccia della terra senza che noi si faccia una piega). Infatti, The Parallel Vision il 20 marzo 2022 pubblicava la notizia che l’allora Ministro Franceschini chiedeva al Consiglio d’Europa: «Accogliamo gli artisti in fuga». E l’articolo aggiungeva questa sua dichiarazione ufficiale: “L’Italia è Presidente di turno del Consiglio d’Europa e nella prossima riunione del 1° aprile, che presiederò con tutti i Ministri della Cultura, proporremo un’iniziativa collettiva di sostegno alla cultura e agli artisti ucraini”.
Infine, in un Paese in guerra dove i camici bianchi dovrebbero essere in prima linea a curare i feriti, il 22 marzo 2022 La Stampa ci informava, al contrario, che: “Per un anno medici e infermieri ucraini scappati dalla guerra sostituiranno i camici bianchi No Vax sospesi. In deroga alle norme sul riconoscimento della qualifica professionale, i professionisti sanitari profughi potranno lavorare in Italia”. In pratica, per ostracizzare ancora di più chi, nel nostro Paese, voleva esercitare il diritto all’autodeterminazione sul proprio corpo, non solo si derogava a norme di salvaguardia per la salute dei cittadini; non solo si fingeva che non ci fossero problemi anche meramente di lingua che avrebbero impedito a un medico ucraino di dialogare con un paziente italiano; ma si evitava di prendere atto di una cosa palese, denunciata anche dall’Oms, ossia che gli ospedali ucraini erano in rapido deterioramento (e come sarebbe potuto essere altrimenti se il personale sanitario si trasferiva in massa nel resto d’Europa?). Nessun dubbio etico ad accogliere quei medici, che abbandonavano il campo e, grazie al Decreto Misure urgenti per l’Ucraina, pubblicato nella Gazzetta del 21/3/22, potevano esercitare liberamente nel nostro Paese.
In breve, come scriverà un anno dopo Euronews (il 2 marzo 2023): “Esattamente anno fa l’Unione Europea apriva le sue porte ai rifugiati ucraini, attivando la Direttiva sulla protezione temporanea, che ha concesso a quattro milioni di persone un permesso di soggiorno fino a marzo 2024” e sottolineava come tale decisione fosse “senza precedenti” (come non avvertire il doppio standard, allora, e soprattutto oggi di fronte alla tragedia palestinese? Ma forse ciò che accade a Gaza non è guerra e i palestinesi non sono ‘veri’ profughi dal 1948…). Infine, come riporta Save the children il 29 settembre 2023, il “Consiglio Giustizia e Affari interni dell’Unione Europea” ha deciso “di prorogare di un altro anno, fino al 4 marzo 2025, la direttiva sulla protezione temporanea per i rifugiati in fuga dall’Ucraina”. Ovviamente plaudiamo ma ci preoccupiamo anche, in quanto ci viene il dubbio che la Ue mediti di fornire miliardi di armi all’Ucraina ancora per mesi così da proseguire nella devastazione del Paese e nel massacro della sua popolazione.
Nel frattempo viste le centinaia di migliaia di morti e feriti, è la carne da macello che comincia a scarseggiare al fronte. Se è vero che occorrerebbero soldati di professione o ben addestrati per utilizzare i carri armati, i mezzi corazzati e le armi tecnologicamente avanzate oggi disponibili… per correre su un campo minato basta un ‘coniglio’.
E così La Repubblica, il 28 dicembre 2023, cambia toni e prospettiva, assumendo un piglio bellicista immotivato, visto che non è il nostro Paese a essere (almeno ufficialmente) in guerra: “Ucraina a corto di soldati, servono rinforzi: sarà reclutato anche chi lavora all’estero. Bisogna prendere una decisione fondamentale, una questione di vita e di morte che riguarda tutta la popolazione: come arruolare mezzo milione di soldati per rimpiazzare i caduti e formare nuovi reparti”. E se Today, il 12 gennaio 2024, titola: “Ucraini disposti a pagare 5mila dollari per lasciare il Paese ed evitare l’arruolamento” e spiega: “Un’inchiesta del Times rivela le strategie degli uomini per sfuggire alla mobilitazione generale imposta dal governo. Già 17mila persone avrebbero provato ad attraversare illegalmente il Paese”; sono le Repubbliche Baltiche a distinguersi come sempre nel ‘rispetto’ dei diritti umani: Il Corriere del Ticino, il 23 dicembre 2023, ci informa che: “L’Estonia è pronta a estradare i rifugiati ucraini in età di leva. Kiev non ha presentato alcuna richiesta formale in tal senso, ma non è la prima volta che Tallinn offre al governo ucraino informazioni sui rifugiati”. Mentre l’Ansa, il 21 dicembre 2023, fa da megafono al ministro della Difesa ucraina Umerov, trascrivendo il suo diktat: “cittadini maschi all’estero si presentino per arruolarsi”. Mentre Il Manifesto, il 23 dicembre 2023, dedica un intero pezzo ai desiderata di Kyiv: “Reclutare gli ucraini che si trovano all’estero in ogni modo possibile. È quanto sostiene il consigliere del presidente Zelensky, Mikhailo Podolyak, che fa eco alle parole del ministro della difesa di Kiev, Rustem Umerov. Ben vengano le sanzioni contro chi si rifiuta di tornare in patria a combattere, ma Podolyak si spinge fino a evocare la richiesta agli Stati ospiti di revocare il permesso di soggiorno o le prestazioni sociali per i cittadini ucraini renitenti”.
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In tempi non sospetti, quando il problema degli ucraini era non voler andare in Donbass ad ammazzare altri ucraini, russofoni, Melting pot, il 4 febbraio 2021, riportava questa notizia: “Status di rifugiato ad un cittadino ucraino renitente alla leva. La sanzione a chi si oppone alla chiamata alle armi costituisce un atto di persecuzione”.
Nell’articolo si spiega – grazie alla consulenza dell’avvocato Cristian Valle – che il Tribunale di Bari, con decreto del 2 dicembre 2020, “riconosce lo status di rifugiato ad un cittadino ucraino che, renitente alla leva, in caso di rimpatrio potrebbe essere costretto a partecipare al conflitto che sta dilaniando la regione del Donbass, macchiandosi in tal modo, del compimento di crimini di guerra. Nel caso, invece di rifiuto, subirebbe un atto di persecuzione in quanto punito con la reclusione” (e questo sia utile a chi afferma che il conflitto in Donbass è iniziato nel 2022 e non nel 2014).
Il pezzo spiega altresì che: “La decisione è rilevante in quanto fa riferimento a numerose fonti aggiornate… Viene richiamata altresì l’Ordinanza della Corte di Cassazione sez. III Civile, del 30.6.2020 – 21.10.2020 n. 22873, che riconosce che la sanzione penale in caso di rifiuto opposto alla chiamata alle armi costituisce un atto di persecuzione ai sensi del D.Lgv. 251/2007, art. 7, co. 2, lett. e), e dell’art. 9, par. 2, lett. e) della direttiva n. 2004/83/CE come interpretato dalla CGUE 26.2.2015 (causa C-472/19)” .
Persecuzione, ieri come oggi. Il Donbass (questo sconosciuto!), ieri come oggi. Non cambiamo regole e narrazione a nostro piacimento…
venerdì, 9 febbraio 2024
In copertina: Foto di Pexels da Pixabay