In attesa di costruire percorsi di ospitalità e dialogo per gli artisti palestinesi, capiamo come siamo arrivati qui
di La Redazione di InTheNet
Mentre prosegue la ricerca di spazi e fondi per ospitare e costruire progetti creativi con la comunità artistica palestinese, si è tenuto (via zoom) il secondo incontro organizzato da AREA – Area in Rural European* Areas (*and beyond), moderato da Anna Estdahl.
Tra i molti che vi hanno partecipato – dall’Italia, l’Europa, il Sudafrica e la Palestina – anche tre nomi di spicco del mondo accademico.
Iain Chambers, professore presso l’Orientale di Napoli in Sociologia dei Processi Culturali, dove è altresì direttore del programma di Studi Culturali e Postcoloniali nel mondo Anglosassone e autore, tra i molti, di Mediterraneo blues. Benoit Challand, attualmente a Firenze, Professore associato in Sociologia presso la New School for Social Research a New York, dove insegna Teoria Sociale, Sociologia Storica e Sociologia Politica, autore del recentissimo Violence and Representation in the Arab Uprisings. E Mike Van Graan, produttore e tra i più noti e apprezzati drammaturghi sudafricani. Recentemente nominato Coordinatore della Fondazione Sustaining Theatre and Dance – per supportare tali settori in Sudafrica oltre l’emergenza pandemica – nel 2018 la Svezia gli ha conferito il Premio Hiroshima per la Pace e la Cultura.
Iniziamo un breve resoconto dei contenuti partendo da Chambers che, durante il suo discorso, ha tenuto a precisare le differenze tra anti-sionismo e anti-semitismo: il primo, che intende essere una posizione critica verso un Governo e le sue azioni politiche in Palestina; mentre il secondo è stato un sentimento largamente diffuso in Europa per secoli che ha condotto all’immane tragedia dell’Olocausto. E proprio il nostro senso di colpa, di europei, per quell’immane tragedia, permette oggi a Israele di proseguire con la sua politica colonialista, avendo noi scaricato sui palestinesi le stigmate di ciò che abbiamo commesso durante il periodo nazi-fascista.
Il secondo punto importante del suo discorso è stato sottolineare come il 7 ottobre 2023 non sia stato l’inizio ma un punto di svolta con Hamas ‘frutto’, in realtà, della violenza colonialista portata avanti da Israele per decadi. La riduzione mass mediatica dei palestinesi a oggetti o espressioni di violenza è, a sua volta, l’esito della riduzione della questione colonialista israeliana nei Territori Occupati, supportata dall’Occidente.
Terzo punto, affrontato da Chambers, il fatto che l’accusa di genocidio del Sudafrica contro Israele di fronte alla Corte di Giustizia Internazionale dell’Aia e la difesa sostenuta da Israele dimostrano la bancarotta morale di tale Stato e la gravità delle azioni da esso compiute per decenni contro il popolo palestinese. Di conseguenza, riallacciandosi aI discorso precedente, i media e le maggiori testate (da Fox News a Bbc e Sky, eccetera) non potevano che dare, come hanno fatto, piena copertura solo alla difesa israeliana. Citando l’autore afroamericano James Baldwin, quando diceva: “I can’t believe what you say because I see what you do”, Chambers ha concluso ricordando che fin dal 1948 i palestinesi sono costretti all’esodo, uccisi e incarcerati da un regime – quello israeliano – basato sull’Apartheid e di stampo chiaramente colonialista. E però, il suo congedo ha voluto ricordarci che esiste il diritto all’autodifesa e alla resistenza – se si è sottoposti a un’occupazione – e che ciò è garantito dal diritto internazionale.
Challand ha esordito ricordando che quanto accaduto il 7 ottobre 2023 è, sì, in continuità con le violenze israeliane perpetrate per decenni ma può altresì inquadrarsi come momento di frattura.
Ci sono diverse tendenze in atto e non solamente in Palestina, che vanno considerate. Vi è stato un processo di avvicinamento tra Israele e le monarchie arabe del Golfo, l’islamofobia è un sentimento sempre più forte in Occidente (che interessa anche gli afroamericani), mentre risorgono gruppi religiosi oltranzisti israeliani. Questo porta a concludere che è in atto una vera e propria guerra tra civiltà.
Challand ha sottolineato come vi sia in atto una erosione degli spazi di libertà nel mondo accademico ma anche artistico in Europa come negli Stati Uniti. I suoi colleghi palestinesi e arabi affermano che non c’è libertà accademica quando si tratta della questione palestinese. Riferisce altresì di colleghi che sono stati minacciati di licenziamento e anche di espulsione per aver preso posizione a favore della resistenza palestinese e alcuni si sono visti denunciare pubblicamente con la conseguenza che i loro siti personali sono stati hackerati e hanno ricevuto minacce personali. Nonostante questa sia la situazione, soprattutto negli States, è anche vero che Oltreoceano si discute di più anche grazie al movimento Black Lives Matter, alle teorie sulla decolonizzazione della cultura e delle arti, alla presenza di musulmani tra gli afroamericani. In Europa, al contrario, Challand registra – in ambito accademico e non solo – un silenzio assordante.
Il passo successivo è stata l’accusa contro il settler colonialism, ovvero il colonialisno dei coloni, che ha condotto gli occupanti della Palestina (come era avvenuto con gli europei emigrati negli States riguardo ai nativi americani) di attribuire alle vittime le colpe dei carnefici. L’esempio più eclatante la pratica di collezionare scalpi dei nemici, in uso tra i coloni ma attribuita ai nativi americani. Così accade oggi con Israele che incolpa i palestinesi delle migliaia di morti che sta causando l’esercito israeliano (1).
Infine Challand ha denunciato che se, in Europa, si critica Israele si è immediatamente tacciati di antisemitismo e non è possibile esprimere alcuna opinione dissenziente. A proposito ha fatto l’esempio di un collega che, in Francia, non ha trovato un editore disposto a pubblicare il suo libro, che forniva una buona immagine dell’Islam. Lo stesso vale per il raccontare ciò che accade – e se non lo si fa, si sradica dalle fondamenta il senso stesso di tale professione.
Last but not least, Van Graan ha esordito ricordando che i palestinesi hanno i medesimi diritti di tutti gli altri esseri umani e dovrebbero poterli esercitare. Rifacendosi al primo e al secondo articolo della Dichiarazione Universale dei Diritti umani, ha sottolineato che “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti” e che “A ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella presente, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione”. Eppure così non era nel Sudafrica, il cui regime di segregazione razziale era stato formalmente adottato lo stesso anno della Dichiarazione dell’Onu, il 1948. E così non è oggi per gli arabi cittadini di Israele, che dal 2018 è diventato lo Stato-Nazione degli Ebrei – escludendo la minoranza araba (ma anche cristiana). E ha ricordato altresì che il 1948 è stato anche l’anno della Nakba, della tragedia dell’esodo palestinese causato dalle violenze israeliane e il parallelo con l’instaurazione del regime dell’Apartheid (oggi ampiamente superato) in Sudafrica è lancinante. Ricordiamo come lo stesso Nelson Mandela affermava: “La nostra libertà è incompleta senza quella dei Palestinesi”.
Spostando lo sguardo all’Europa, Van Graan ha ricordato che i nostri Stati hanno portato avanti la colonizzazione di interi Paesi per secoli. Ma neanche gli States possono dirsi innocenti, avendo ucciso centinaia di migliaia di bambini con le loro bombe. E a questo punto la sua domanda è inevitabile: sarebbero loro – europei e statunitensi – i difensori dei diritti umani? Come possono arrogarsi tale titolo?
Stranamente gli ebrei non ricordano più che quando arrivarono in Palestina non erano perseguitati dai palestinesi, ma dagli europei da secoli. L’Occidente, ha aggiunto, è solo una minoranza nel mondo, e quando si proclama difensore dei diritti umani non è più credibile perché ormai è sotto gli occhi di tutti il doppio standard che applica. Il Nord del mondo è dispotico e antidemocratico ma si nasconde dietro la retorica e quando afferma che Israele ha diritto a esistere, bisogna rispondere con forza che anche la Palestina ce l’ha.
L’amara conclusione è che se l’unica carta è ricordare continuamente quanto accaduto il 7 ottobre 2023, andrebbe ricordato altrettanto strenuamente che la violenza degli israeliani contro i palestinesi continua dagli anni 20 del Novecento.
(1) Si veda a proposito la distorsione operata dai media del termine scudo umano, denunciata dal professor Orsini: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-alessandro_orsini__genocidio_e_scudi_disumani/39602_52360/
venerdì, 26 gennaio 2024
In copertina: Foto di Hosny Salah da Pixabay