… per i prossimi 50, Israele lo farà con il genocidio palestinese
di Luciano Uggè
Il 30 gennaio 1968 la fede messianica degli statunitensi nella guerra ‘giusta’ in Vietnam si scontrò con la dura realtà dell’inaspettata offensiva generale sferrata dai Viet Cong e dall’esercito nord vietnamita, alla vigilia del Têt e che da questa festività prese il nome.
Nonostante gli Stati Uniti stessero incrementando le loro forze a supporto del Governo voluto delle potenze ex coloniali del Vietnam del Sud, fino a impegnare 550.000 soldati solo nel 1969, oltre ad aviazione e marina, 70.000 nord vietnamiti e Viet Cong, dotati di armamenti meno sofisticati e con un’aviazione per nulla imponente (nonostante i veloci e ben manovrabili Mig 17 subsonici che riuscirono perfino ad abbattere costosi aerei da guerra, come i bombardieri B 52 statunitensi), dimostrarono al mondo intero e alla popolazione US che la resistenza popolare può più di un esercito armato fino ai denti, che si diletta a irrorare di sostanze chimiche un intero Paese.
Tuttora ricordate sono sia la battaglia di Huế, antica capitale situata nel Vietnam centrale, dove i nord vietnamiti conquistarono la cittadella fortificata, sia l’attacco dei Viet Cong all’allora capitale del Vietnam del Sud, Saigon (oggi, Ho Chi Minh City).
Quel conflitto ventennale ha lasciato una profonda piaga nel Paese. Secondo diverse fonti fino a 2 milioni di morti tra civili e combattenti, contro i 58.272 militari statunitensi; e ha coinvolto anche gli Stati vicini, come il Laos (oggetto di operazioni belliche segrete statunitensi) e la Cambogia, presa massicciamente di mira da attacchi aerei e terrestri statunitensi e infine invasa dalle forze nord vietnamite in appoggio alla guerriglia dei Khmer rossi.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale e la vittoria sul nazi-fascismo, gli States non solo persero una guerra ma anche la loro innocenza: non combattevano sempre dalla parte giusta e il nemico non era per forza l’incarnazione del male. Eppure, negli anni a seguire e dal 1991 in avanti con maggiore frequenza, gli US sono ‘tornati in campo’ con operazioni ufficialmente di ‘pace’, bombardando e invadendo o destabilizzando e persino (nel caso dell’Ucraina) costringendo un altro Paese a combattere per i loro interessi economici che, come al tempo del Vietnam, continuano a essere quelli di un capitalismo che non ammette competitor (ieri ideologici, oggi economici).
Ciò che, però, a noi interessa è come sia cambiata la narrazione filmica e come la stessa sia riuscita, nel tempo, a ripulire la coscienza sporca degli States.
Dopo il racconto agiografico di Berretti Verdi – con il solito John Wayne difensore del sogno americano contro ‘indiani’ o ‘musi gialli’ poco importa – è Apocalypse Now a traslare il conflitto da una dimensione politica e geo-strategica a una psicologica e immanente, grazie alla trasposizione del Congo oppresso dal regime colonialista belga (il Cuore di tenebra di Joseph Conrad) nella giungla Viet dove un Cronos/Brando domina e distrugge i propri ‘figli’. Poi vennero tre film da non sottovalutare in questa prospettiva mistificatoria. Full Metal Jacket, indubbio capolavoro cinematografico che si avvaleva dell’interpretazione di Vincent D’Onofrio (chi non ricorda Palla di Lardo?). Ma che, in fin dei conti, ti diceva che se volevi sopravvivere e non volevi mettere in pericolo la tua squadra dovevi diventare feroce come il ‘nemico’ – un nemico che Kubrick si guarda bene dal mostrare. Il secondo è il bel film di denuncia, Vittime di guerra che – nonostante l’ottima interpretazione di Michael J. Fox, la regia di Brian De Palma e una trama che raccontava un fatto realmente accaduto – fu, però, un flop al botteghino perché erano passati i tempi in cui Hollywood e gli States potevano accettare di sentirsi in colpa. E infine, ce la fecero: il militare statunitense si trasformava da ‘allegro dispensatore di esfolianti tossici e stragi di civili, o consumatore di stupefacenti e cliente di un fiorire di prostitute’, in vittima grazie a Nato il 4 di luglio – che sarà la pietra miliare del cambio di prospettiva. E questo nonostante Oliver Stone avesse firmato solo tre anni prima, Platoon, dove il Vietnam era metafora degli stessi Stati Uniti e della loro vocazione predatoria.
Da allora quasi ogni serie televisiva a Stelle e Strisce ci ha ‘deliziati’ con ex combattenti abbandonati dal sistema, vittime del loro senso del dovere e di connazionali che, invece di accoglierli con parate e cotillon per aver ‘sacrificato la gioventù’ bombardando e uccidendo, si sarebbero girati dall’altra parte (per vergogna o egoismo?), lasciandoli alla loro sedia a rotelle, alla loro bottiglia e alle loro tendopoli (sempre infestate di qualche serial killer). Il top della retorica da tv in chiaro, lo si raggiunge forse con Criminal Minds (una serie che non si comprende come lo spettatore possa vedere senza pensare che l’ultimo posto al mondo dove vivere o soggiornare siano gli Stati Uniti, dato il numero di assassini, psicopatici, pedofili violenti, seviziatori, stupratori, dinamitardi e cecchini in circolazione). Nella serie, il personaggio di David Rossi è quello di un ex militare (coscritto o volontario?) che, grazie al Vietnam, è diventato un uomo! Non solo. Anche di successo, e che tenterà perfino di salvare da se stesso il suo ex sergente (ovviamente alcolizzato e senzatetto). Al suo fianco, tra i colleghi, anche la sorella di una vittima delle Torri Gemelle: e così il cerchio si chiude e gli statunitensi possono dirsi vittime immacolate, che si immolano ogni giorno e in tutto il mondo sull’altare della democrazia.
Oltre mezzo secolo dopo l’offensiva del Têt, mentre l’economia vietnamita marcia spedita e il capitalismo statunitense si contorce per continuare a garantirsi l’egemonia e il controllo della ricchezza prodotta dal plus valore (del proprio e degli altrui Stati), con un mondo che sicuramente non rammenta più chi fossero i Viet Cong, ci chiediamo quale dose di retorica filmica riuscirà a produrre Israele per ‘convertirci’, trasformando il popolo palestinese nel male assoluto, un genocidio in un’operazione di pacificazione nazionale e Benjamin Netanyahu nel tedoforo della democrazia. Se pensate che sia fantapolitica, ricordate solo come i media nostrani hanno trattato lo scambio di ostaggi durante la tregua novembrina: da una parte donne innocenti e bambini ebrei, dall’altra generici palestinesi che erano reclusi nelle carceri israeliane (i quali, nell’immaginario comune, pensiamo siano stati visti come terroristi e criminali). Eppure i palestinesi rilasciati erano anche loro donne innocenti e bambini, reclusi dall’unica democrazia del Medio Oriente…
Non temete, la mistificazione non si fermerà.
venerdì, 26 gennaio 2024
In copertina: N.Y.C., la Statua della Libertà, foto di Ronile da Pixabay