più stretta è… e più fa male
di Simona Maria Frigerio
Giungere a un’unione federale è sempre un processo lungo, irto di ostacoli e che deve tenere conto di due forze uguali e contrarie, la necessità di armonizzare e unificare alcune competenze e quella di rispettare le specificità di ciascuno Stato o regione che vi aderiscano.
Negli States, dove è evidente una omogeneità storico-culturale e linguistica di base, dopo circa 160 anni dalla guerra di Secessione, più o meno ogni cittadino a Stelle e Strisce si riconosce nello Stato federale almeno quel tanto che basta da presentarsi al resto del mondo come ‘americano’ (usurpando, tra l’altro, un aggettivo che apparterrebbe all’intero continente).
Al contrario, quale europeo, incontrando uno straniero risponderebbe alla domanda: «da dove vieni?», «sono europeo»? Dirà «sono francese” in francese, «sono spagnolo» in castigliano, «sono belga», magari in vallone, «sono italiano» in sudtirolese, e così via… L’Europa è, a tutt’oggi, una unione monetaria di Stati a loro volta – tranne in pochi casi – suddivisi tra radici linguistico-culturali e religiose diverse. Persino in Francia – forse uno tra i Paesi più compattamente ‘nazione’ – esistono minoranze fortemente connotate, come gli abitanti della Corsica o dei Paesi Baschi.
Nonostante che negli States il processo di unificazione sia iniziato molto prima e su un sostrato storico-culturale, religioso e linguistico anglosassone abbastanza uniforme, le competenze del Governo Federale restano molto limitate e si possono raggruppare in: difesa e spionaggio (interno ed esterno), moneta e commercio estero, barriere doganali, emissione di titoli di Stato, tassazione. La gran parte delle competenze in materia legislativa è delegata a ciascuno Stato che, quindi, ha ampia possibilità di manovra dalla sanità all’istruzione passando perfino per alcuni diritti civili, oltre a regimi di detassazione ad hoc per privati e aziende.
Ora, in un’Europa dove i cittadini si sentono ancora fortemente legati alla propria nazione, quando non alla propria regione o territorio (dai galleghi ai ladini, passando per gli occitani), con radici storico-culturali, linguistiche e religiose molto diverse, l’Unione Europea tenta la manovra dell’unificazione calata dall’alto. Ancora una volta dimostrandosi potere autoritario e discrezionale.
Risale infatti al giugno 2022 (ma a fine ottobre di quest’anno la partita ha avuto ulteriori sviluppi e si dovrebbe concretizzare prima delle prossime votazioni, previste per il 6/9 giugno 2024), la risoluzione votata dal Parlamento Europeo per istituire una Convenzione che metta mano ai trattati dell’Unione.
Il primo punto che si vuole modificare è quello relativo al voto a unanimità in Consiglio, sostituito da un voto della maggioranza qualificata, ossia 2/3 degli Stati membri che rappresentino il 50% della popolazione (invece di 1/2 degli Stati Membri che rappresentino il 65% della popolazione). E qui sorgono due dubbi. Il primo relativo al peso che a questo punto avrebbero Stati che contano popolazioni esigue e il secondo se non sia l’opposizione di alcuni Paesi, come l’Ungheria rispetto al conflitto in Donbass, a voler essere finalmente messa a tacere.
Si vorrebbe inoltre trasformare la Commissione Europea (ufficialmente organo tecnico ma sappiamo per esperienza essere già un organo politico, emanazione dall’asse franco-tedesco) in potere esecutivo a tutti gli effetti, il cui Presidente sarebbe proposto dal Parlamento Europeo e confermato dal Consiglio. Se in questo modo, ossia politicizzando ancor di più la Commissione, la stessa dovrebbe però essere espressione di un potere maggiormente democratico, in quanto risponderebbe al Parlamento; d’altro canto visti i precedenti comportamenti tenuti, ad esempio, da von der Leyen (personaggio scelto dalla politica tedesca dell’ex Premier, Angela Merkel), potremmo fidarci? Ricordiamo che la Presidente della Commissione ha già dimostrato di avere le mani fin troppo libere rispetto all’acquisto di milioni di vaccini via whatsapp, ai continui pacchetti di sanzioni contro la Russia (che non stanno funzionando se non a detrimento delle economie nazionali europee), alla decisione di sdoganare l’energia nucleare come green, al rinnovo per altri dieci anni della licenza per il glisofato, all’attenzione per il cambiamento climatico quando si tratta di caldaie performanti e batterie al litio ma non per centrali a carbone e gas di scisto, o all’incondizionato sostegno a Israele e alla sua politica criminale contro i civili palestinesi. Abbiamo davvero bisogno di un o una Premier come la succitata dotato/a perfino di maggior potere?
Dulcis in fundo, il Parlamento Europeo accentrerebbe su di sé nuove e maggiori competenze, nonostante sia evidente a tutti quanto sia distante sia dalla mente sia dalla vita dei cittadini europei – come ha dimostrato sostenendo economicamente l’annessione della Germania dell’Est da parte di Bonn, ma non la Grecia quando era al collasso e, al contrario, speculandovi e costringendo il Paese a svendersi al miglior offerente (1).
Dovremmo, inoltre, istituire un sistema di difesa e uno energetico comuni. Ma quali sarebbero i rapporti del nuovo esercito europeo con la Nato? Quale quota del Pil dovrebbe essere sacrificata a ulteriori armamenti, basi militari e personale? Come si concilierebbe, ad esempio, il nostro articolo 11 della Costituzione con la visione del nuovo Ministro della Difesa europea? Anche dal punto di vista energetico abbiamo seri dubbi su un passaggio di consegne all’Europa: come conciliare il nostro rifiuto del nucleare, l’abbandono tedesco dello stesso e la posizione di von der Leyen e della Francia diametralmente all’opposto? E l’ignavia nell’identificazione di chi ha attentato al Nord Stream con la riapertura delle centrali a carbone (con cui ricaricare, magari, le nostre auto elettriche) e il cambiamento climatico? “Grande è la confusione sotto il cielo, quindi la situazione è eccellente”? Non in Europa.
L’UE si arrogherebbe anche l’esclusiva su ambiente e biodiversità (ovviamente oltre al cambiamento climatico). La stessa Europa che foraggia guerre inquinando il nostro stesso continente e le sponde del Mediterraneo, ma che poi pretende che i cittadini si cibino di grano o carni allevate con granaglie all’uranio impoverito e residui di esplosivi (dai metalli pesanti alla polvere di amianto, 2).
Questa Europa che già ora rappresenta così bene gli interessi di italiani, greci o spagnoli, vorrebbe inoltre legiferare in materia di salute pubblica – quando non vi è nemmeno uniformità nei sistemi di assistenza e nei finanziamenti alla sanità. Vorrebbe interessarsi di protezione civile – quando oggi non riesce a dare una risposta unitaria nemmeno alla questione dell’ospitalità dei migranti e alle procedure per la richiesta d’asilo. E ancora, intende occuparsi di industria – sebbene agisca, rispetto al caro energia, alle sanzioni e al continuo aumento dei tassi della BCE, in direzione di politiche che deprimono invece di favorire la produzione europea; e infine in ambito educativo – quando non vi è corrispondenza nemmeno nei corsi di studio.
L’Europa, che appare sempre più come un oligopolio di interessi di aziende e potentati statunitensi, l’Europa delle guerre e mai della diplomazia, dei grandi asset finanziari – per garantire i quali si aumentano i tassi d’interesse – e delle disuguaglianze sempre più marcate tra Nord e Sud, del controllo dei mezzi di informazione e dei social, delle proibizioni a manifestare e a esprimere opinioni contrarie al pensiero unico, vuole centralizzare ancor più il potere nelle proprie mani, e non si rende nemmeno conto che il suo Parlamento siede a Strasburgo e la Commissione, ovvero il futuro esecutivo, agisce da Bruxelles…
(1) Torniamo sul caso greco a esempio:
(2) Il pesante inquinamento in Ucraina: https://luce.lanazione.it/attualita/la-guerra-in-ucraina-e-limpatto-sullambiente-quanto-costera-al-pianeta-linquinamento-causato-dal-conflitto/
venerdì, 5 gennaio 2024
In copertina: Foto di TheAndrasBarta da Pixabay