Stuprando la lingua, violentiamo il senso della vita
di Simona Maria Frigerio
Per non entrare in polemica con la retorica natalizia, abbiamo preferito pubblicare questo articolo dopo il 25 dicembre. Come molti di voi avranno visto, a Modena si è pensato che fosse un simbolo adatto alla Natività esporre in piazza un Babbo Natale che, al posto della slitta trainata da renne, guida un carro armato, ed espone varie bandiere tra le quali una di Israele e una bianca con la scritta Peace in nero.
A bocce ferme e con pacatezza cerchiamo di analizzare questa ‘installazione pacifista’ firmata da Lorenzo Lunati e di spiegare perché l’allegoria rappresentata ci pare una pericolosa mistificazione della realtà o, peggio, un significante che può celare significati offensivi per la sofferenza dei civili e dei bambini palestinesi – ma anche serbi e afghani, libici e iracheni (e qui ci fermiamo).
Dai bombardamenti su Baghdad i mass media hanno iniziato a distorcere la violenza, la brutalità e l’abominio della guerra edulcorando la morte, la carne e il sangue straziati e soffocati da fuoco, macerie e fumo. Il parametro utilizzato per riportare allo stato di essere umani le vittime delle Torri Gemelle non sarà utilizzato in nessuna ‘Operazione’ militare sotto egida statunitense – a cui l’Italia si è sempre unita come Paese co-belligerante (pardon: portatore di pace). Fin dal 1991 ci viene inculcato che le vittime umane sono solo ‘danni collaterali’ – termine asettico che rimanda a quelle sciocchezze che commettiamo noi stessi quando facciamo dei lavoretti in casa (come trapanare un filo elettrico mentre cerchiamo di appendere un quadro…).
Dopo aver edulcorato, i mass media hanno iniziato a definire legittime azioni per ‘riportare la pace’ o ‘ristabilire il diritto’, quali la distruzione delle infrastrutture civili che, al contrario, dovrebbero essere considerate atti terroristici. Se l’apice si pensava fosse stato raggiunto con la distruzione dei gasdotti Nord Stream o il tentativo di distruzione del ponte di Crimea, lo sversamento israeliano di cemento nei pozzi d’acqua palestinesi va persino oltre.
Nel frattempo, abbiamo assistito (continuando a pagare l’abbonamento alla Rai e magari comprando i blasonati quotidiani nostrani) a una pindarica deformazione della realtà oggettiva, operata grazie a un uso ‘creativo’ dell’aggettivazione. Le bombe, diventando esseri senzienti, hanno potuto essere definite ‘intelligenti’ così come un virus corona si è antropomorfizzato in ‘nemico pubblico’ (lo immaginiamo un po’ alla Johnny Depp nei panni di John Dillinger…), mentre il coprifuoco ha guadagnato l’appeal del rintanarsi in casa per rimpinzarsi di spazzatura televisiva e take-away consegnato a domicilio da rider immuni al contagio.
E infine, in questo dis-amore ai tempi del colera, abbiamo visto come sia facile finire desaparecido. Zelensky, ad esempio, da paladino dell’Occidente delle ‘regole’ (che nessuno ha mai scritto o chiesto alle popolazioni di sottoscrivere), onnipresente in ogni telegiornale, programma di approfondimento o perfino contest canoro, si è trasformato in elemento folkloristico in t-shirt militare. Ma il meglio si è raggiunto con l’azzeramento della memoria collettiva, quasi che il potere abbia la capacità di resettare le nostre menti come si fa con un computer che si impalla, lasciando come nulla fosse l’Afghanistan in mano talebana – dopo aver fatto guerra al popolo afghano per vent’anni per ‘liberarlo’ dai talebani. E nessuno ha chiesto conto alla politica dei miliardi gettati al vento, delle migliaia di morti civili e militari, dello scopo della cosiddetta ‘guerra al terrore’ e, soprattutto, quale fosse la colpa che dovevano espiare gli afghani.
Leggiamo l’installazione artistica
Tutto quanto scritto è già noto ma è stato utile tornarvi su per comprendere da quali posizioni critiche partiamo per analizzare quest’installazione, esposta a Modena.
La prima domanda che ci poniamo, quella capitale è: un bambino palestinese come potrebbe considerarla? Questa dovrebbe essere la nostra preoccupazione di critici e società civile, del Comune e dell’artista.
E allora leggiamo l’allegoria, ossia l’insieme di metafore celate o rivelate dall’opera. Babbo Natale, personaggio fortemente legato alla tradizione anglosassone e, in particolare, Yankee, reca una bandiera bianca, ma con la scritta Peace (opportunamente in inglese?) in nero (colore che rimanda alla morte), su un carro armato con bandiera israeliana. I bambini palestinesi, quindi, possono aspettarsi come ‘dono’ dagli statunitensi la ‘pace armata israeliana’?
Forse l’intento era diverso, anzi non lo dubitiamo, ma il risultato ben si inserisce in quella continua mistificazione della realtà a cui ci hanno assuefatto politici e mass media. E soprattutto a quello stupro linguistico che ha violato la parola Pace macchiandola dei più atroci crimini di guerra commessi dalle nostre democrazie occidentali, solo per riaffermare e consolidare l’egemonia statunitense e dei suoi ubbidienti vassalli.
venerdì, 29 dicembre 2023
In copertina: L’installazione in piazza a Modena