Oltre 80 i giornalisti uccisi da Israele a Gaza: il prezzo della testimonianza
di Simona Maria Frigerio
Quest’anno le foto giudicate migliori da World Press Photo – organizzazione no-profit che, fin dal 1955, si pone per obiettivi la salvaguardia della libertà di stampa e la valorizzazione del giornalismo visivo – ruotano intorno ad alcune tematiche ormai abbastanza sfruttate dalla stampa mainstream: le migrazioni, il cambiamento climatico, il discorso gender. Più interessanti i progetti riguardanti le popolazioni native, le tradizioni popolari e i modelli di vita che rischiano di scomparire di fronte alla crescente omologazione occidentale.
Cesar Dezful, ad esempio, ha sviluppato un sito web multimediale per documentare il tentativo di rintracciare in Europa i 118 migranti che, il 1° agosto 2016, furono salvati da una barca alla deriva al largo della costa libica. Quanti di loro avranno trovato la ‘Mecca’ nel Vecchio Continente? Iconica anche la foto di Jonathan Fontaine intitolata L’ultimo viaggio del nomade, che racconta in uno scatto l’esistenza della giovane Samira in Etiopia.
Primo piano anche per i nuovi mezzi di comunicazione, quei social che sempre più frequentemente subiscono le forche caudine della censura governativa e che mostrano tutta la povertà culturale, violenza e superficialità delle generazioni che vi si esprimono. Ma come sempre non è il mezzo a creare il contenuto e demonizzarlo non ha senso soprattutto in un’era tecnologica come la nostra. Se è vero che Tik Tok assurge alle cronache per i video dei ragazzi israeliani che si fanno beffe delle sofferenze che stanno patendo i loro coetanei palestinesi a Gaza, altrettanto vero è che grazie alla medesima piattaforma, il drill (genere musicale nato a Chicago) sta diventando il nuovo be-bop e giovani musicisti come B-Lovee si trasformano da ‘fenomeni’ locali in star globali – senza bisogno dell’appoggio di una Casa discografica: il servizio che racconta questo spaccato di vita/mondo è apparso sul New York Magazine con foto di Ashley Peña.
Tra i progetti a lungo termine, si fa notare La morte di una nazione della giornalista e fotografa indipendente Kimberly dela Cruz, che ha documentato l’ennesima guerra alla droga, questa volta proclama dall’ex Presidente delle Filippine, Rodrigo Duterte, che ha causato migliaia di esecuzioni extragiudiziali e omicidi perpetrati dalle forze dell’ordine, da vigilanti e da comuni cittadini. Il numero ufficiale è di 6mila persone uccise ma le organizzazioni per i diritti umani fanno lievitare il numero a 30mila. Amnesty International ha denunciato come a finire nel mirino siano stati soprattutto membri delle “comunità a basso reddito”. Il medesimo tema era stato già affrontato da Daniel Berehulak,che aveva vinto il 1° premio Reportage nella sezione Notizie generali nel 2017 (1).
La foto singola che forse colpisce di più è intitolata Recuperare i morti. Scattata da Mauk Kham Wah testimonia il trasporto a spalla di un combattente delle Forze di Difesa del Popolo, che si battono contro il regime militare del Myanmar, tornato al potere a seguito del golpe del 2021. Vi si scorge la crudeltà della guerra, la pietas per il compagno morto, l’estrema fragilità dell’essere – umano o animale – di fronte alla violenza del più forte.
Fanno un po’ specie, al contrario, due servizi. Il primo, intitolato Il prezzo della pace in Afghanistan – foto di Mads Nissen, che avevamo applaudito altrove, (2) – narra l’attuale povertà del Paese dove fiorisce il mercato illegale d’organi. Ma sarebbe questo il cosiddetto prezzo della pace? Chi ha stabilito che gli afghani debbano pagarlo per non essere più vessati dall’Occidente? I vent’anni di guerra e violenza perpetrati dagli States e dai suoi alleati sembrano volatilizzarsi in questa narrazione di un presente senza passato, senza quei due decenni che hanno creato le condizioni – economiche, sociali politiche – perché il popolo afghano preferisse addirittura il regime talebano alle nostre cosiddette libertà. Il presente è sempre frutto della storia, recente e passata. Obliterarla creando una falsa narrazione che distorce le ragioni e le motivazioni di quanto accade non aiuta ad analizzare e comprendere. Purtroppo questo è un limite della fotografia – inquadrare solo l’attimo fuggente – ancora di più quando il titolo di un reportage si fa portavoce di retorica o propaganda. Al giornalista spetta contestualizzare e, questo, è il pregio della parola. Alla società civile, infine, spetterebbe andare oltre: in un mondo dove si può ormai brevettare un materiale biologico o affittare un utero, qual è la differenza con il vendere un organo?
Esempio ulteriore di quanto scrivevamo più sopra, la narrazione mainstream filo-ucraina di quanto accaduto a Mariupol. Eppure basterebbe confrontare gli scatti attualmente premiati con quelli dell’anno scorso – dove si ricordava come la guerra in Donbass fosse iniziata nel 2014 con i bombardamenti e le violenze ucraine contro gli abitanti russofoni – per rendersi conto che qualcosa non quadra (3). Sarebbe forse stato più utile, vedere – a fianco del servizio di Alkis Konstantinidis – le video-interviste (ora che il World Press Photo ha deciso di premiare anche progetti web) di Giorgio Bianchi sul medesimo tema. Oppure immagini e testimonianze del popolo del Donbass – i suoi desideri, la sua legittima pretesa di autodeterminazione – che è stato completamente obliterato dalla stampa mainstream in elmetto Nato (4). Forse si conta sempre sulla scarsa memoria delle persone? Oppure sul bombardamento di notizie a cui siamo sottoposti, che finisce per azzerare il peso delle informazioni (come insegnava Noam Chomsky)? Eppure le immagini ci sono e restano, basta ripescarle dagli archivi del World Press Photo?
La mostra World Press Photo 2023 continua:
Palazzo Ducale
Cortile degli Svizzeri, 1 – Lucca
fino a domenica 17 dicembre 2023
orari: da lunedì a giovedì, dalle ore 15.00 alle 18.30; da venerdì a domenica, dalle ore 10.00 alle 18.30
(1) Daniel Berehulak, 1° premio Reportage nella sezione Notizie generali, per il servizio sulla guerra al narcotraffico, voluta dall’allora neoeletto Presidente delle Filippine, Rodrigo Duterte: https://www.inthenet.eu/2017/12/10/photolux-2017/
(2) Mads Nissen, premiato con il World Press Photo of the Year 2014 perJon and Alex, a gay couple during an intimate moment: https://www.inthenet.eu/2015/12/02/photolux-2015/
(3) Sempre su Mariupol, si veda: https://www.inthenet.eu/2022/06/24/photolux-festival-2022/
(4) Nel 2017, il 1° premio per i Progetti a lungo termine fu assegnato a Valery Melnikov per I giorni neri dell’Ucraina: tra abitazioni bombardate e semidiroccate, un uomo innaffiava una piantina in mezzo a una strada asfaltata. L’Ucraina bombardava attivamente i suoi abitanti russofoni del Donbass ma allora si poteva ancora denunciarlo, si veda anche: https://www.inthenet.eu/2017/12/10/photolux-2017/
venerdì, 15 dicembre 2023
In copertina: World Press Photo Story of the Year, Mads Nissen per Politiken, Panos Pictures (foto gentilmente fornita dagli organizzatori)