La pulizia etnica si allarga
di La Redazione di InTheNet
Mentre prosegue il genocidio dei palestinesi a Gaza, con il pretesto di azzerare Hamas, è ormai evidente che il Governo Netanyahu ha deciso di spazzare via il popolo palestinese da tutti i Territori Occupati realizzando la cosiddetta Grande Israele, uno Stato su base etnico-religiosa e, quindi, implicitamente razzista e discriminante. Ovviamente con la collaborazione attiva degli Stati Uniti e passiva di gran parte dei Paesi dell’Unione Europea.
In questo quadro non giunge inaspettata la notizia dell’arresto di Mustafa Shatta e Ahmed Tobasi, membri del Freedom Theatre, istituzione teatrale che ha tentato in questi anni di portare le arti, il teatro, l’educazione e la cultura in quello che Human Rights Watch ha definito una “prigione a cielo aperto”, il campo profughi di Jenin, dove vivono su un fazzoletto di terra 10mila rifugiati, in gran parte figli e nipoti della Nakba, ossia l’esodo forzato a cui furono costretti i palestinesi, nel 1948, dalla violenza israeliana. Non solo in 75 anni Israele non ha mai permesso loro di tornare alle proprie case ma il campo profughi subisce da anni rappresaglie e bombardamenti che causano l’uccisione di civili e bambini.
Solo nella giornata del 3 luglio scorso (quando, ufficialmente, Israele era in pace) si contavano, dopo un ennesimo attacco israeliano su larga scala a Jenin, 12 morti (di cui 5 minori), 143 feriti e 3.500 sfollati. In un solo giorno di ‘pace’. Mentre le strutture civili, come la scuola di Jabbet el-Deeb (edificata, tra l’altro, con fondi della UE) era nel frattempo demolita dall’esercito israeliano per fare spazio a nuovi insediamenti illegali. Allora l’intergruppo per la pace tra Palestina e Israele del Parlamento italiano aveva chiesto “un incontro urgente al Ministro degli esteri, Antonio Tajani, affinché l’Italia” assumesse “una posizione chiara” poiché allora non parevano “ammissibili silenzi di fronte alle costanti violazioni dei diritti umani in Palestina”. Allora…
Un inferno, Jenin, che ha un piccolo spazio in cui i bambini possono trovare, grazie al teatro e all’attività didattica del Freedom Theatre, modi per elaborare il dolore, la perdita, e la morte – che ogni giorno vivono sulla propria pelle, in casa, nelle strade, ovunque perché nessun posto può dirsi protetto dai droni e dai raid israeliani.
In questo spazio dove si può volare, almeno con la fantasia, lavorano Mustafa Shatta e Ahmed Tobasi. Quest’ultimo lo abbiamo conosciuto nell’incontro dello scorso 5 dicembre e, anche se è mancato il contatto diretto (dato che eravamo online), tutti in redazione abbiamo provato il medesimo gioioso, vitale desiderio di partecipare a quella rivoluzione teatrale che, grazie a una militanza quotidiana – che è davvero esserci qui e ora – pareva ad Ahmed necessaria come l’aria che si respira. Per lui essere artisti significa combattere, con altre armi, per il medesimo fine: l’autodeterminazione del popolo palestinese. E chi meglio di noi italiani possiamo capirlo, noi che alla Resistenza al nazi-fascismo dobbiamo la nascita della Repubblica e della nostra Costituzione?
Qualche giorno fa abbiamo letto un commosso tributo di Max Blumenthal – su The Grey Zone – alla morte di Refaat Alareer, che titolava: “If I must die, let it be a tale”.
Noi questa storia non vogliamo raccontarla. Noi vogliamo che Mustafa Shatta e Ahmed Tobasi tornino, loro, a raccontare storie ai bambini di Jenin.
Richard Bach scriveva: “Meglio non esistere affatto che esistere come un’alga, senza senso né gioia”. I bambini di Jenin – come tutti i bambini – hanno diritto di volare alto, liberi come gabbiani.
Speciale, mercoledì 13 dicembre 2023
Aggiornamento del 14 dicembre: Mustafa Shatta è ancora in stato di detenzione ma ci sono voci non confermate che Ahmed Tobasi sia stato rilasciato
Ore 16.30: Ahmed Tobasi è stato rilasciato. Attendiamo aggiornamenti sulle sue condizioni
In copertina: Foto di ddzphoto da Pixabay