A Milano il Convegno organizzato da Tea Party Lombardia, milanocittastato.it e 21° Secolo
di La Redazione di InTheNet
Sabato, 18 novembre 2023, ore 16.00. Presso il Cinema Plinius di viale Abruzzi si tiene il Convegno Clima ed Energia, il cui sottotitolo è Il cambiamento climatico ha davvero origine antropica?
A introdurre, l’avvocato Fabio Bertazzoli, coordinatore di Tea Party Lombardia e Andrea Zoppolato, direttore del progetto e del sito milanocittastato.it. A discutere delle varie tesi, i relatori Luigi Mariani, già professore di Agroclimatologia presso l’Università degli Studi di Milano; Gianluca Alimonti, professore di Fondamenti di energetica presso l’Università degli Studi di Milano; Franco Battaglia, già professore di Chimica teorica presso l’Università di Modena; Mario Giaccio, già professore di Tecnologia ed Economia delle fonti di energia presso l’Università di Chieti-Pescara. È intervenuto, nel corso del Convegno, anche l’imprenditore Adriano Teso, già sottosegretario di Stato del Ministero del Lavoro e della previdenza sociale.
Potrete trovare qui di seguito un breve report non esaustivo e, sotto ogni intervento, la relativa relazione presentata durante il Convegno. In fondo, anche alcuni link per ulteriori approfondimenti in quanto, come ha fatto presente Alimonti, le persone devono imparare a informarsi (da più fonti) per poter giudicare. Come scriveva Bertolt Brecht in Vita di Galileo: “Ciò che oggi scriviamo sulla lavagna, domani lo cancelleremo” – ovvero, nella scienza non vi è alcuna teoria che, alla prova dei fatti o di nuovi dati, esperimenti o tecnologie, non possa essere confutata.
Bertazzoli ha introdotto l’incontro chiarendo che lo stesso è inteso a dare maggiori strumenti per capire se e quanto il comportamento umano influenzi il cambiamento climatico, anche perché tutti i mass media ripetono una narrazione unidirezionale che porta a incolpare il cittadino e l’uso della vettura privata. Bertazzoli ha fatto presente come, nonostante il Sindaco Sala abbia imposto nel 2018 l’Area B a Milano per impedire a migliaia di auto di circolare in città, proprio allo scopo di diminuire la diffusione di polveri sottili, sarebbero i dati ufficiali che smentiscono questa narrazione. A marzo 2020, infatti, durante il lockdown imposto per fronteggiare l’epidemia da Covid-19, il PM10 avrebbe toccato il picco il 29 marzo, dopo alcune settimane di blocco di circolazione e chiusura di quasi tutte le attività produttive, culturali e ricreative. Solamente a metà aprile 2020 il PM10 avrebbe cominciato a scendere, ma non a caso si tratta del periodo in cui si spengono i riscaldamenti (1).
A queste valutazioni andrebbero aggiunti due fattori, secondo la nostra Redazione. Il primo è l’efficacia ed efficienza dei mezzi pubblici milanesi, il secondo il costo di abbonamenti e biglietti. Negli orari serali, notturni o particolarmente mattinieri è molto difficile (o impossibile) usufruire di tram o metropolitane e, se si arriva dall’hinterland (dove sempre più famiglie e singoli sono costretti a trasferirsi per gli alti costi del settore immobiliare e delle locazioni), diventa impossibile raggiungere la città e il posto di lavoro con i mezzi pubblici in orari non canonici. Per quanto riguarda il costo, Lussemburgo (città della quale scriveremo in un prossimo articolo), ad esempio, è stata in grado di incentivare l’uso dei mezzi pubblici da parte dei cittadini, rendendoli gratuiti. Del resto, il trasporto pubblico è già finanziato con la tassazione e, quindi, ogni cittadino vi contribuisce in base al proprio reddito (il che è più democratico anche da un punto di vista fiscale). Al contrario, i mezzi stampa hanno già annunciato che a Milano, dal 1° gennaio 2024, si attuerà un nuovo aumento del prezzo dei biglietti che “sarà compreso tra i 2 e i 3 euro per i titoli più venduti, copertura fino a 4 zone, fino a un massimo di 6 euro per i titoli meno utilizzati, copertura di 9 zone”. Decisione questa che va, ovviamente, in direzione opposta alla retorica ambientalista ufficiale e sfavorisce ulteriormente le classi dei cittadini (lavoratori e pensionati) già pesantemente colpite dall’inflazione e dal fiscal drag.
Zoppolato, subito dopo, ha presentato il progetto e il sito, milanocittastato.it, e ha tenuto a precisare di essere presente al Convegno per ribadire come Milano, che è sempre stata spazio di libera espressione e dialogo, si sta dimostrando al contrario chiusa e omologante e, riprendendo anche il discorso di Bertazzoli, ha ribadito l’importanza del confronto e della libertà di parola e opinione. Se qualsiasi giornalista o accademico che osi dare un’interpretazione diversa dei medesimi dati, relativi al clima, è etichettato come ‘negazionista’, anche il cittadino che abbia dubbi o opinioni contrarie alla narrazione ufficiale, rischia la chiusura del proprio spazio sui social e la cancellazione delle proprie opinioni. Il rischio, quindi, che stiamo correndo, tutti, in un regime che si afferma essere democratico, è quello della censura.
I relatori accademici
Passando ai contributi scientifici, Mariani ha esordito affermando di non avere certezze sul clima ma un’esperienza professionale quarantennale nella misurazione degli eventi atmosferici. Lo infastidirebbe, al contrario, chi afferma – in ambito scientifico – di essere certo delle cause del cambiamento climatico e si esprime come citasse un atto di fede. Osservazioni, misure e interpretazione dei dati sono alla base della scienza, che non è una religione. Mariani ha poi fatto un esempio, ricordando come i dati debbano essere misurati secondo criteri seri e uniformi e, quindi, non si possa affermare (come è accaduto nel 2018 con la Stazione Meteorologica universitaria di Stoccolma) che “non si sono mai registrate temperature così alte” se le misurazioni sono fatte non ad altezza del terreno, e in zone fortemente abitate dove il calore è determinato anche dall’inurbamento.
Sulla questione – mantra degli attuali media – che gli eventi atmosferici siano oggi più violenti che in passato (tema che riprenderà Alimonti), Mariani ha fatto altri esempi (Bacino del Cecina, Genova, Sicca d’Erba, eccetera). Il 2 novembre di quest’anno a Prato, Firenze e Pisa, in due giorni, si sono avuti 210 mm di pioggia (massimi); mentre a Firenze nel 1966, oltre 400 mm (massimi), sempre in due giorni. Ma gli esempi possono essere molti e reperibili anche semplicemente in rete (2).
Mariani ha spiegato, infine, che esiste una rete globale di rilevamento delle precipitazioni, ma le stazioni in Africa e in India sono enormemente diminuite negli anni. Nell’intero Sahel esisterebbero solo 30 stazioni eppure senza dati precisi non si può capire come stanno realmente le cose. In Italia, la tendenza all’aumento (per frequenza e intensità) delle precipitazioni è stata valutata come ‘elusiva’ da un gruppo di idrologi (Libertino et al., 2019, slide 15) – ossia non si hanno dati che confermino la narrazione.
Concludendo, è vero che la CO2 è un gas serra e l’essere umano sarebbe causa del 20% della sua produzione. Ma quello che non si sa è se questo 20% – o la sua riduzione – si tradurrà in una catastrofe – o in un blocco dell’aumento delle temperature. Questo perché esistono anche altri fattori da tenere in considerazione, come il calore proveniente dal sole, l’equilibrio energetico e la circolazione atmosferica e oceanica. Anche rispetto ai deserti, gli stessi sarebbero in arretramento, come da varie pubblicazioni, e non in fase di estensione (3). La conclusione dell’intervento è un invito alle persone di ragionare individualmente, informarsi e non ridursi allo slogan – che è il ‘pane del demagogo’.
Alimonti è tornato sul punto dell’arretramento o estensione dei deserti e ha ricordato come sia comprovato che si sta verificando un effetto global greening (3), in quanto aumentando la CO2, le piante hanno maggiori possibilità di crescere e svilupparsi – dato che l’anidride carbonica è essenziale per il processo di fotosintesi.
Si è poi concentrato sul tema dell’andamento dei disastri naturali e ha premesso di ‘non credere’ alle sue parole ma di verificare i riferimenti (slide 6/12 della relazione e database emdat.be). L’impressione nelle persone è che i disastri naturali stiano aumentando, anche in severità. Questa impressione nell’opinione pubblica è dovuta sia alla narrazione dei media sia ai Report pubblicati da Agenzie dell’Onu, quali la Fao (4). Alimonti si dice sconcertato di aver letto che addirittura le proiezioni prevedono un aumento dei disastri del 40% nei prossimi anni.
Tali previsioni sarebbero basate anche su una lettura non attenta dei dati contenuti nell’International Disaster Database (5), pubblicato dal Centre for Research on the Epidemiology of Disasters (6). In primis bisogna tenere conto che rientrano tra i disastri naturali di detto database quelli che hanno registrato almeno uno di questi tre parametri: 10 o più decessi, 100 o più persone colpite, dichiarazione di calamità naturale. Ma qui sorgerebbe il primo problema. Perché, se il medesimo uragano (o altra calamità naturale) colpisse, ad esempio, la Florida oggi così come è accaduto un secolo fa, il primo sarebbe registrato, mentre quello precedente, non avendo avuto effetti sulla popolazione (perché al tempo non vi erano abitanti nelle medesime zone), non sarebbe entrato nel database.
La conseguenza di quanto detto è già di per sé una considerazione importante da tenere presente quando si noti che i grafici danno un aumento dei disastri naturali dal 1920 circa alla fine del secolo scorso, ma il dato in sé diventa anche più significativo quando si consideri – come denunciato dagli stessi ricercatori – il better reporting, ossia che solo da pochi decenni vi sono i mezzi e le tecnologie atte a una registrazione degli eventi avversi accurata. Il costante miglioramento della rilevazione e comunicazione dei dati nell’ultimo mezzo secolo è indubbia e, non a caso, dai primi anni 2000 questo presunto aumento non sarebbe più notabile e, anzi, sembrerebbe esserci una diminuzione dei disastri naturali (dovuti ad alluvioni ed esondazioni, ossia connessi con il clima).
Il terzo fattore che smitizzerebbe la vulgata comune è dato dal confronto tra disastri naturali ‘atmosferici’ e disastri ‘geofisici’ (ossia terremoti, attività vulcanica o movimenti di massa secca), che non dovrebbero essere provocati dal cambiamento climatico. Se si raffrontano i due grafici (in relazione) si noterebbe come abbiano entrambi il medesimo andamento: aumento nel secolo scorso e poi, dall’inizio del XXI° secolo, una certa stabilità o, addirittura, una diminuzione. In parole povere, dato che i terremoti sicuramente non sono causati dal clima e si sono susseguiti nel tempo con un andamento simile alle alluvioni (provocate al contrario da agenti atmosferici), e se i disastri geofisici sono considerati – dagli stessi ricercatori – stabili o in diminuzione e si attribuisce al better reporting l’aumento del Novecento, altrettanto si dovrebbe fare per gli eventi atmosferici.
Eppure molti media e persino alcune Agenzie delle Nazioni Unite hanno diffuso notizie differenti e allarmanti. Per quale ragione? Tali letture espongono le popolazioni a rischio di politiche errate e lo storno di fondi statali per favorire settori industriali che, alla prova dei fatti, non è detto siano i migliori per la crescita economica e lo sviluppo sociale delle popolazioni.
L’amara considerazione finale di Alimonti è che la ricerca scientifica quando ha ricadute con impatti sociali, politici ed economici, subisce “forzanti esterni potenti”. E lo stesso ha ribadito che la CO2 è un gas serra, indubbio, ma non si sa se il o i gradi di aumento medio siano (e saranno) causati dalle attività umane.
Il côté economico-sociale
Dopo i due interventi più prettamente scientifici, Battaglia ha esordito dicendo che, secondo lui, la transizione energetica è più o meno un ‘bluff’. Il clima non può essere governato da un solo parametro, ossia quello antropico, mentre per svilupparsi, le società hanno bisogno di energia abbondante e a buon mercato. Attualmente, solo I’energia idroelettrica sarebbe di una qualche utilità al fabbisogno industriale e civile mentre l’eolico e, soprattutto, il fotovoltaico non possono supplire al nostro bisogno di elettricità. Questo perché i Paesi industrializzati necessitano di elettricità 24 ore al giorno con picchi la mattina e la sera, alle 19 (dati italiani), mentre il fotovoltaico non funziona per 16 ore al giorno (7) e non è detto che ci sia vento (per l’eolico) nei momenti di picco.
Secondo Battaglia (che dimentica però il pronunciamento degli italiani con referendum sull’argomento) il modo più razionale per ottenere l’elettricità di cui necessitiamo sarebbe il nucleare, che è costoso ma funziona senza interruzioni. E anche qui ci permettiamo due piccole obiezioni: per costruire una centrale nucleare ci vogliono dai dieci ai vent’anni (8), in Italia secondo Battaglia ce ne servirebbero 30 e, aldilà del costo, non risolveremmo il problema energetico a breve (dovuto alla distruzione del Nord Stream e alla guerra per procura ucraina contro la Russia, sostenuta dall’Europa per un regime change che, ovviamente, è solo nelle teste dei neocolonialisti occidentali). In secondo luogo, nessuno è ancora riuscito a risolvere due problemi: il disastro nucleare (lo sversamento delle acque di Fukushima Dai-ichi nel mare o i tentativi di Kyiv di colpire le centrali nucleari di Zaporizhzhia e di Kursk (9) dovrebbero farci riflettere); e lo stoccaggio e smaltimento delle scorie nucleari.
Tornando al discorso di Battaglia, la prima fonte di energia elettrica al mondo resta quindi il carbone (10), seguita dal nucleare. A questa constatazione del relatore aggiungiamo che non si tiene conto di quanto sia schizofrenica la politica europea che imporrebbe batterie al litio e auto elettriche, se poi le stesse si ricaricano con energia prodotta da centrali a carbone.
Come ha osservato infine Battaglia, senza energia, ovvero senza elettricità, i Paesi meno sviluppati non possono migliorare le loro condizioni e Paesi quali l’India non hanno alcuna intenzione di restare indietro ma pretendono lo stesso tenore di vita dell’Occidente. Non è un caso che le emissioni globali di CO2 legate all’energia siano cresciute nel 2022 dello 0,9%, ovvero di 321 milioni di tonnellate, raggiungendo un nuovo massimo di oltre 36,8 miliardi di tonnellate. E per di più, l’energia per favorire uno sviluppo industriale con prodotti competitivi sui mercati deve avere costi contenuti (lo stiamo vedendo in Europa, piccolo appunto della Redazione, con l’esplosione del Nord Stream e l’acquisto del gas di scisto statunitense, che sta portando la Germania e l’intera UE a una progressiva deindustrializzazione).
Vorremmo aggiungere alcune riflessioni alla discussione. Ci pare un atteggiamento fondamentalmente neocolonialista (anche datato) pretendere che Paesi che non hanno conseguito lo sviluppo industriale e il benessere economico dell’Occidente, restino nella loro povertà. Nel 1972 è stato pubblicato The Limits to Growth (I limiti della crescita, tradotto arbitrariamente I limiti dello sviluppo), un libro divulgativo basato su studi e previsioni matematiche del MIT, che peccava di un fattore essenziale: “nessuno degli scenari prospettati si è verificato o è prossimo a verificarsi” (11). In pratica, l’esaurimento delle risorse energetiche è rimasto sulla carta. D’altro canto che l’inquinamento e l’inurbamento siano aumentati è palese – visto anche l’aumento della popolazione mondiale. Ma le domande che i cittadini potrebbero porre alla politica sono altre: in primis, quali modelli di produzione, alternativi a quello industriale capitalistico e consumistico, si potrebbero mettere in atto per scindere lo sviluppo dalla crescita economica? E secondo, come possono i Paesi del Sud del mondo raggiungere il benessere occidentale, compatibilmente con le esigenze ambientali, se al recente G7 si è ribadito che la tecnologia e il know how devono rimanere saldamente in mano occidentale? I Paesi africani, non a caso, anche al Summit organizzato a San Pietroburgo hanno ribadito la necessità di non aggravare l’indebitamento dei loro Stati per l’acquisizione di tecnologie avanzate (12).
E infine, come spiegava fin troppo bene Samir Amin in La Teoria dello sganciamento, il capitalismo globalista attuale (di cui lui vedeva già i prodromi) ha bisogno di ‘centri’ e ‘periferie’ e non è connaturato allo stesso un progressivo sviluppo sociale e una crescita economica uniformi in ogni parte del globo. A riprova, l’ipocrisia europea del mercato delle quote di CO2 (13) che ha permesso ad aziende anche molto inquinanti di poter continuare a operare, pagando perché altri (aziende/Stati) non producessero e non si sviluppassero.
Mario Giaccio ha tenuto l’ultimo intervento, intitolato Politiche climatiche ed economiche. Premessa: l’Europa emette una percentuale minima di tutta l’anidride carbonica presente nell’atmosfera, quindi anche l’eventuale ulteriore diminuzione delle nostre emissioni (aldilà di quelle ipocritamente ‘compensate’) apporterebbe benefici minimi (vedasi relazione). Come dato aggiuntivo riportiamo quanto scritto da IlSole24Ore relativamente alla produzione di CO2 nel 2021: la Repubblica Popolare Cinese produceva, da sola, il 33% del totale di CO2 di origine antropica, gli Stati Uniti il 12,5%, l’Unione Europea il 7,3%, l’India il 7% e la Russia il 5%.
Il problema è però capire cosa determina una narrazione tanto unidirezionale verso l’azzeramento di emissioni di CO2 nel nostro continente. I combustibili fossili suppliscono ancora al 78% del fabbisogno globale di energia (10). Trasformare l’attuale sistema basato sui fossili, osserva Giaccio, in un sistema di energie rinnovabili può essere una grande opportunità di business. Ma lo sviluppo delle rinnovabili è soggetto a enormi investimenti che devono per forza essere sostenuti con sussidi di Stato. Senza tali fondi pubblici, molti gruppi finanziari hanno già fatto presente che non è possibile assicurare ai propri clienti privati la bontà di investimenti nel settore.
Giaccio ha anche nominato BlackRock, che amministra asset per oltre 10mila miliardi di dollari (il che è pari al Pil prodotto da Italia, Germania e Francia insieme, in un anno). Sono grandi operatori finanziari come la stessa che, secondo Battaglia, hanno premuto per un rimodellamento degli investimenti (14). Siccome produrre energia fotovoltaica – al momento – costerebbe dieci volte di più che produrre energia fossile, e l’eolica cinque volte di più (questo in Germania, dati invertiti per l’Italia, come da relazione), è ovvio che perché l’investimento abbia un senso deve essere finanziato dagli Stati che, a loro volta, devono convincere i cittadini della necessità di tale utilizzo delle loro tasse. Quindi, per ricondurre il problema del cambiamento climatico in ambito scientifico, bisognerebbe far disaffezionare la grande finanza al clima – e alle ricadute positive degli investimenti nel settore.
In effetti, quando lo Stato per vari motivi smette di finanziare il settore delle rinnovabili, lo stesso subisce uno stop o addirittura crolla (15). Nell’attuale congiuntura, anche i dati sugli investimenti di BlackRock nei settori energetici tradizionali o nelle aziende delle rinnovabili danno segnali contrastanti (calo delle seconde, aumento dei primi, grazie o a causa della guerra in Donbass, 14).
Non chiamiamole conclusioni
Un Convegno interessante, quello che si è svolto a Milano, perché si è affrontato il tema del cambiamento climatico da diversi punti di vista, condivisibili o meno, ma che comunque rendono la discussione sull’apporto antropico più ricco e meno dogmatico. Alcuni miti (come quello dell’aumento, in intensità e frequenza, dei disastri naturali) sono stati sfatati. Il che dovrebbe portarci a pretendere che la politica si impegni seriamente per il dissesto idrogeologico che affligge il nostro Paese da decenni, senza usare la scusa del cambiamento climatico per non investire nella prevenzione di alluvioni ed esondazioni. E si è altresì ricordata non solamente l’esiguità del contributo che l’Europa potrebbe dare al problema, diminuendo le proprie emissioni di CO2, ma anche come lo sviluppo sociale in Paesi capitalistici non possa essere disgiunto da quello economico e che per produrre beni e servizi e, quindi, migliorare le condizioni di vita di miliardi di persone, sia indispensabile – al momento – l’industria e, quindi, energia elettrica a basso costo.
Oggi il capitalismo maturo dell’Occidente non ha più spazi di crescita e una decrescita motivata da ragioni ambientaliste forse è l’unica strada perché pochi mantengono i privilegi di classe, mentre le masse si adeguino a un progressivo impoverimento. Al contrario, le aree asiatiche e del Pacifico, l’America Latina e l’Africa hanno – sempre che si mantenga il modello di sviluppo capitalistico – grandi opportunità di manovra sia per la produzione sia per la vendita di tecnologie, servizi e/o beni voluttuari. Il futuro lo dobbiamo immaginare oggi ma, al momento, in pochi sembrano perfino avere una chiarezza di vedute sul presente.
Continueremo a seguire l’argomento.
(1) Si veda, a proposito del PM10, lo studio condotto utilizzando il modello matematico UTAQ (Urban Tool for Air Quality). I risultati ottenuti evidenziano, tra metà marzo e fine aprile 2020 una modesta “riduzione sulle concentrazioni di PM10 compresa tra 1 ug/m3 e 3 ug/m3, a seconda della stazione di monitoraggio considerata, che corrisponde ad una riduzione percentuale sulle concentrazioni medie di periodo compresa tra -3% e -10%”. Le maggiori riduzioni si sono avute, al contrario, con i livelli di NO2 (il biossido di azoto): https://www.amat-mi.it/index.php?id_oggetto=8&id_doc=33&id_sez_ori=-1&template_ori=2
(2) Elenco alluvioni e inondazioni nel nostro Paese: https://it.wikipedia.org/wiki/Alluvioni_e_inondazioni_in_Italia
(3) Il global greening è il sensibile aumento della produttività degli ecosistemi agricoli e naturali indotto dagli accresciuti livelli di CO2 e che fra l’altro si traduce in un incremento della sicurezza alimentare globale: http://www.climatemonitor.it/?p=55068
(4) Ricordiamo che non tutte le scelte della Fao in questi anni siano condivisibili per chi è davvero interessato all’ambiente. Tra le molte prese di posizione, quella a favore degli OGM (che, aldilà delle problematiche connesse con l’acquisto di semi da parte delle popolazioni del Sud del mondo dalle multinazionali che li producono, inducono anche all’uso sempre più massiccio di prodotti, quali il glisofato, potenzialmente nocivi): https://cordis.europa.eu/article/id/22045-un-report-adds-fuel-to-gm-controversy/it#:~:text=di sv…-,L’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura (,paesi in via di sviluppo. Torneremo a occuparci del glisofato in un prossimo articolo.
(5) https://www.emdat.be/ Nel sito, al quale ci si può liberamente iscrivere per prendere visione di tutti i dati, vi è un bottone (come ha segnalato anche Alimonti) che recita: “Pre-2000 data is particularly subject to reporting biases. To download this data, activate the button below”. Questo a conferma del better reporting citato dal relatore
(6) Centre for Research on the Epidemiology of Disasters: https://www.cred.be/
(7) Consigliamo questo articolo per valutare la fattibilità ed economicità dell’acquisto di una batteria per il fotovoltaico: https://www.dday.it/redazione/44119/fotovoltaico-e-accumulo-perche-la-batteria-non-conviene-quasi-mai
(8) Tempi per la costruzione di una centrale nucleare: https://pagellapolitica.it/articoli/anni-costruzione-centrale-nucleare
(9) Il rischio di un nuovo disastro nucleare completamente oscurato dai media italiani: https://www.inthenet.eu/2023/11/03/non-solo-gaza/
(10) Il peso dei fossili: https://www.sorgenia.it/guida-energia/consumo-di-energia-mondiale
(11) Una attenta analisi di The Limits to Growth: https://www.scienzainrete.it/articolo/club-di-roma-mit-limiti-della-crescita-compie-50-anni/stefano-nespor/2022-06-06
(12) Le richiesta dei Paesi africani riuniti a San Pietroburgo: https://www.inthenet.eu/2023/08/11/russia-africa-summit/
(13) Come funziona il meccanismo di compravendita delle emissioni di CO2:
(14) Precisiamo che BlackRock ha istituito un Fondo di investimento in azioni di ESG, ossia società operanti nel settore dell’energia sostenibile. Qui si può notare la sua performance negli ultimi 10 anni: https://www.blackrock.com/it/investitori-privati/products/229880/blackrock-new-energy-e2-usd-fund
(15) Si veda, ad esempio, l’articolo: https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/11/01/societa-delle-rinnovabili-sempre-piu-in-crisi-la-danese-orsted-crolla-in-borsa-del-25-dopo-lo-stop-al-progetto-di-due-impianti-eolici/7340835/
Le Relazioni presentate al Convegno sono state gentilmente fornite dall’avvocato Bertazzoli
venerdì, 1° dicembre 2023
In copertina: Foto di bess.hamiti@gmail.com da Pixabay