«L’educazione migliore è l’amore»
di Luciano Uggè (premessa) e Simona Maria Frigerio (recensione filmica)
Torna con un altro capolavoro cinematografico Giorgio Diritti, dopo Il vento fa il suo giro e L’uomo che verrà.
Premessa (un po’ lunga ma indispensabile). Tra le due guerre mondiali e oltre, in gran parte dell’Europa, nel quadro del nazionalismo sempre più oltranzista e della cosiddetta ‘nuova scienza’, ossia l’eugenetica, si impose la sterilizzazione a diverse fasce di popolazione e i Governi rapirono i bambini alle loro famiglie (appartenenti soprattutto al gruppo etnico degli zingari) per crescerli in istituti, oppure darli in adozione ai cittadini della maggioranza ‘bianca’.
Nella civilissima Svezia, ad esempio, solamente nel 1999 il Parlamento ha votato l’indennizzo alle vittime della sterilizzazione di Stato (perpetrata tra il 1934 e il 1975); mentre nell’altrettanto civilissima Svizzera la comunità nomade dei jenisch si è vista sottrarre i bambini in quella che può a tutti gli effetti considerarsi una pulizia etnica, perseguita tra il 1926 e il 1972. Fu sempre in Svizzera che nel 1928 si votò la prima legge europea sulla sterilizzazione dei malati mentali. Se il nazional-socialismo tedesco e il fascismo italiano sono state le punte di ‘diamante’ di queste epurazioni etniche (ricordiamo la Legge tedesca del 1933 che obbligava alla sterilizzazione ritardati mentali congeniti, maniaco-depressivi, schizofrenici, epilettici, ciechi e sordi per cause ereditarie, alcolisti gravi, eccetera, e che ha portato alla mutilazione di 400mila persone, 1); la sterilizzazione obbligatoria fu perseguita anche in Norvegia, Danimarca e Finlandia.
Ma pensiamo anche ai nativi americani. In Canada tra il 1879 e il 1970 furono rapiti dalle loro famiglie e internati in scuole residenziali oltre 150mila bambini; nel 2022 sono venute alla luce nuove tombe, negli Stati Uniti, di bambini indigeni: secondo un Rapporto del Dipartimento degli Interni si parlerebbe di almeno 500 minori nativi delle Hawaii e dell’Alaska sottratti alle famiglie e deceduti mentre erano rinchiusi in collegi gestiti da istituzioni religiose e aventi per obiettivo l’eradicazione della cultura, della lingua e delle tradizioni dei minori stessi. Nelle scuole indiane sarebbero stati reclusi almeno 20mila bambini tra il 1819 e il 1969. E sempre nel Nuovo Mondo, non possiamo dimenticare la politica fascista di Pinochet che portò alla sottrazione di circa 2.100 minori, figli di oppositori politici o famiglie indigenti, dati poi in adozione illegalmente.
Premessa dovuta veniamo al film. Il popolo Jenisch rappresenta la terza maggiore popolazione nomade europea, dopo i Rom e i Sinti, e a questa etnia appartiene il protagonista, Lubo – un artista di strada, girovago, che si esibisce negli anni 30 del Novecento in Svizzera, insieme alla moglie e accompagnato dai tre figli (ancora in età prescolare). Ma la Seconda guerra mondiale incombe, la Svizzera decide di precettare i maschi adulti per controllare le proprie frontiere e Lubo non può sottrarsi alla chiamata alle armi. Mentre è al confine, a fare quello che il Governo afferma essere il suo ‘dovere’, i bambini sono sottratti alla moglie dai gendarmi che, spintonandola, la fanno cadere uccidendola. Quando Lubo verrà a sapere cosa è accaduto si trasformerà da mago della scena a istrionico millantatore, assumendo l’identità di un altro uomo – vittima anche lui, in quanto ebreo, della follia eugenica e fascista che impregnava, come abbiamo visto, molte istituzioni e Governi europei (e non solo quelli nazi-fascisti).
Non vi riveleremo altro sulla trama perché una parte del piacere del film sta nel seguire le progressive trasformazioni del protagonista (i cui panni veste a pennello l’attore tedesco Franz Rogowski).
Filmicamente parlando, Diritti rispetta l’aderenza linguistica (parte del film è sottotitolata), mentre la scenografia di Giancarlo Basili è di una precisione e aderenza al vero da sposarsi perfettamente alla maestria del regista nel ricostruire spaccati di vita – soprattutto rurali e contadini, ma non solo. Come Olmi prima di lui, ma con mano più lieve e questa abilità nell’uso della macchina da presa da far ‘respirare’ persino un primo piano, grazie a campi larghi che permettono allo spettatore di seguire tre ore di film quasi senza accorgersene, Diritti ha l’afflato dell’epica ma dell’antieroe. Anche la scelta dei toni della fotografia, freddi e opachi, lividi a tratti, e in altri barocchi (l’opulenza delle famiglie svizzere tra forzieri e opere pie), aiuta a inserire ogni sequenza in un preciso contesto con un ritmo a sé stante. Non a caso, è con mano più fortemente neorealista e, in certo modo solare, che si svolge la seconda parte della pellicola, incentrata sugli anni del Dopoguerra.
Lubo ha come sempre il merito di essere l’opera di un cineasta, lontano dai richiami commerciali, rigoroso eppure mai pesante (a differenza, ad esempio, del già citato Olmi). Un regista che sa scavare nel profondo, della storia e dell’animo umano, condensando e sterilizzando così da mantenere sempre alta l’attenzione del suo pubblico ma anche per non scadere in facili pietismi.
E se non bastasse, in questo periodo storico in cui la popolazione del Donbass e il suo diritto all’autodeterminazione è stato seppellito da un Occidente che mira alle risorse russe; così come un intero popolo, quello palestinese, attende dal 1967 che le Risoluzioni dell’Onu siano rispettate da chi si fa scudo della potenza degli Stati Uniti per infrangere ogni regola di diritto internazionale bombardando 2 milioni di civili a Gaza, la lezione di Lubo è quanto mai necessaria. Ovvero, non possono esistere due pesi e due misure. Se sbaglia il singolo dovrà pagare, ma se è lo Stato a sbagliare chi pagherà?
Lubo
regia Giorgio Diritti
liberamente tratto da, romanzo di Mario Cavatore, Il seminatore
sceneggiatura Giorgio Diritti e Fredo Valla
fotografia Benjamin Maier
montaggio Paolo Cottignola e Giorgio Diritti
musiche Marco Biscarini
scenografia Giancarlo Basili
costumi Ursula Patzak
con Franz Rogowski, Christophe Sermet, Valentina Bellè, Noemi Besedes, Joel Basman, Oliver Ewy, Christian Bianco, Cécilia Steiner
Italia/Germania, 2023
175 minuti
(1) Per saperne di più, consigliamo: https://www.cestim.it/argomenti/03rom-sinti/03zingari_svizzera.htm
venerdì, 24 novembre 2023
In copertina: particolare della Locandina del film