Isadora Duncan, Mary Wigman e Pina Bausch nel racconto di Francesca Camponero
di Luciano Uggè
L’ultimo libro di Francesca Camponero (che collabora anche nella nostra redazione di InTheNet) è una piacevole scoperta anche per me, che non sono né un esperto né un esegeta della danza.
Come molti che si occupano di critica teatrale, negli anni, ho assistito a diversi spettacoli e performance e ho potuto constatare i cambiamenti avvenuti nel mondo coreutico – purtroppo non tutti in positivo, in quanto se da un lato si nota un aumento dell’esibizionismo atletico (più consono allo sport che a una forma di arte) e di quello commerciale (con grandi eventi pubblici oppure la danza degradata a intermezzo televisivo); dall’altro, si percepisce un impoverimento della forma e del contenuto, o del rigore e della disciplina, soprattutto nella danza contemporanea (che è seguita sempre più da un pubblico di nicchia). Nel tempo, tutto ciò mi ha costretto a pormi domande soprattutto sui passaggi che, dal balletto romantico, hanno condotto alle attuali espressioni di danza.
Il libro di Francesca Camponero ha, quindi, per me (e immagino anche per altri lettori/spettatori) il pregio di raccontare questa evoluzione e di farlo attraverso tre donne. Le danzatrici e coreografe scelte sono la statunitense “Isadora Duncan e le due tedesche, Mary Wigman e Pina Bausch” e questo non per ragioni pretestuosamente politically correct bensì in quanto “quello che hanno fatto ne mondo dell’arte e dello spettacolo è paragonabile a quanto hanno fatto Marie Curie nella scienza, Frida Kahlo nella pittura e Coco Chanel nella moda”.
I tre ritratti che emergono dalla penna affettuosa e ammirata di Camponero non sono però solamente legati alle innovazioni coreutiche apportate dalle artiste, bensì fondono, con brio, ragioni e moventi privati a scelte artistiche ufficiali. Partiamo da Duncan che, grazie anche a film come Isadora con protagonista Vanessa Redgrave e alla sua morte (strangolata dalla sciarpa che indossava e che si impigliò nei raggi della ruota posteriore dell’auto), di cui si legge anche nel libro, è un personaggio che ormai fa parte dell’immaginario collettivo. Di lei spiccano le prime, veloci descrizioni che, però, rendono appieno la complessità e la coerenza della donna prima ancora che della danzatrice. Camponero scrive: “Non si è limitata a sfidare le rigide norme della danza accademica e della società del suo tempo, gettando all’aria scarpette a punta e stecche di balena. Ha rifiutato anche le lusinghe del successo […] per vivere pienamente l’amore, o per perseguire fino in fondo la sua ricerca artistica”.
Isadora Duncan, come si evince leggendo il libro si è ispirata sia all’antico sia alla natura e se è vero che pagina dopo pagina cogliamo aspetti privati che ci fanno apprezzare la donna, anche le sue scelte di stile e tecnica sono approfondite – ma con mano leggera. Verso la chiusura del capitolo a lei dedicato si scopre un lato forse meno noto di un personaggio tanto complesso, ossia la sua vena educativa che pare quasi un insegnamento a una vita – anche aldilà delle assi del palcoscenico – più libera e pienamente vissuta: “Innanzitutto, insegniamo ai bambini a respirare, a vibrare, a sentire e a diventare tutt’uno con l’armonia generale e il movimento della natura. In primo luogo, creeremo un bellissimo essere umano, un bambino che balla”. Duncan morirà il 14 settembre 1927 e se pensiamo che professava simili idee oltre un secolo fa, già capiamo quale è stato il suo ruolo nel mondo – prima ancora che in quello della danza.
La seconda donna di questo felice trittico è Mary Wigman, forse delle tre la meno nota al grande pubblico. Quasi contemporanea della Duncan ma con una vita decisamente più lunga, Wigman è stata l’inventrice del Tanz-Drama, ossia un “lavoro coreografico incentrato sulle dinamiche corporali e sulle energie spaziali”, così discostandosi sia dal voler “raccontare storie” (proprio del balletto) sia “dall’interpretazione di disagi umani e tematiche sociali” (tipico della modern dance a Stelle e Strisce).
Molto interessante il percorso anche storico del personaggio, che Camponero racconta – dato che visse durante il Nazionalsocialismo e tra le sue allieve aveva annoverato la futura regista di Olympia, Leni Riefensthal. Wigman emerge dalle pagine soprattutto come severa insegnante – si racconta il caso di una ex allieva ebrea che, emigrata dalla Germania in Egitto, la accusò di “autoritarismo”. La Maestra non tollerò mai “le critiche dall’estero a quella che” considerava “la “comunità organica”, chepoteva contare in quel momento su 600 allieve. Camponero spiega anche come non si trattasse di un’associazione chiusa abitata solamente da ballerini, bensì di una comunità in cui si aspirava a, e si respirava l’opera d’arte totale di matrice wagneriana e, quindi, vi si ospitavano “scrittori, coreografi, pittori, architetti, filosofi”.
L’autrice non tace i rapporti e la fede politica nazionalsocialista di Wigman né il suo tentativo di ‘riabilitarsi di fronte all’opinione pubblica’, raccontando che la sua danza era stata bandita – in epoca hitleriana – come ‘arte degenerata’. In questo, similmente a molti altri artisti ma anche personaggi pubblici sia nella Germania post-nazista sia nell’Italia post-fascista. Restano però le descrizioni del suo metodo e delle sue performance a comprova che, a volte (come nel caso dei Futuristi italiani), occorre giudicare l’arte e lasciare da parte altri aspetti della personalità degli artisti.
A chiudere il trittico non poteva mancare Pina Bausch – che è diventata anch’essa nota al grande pubblico per un film, Pina, diretto nel 2011 da Wim Wenders e girato in 3D. Ovviamente Camponero accende subito i riflettori sull’invenzione principe della danzatrice e coreografa tedesca, ossia il teatrodanza – che nasce negli anni 70 e che porta i suoi “danzattori” a essere contemporaneamente attori, danzatori e autori dell’opera, in cui “recitazione, canto e danza si fondono in un’azione continua, senza alcuna divisione dei ruoli”.
Ma facciamo un passo indietro perché uno dei pregi di questo libro è raccontare il dietro le quinte, la persona dietro al personaggio. Camponero scrive: “Era un’adolescente timidissima che trascorreva i suoi giorni sotto i tavoli del ristorante del padre e ne osservava, in desolata solitudine, gli avventori” e qui ecco un altro pregio del libro, ossia riconnettere il microcosmo di Pina con il macrocosmo del Tanztheater Wuppertal quando scrive: “un flash che servirà poi per ricondurre a memorie personali il suo indiscutibile capolavoro del 1978: Café Müller” – a cui è dedicato (giustamente, soprattutto se il lettore, come me, non ha mai visto lo spettacolo) più di un capitolo del libro.
A pagina 54 Camponero dà il giusto spazio anche a un altro lavoro di Bausch, Palermo Palermo, nato lo stesso anno del crollo del Muro di Berlino, il 1989, in cui si racconta l’anima di due città tragicamente accomunate da ferite personali e collettive come Palermo e Berlino. E ancora, descrive l’unica opera cinematografica di Bausch, ossia il lungometraggio Die Klage Der Kaiserin, uscito nel 1990 e “distribuito in Italia da Rai Uno col titolo Il lamento dell’imperatrice”. Molto pregnante la critica al film a firma Giulia Romanini e interessante notare come la mancanza dello spazio teatro, ossia della sublimazione del testo e dell’azione, porti a un effetto angosciante e, nel contempo, onirico.
Il libro si chiude con alcune affermazioni della stessa Bausch che ben illuminano la sua personalità di donna e artista: “Nel mio lavoro ho sempre cercato qualcosa che ancora non conosco” (e qui vengono in mente altri nomi di artisti che, al contrario, preferiscono continuare a battere strade già note perché sicuri che il pubblico, di fronte a ciò che già conosce, risponderà meglio). E più oltre: “È una ricerca continua e persino dolorosa, una lotta”. Una ricerca che apprendiamo non essere stata individuale ma essere appartenuta all’intera Compagnia che dirigeva: “I modi del Tanztheater derivano da una precisa necessità e anche da un bisogno: trovare un linguaggio per ciò che non può essere espresso in altra maniera”. Emergono la sua capacità di ascolto, la sua innata curiosità e il rispetto verso gli altri e un insegnamento valido in ogni epoca e diretto ai giovani: “ascoltare se stessi, non quello che pensano gli altri o ciò che gli altri vorrebbero che facessimo”.
E così chiudo il libro: la prossima volta che vedrò uno spettacolo o una performance di danza sarò un po’ più consapevole ma, spero, anche rispettoso e curioso quanto Bausch.
Le tre donne che hanno rivoluzionato la danza
Isadora Duncan, Mary Wigman, Pina Bausch
di Francesca Camponero
© 2023, Francesca Camponero
IlMioLibro
Euro 13,50
venerdì, 24 novembre 2023
In copertina: Pina Bausch e Mary Wigman; e, nel pezzo, Isadora Duncan (particolari dalla copertina del libro di Francesca Camponero)