Meglio spostare 800mila israeliani o milioni di palestinesi?
di Luciano Uggè
Su queste pagine vi abbiamo raccontato il genocidio del popolo palestinese di queste ultime settimane, oltre al regime di apartheid e alla colonizzazione dei Territori Occupati, portati avanti scientificamente per decenni dai vari Governi israeliani succedutisi (che fossero della cosiddetta destra, o sinistra, indifferentemente).
Ovviamente a nulla è servito scriverne (né lo avremmo sperato), come a nulla sono servite le Risoluzioni di quelle Nazioni Unite rese impotenti da regolamenti (come il diritto di veto) che di fatto consegnano a cinque Stati e, più espressamente agli States, la facoltà di dichiarare guerra o bloccare qualsiasi soluzione di pace non gradita agli stessi.
E allora abbiamo pensato che fosse ora di fare una proposta forse irriverente ma quanto mai sostenibile economicamente per l’Occidente, che permetterebbe a Israele di continuare a essere la spina nel fianco del mondo arabo ma con maggiore sicurezza per l’incolumità dei suoi cittadini (che pare l’unico obiettivo del ‘mondo delle regole’).
Siamo partiti dalla dichiarazione di Ram Ben-Barak, ex vicedirettore del Mossad e parlamentare alla Knesset, il quale ha immaginato fosse una soluzione sia fattibile sia sostenibile ‘ridistribuire’ il popolo palestinese: «è meglio essere rifugiato in Canada che a Gaza», ha affermato a un’emittente israeliana. «Distribuiamo gli abitanti della Striscia di Gaza nel mondo. Sono 2,5 milioni, ogni Paese se ne prende 25.000, 100 Paesi. È umano, deve essere fatto».
La nostra controproposta è più economica, tiene conto del fatto che nelle mire israeliane vi è anche la Cisgiordania e, quindi, a breve il problema si riproporrebbe, e ridarebbe lustro alle Nazioni Unite oltre che fiducia nelle sue Risoluzioni e nel diritto internazionale.
Parafrasando Ram Ben-Barak: «è meglio essere rifugiato in Canada che a Gaza o in Cisgiordania. Distribuiamo i coloni israeliani dei Territori Occupati nel mondo. Sono 800.000, ogni Paese se ne prende 8.000, 100 Paesi. È umano, deve essere fatto».
Perché, a dirla in parole semplici e comprensibili, il problema di tornare ai confini stabiliti dalla Risoluzione Onu del ‘67 e garantire ai palestinesi il loro diritto a uno Stato sovrano è la presenza di quasi di un milione di israeliani ebrei nelle terre che dovrebbero far parte dello Stato di Palestina.
E inoltre, fornire aiuti a Israele per il reinsediamento degli stessi all’interno dei confini del 1967 sarebbe persino più conveniente per l’Occidente che non ospitarli sine die nei nostri Paesi in bancarotta (a causa della follia ucraina anti-russa) – in pratica, aiutiamoli ma ‘a casa loro’ (come direbbero le nostre destre al Governo). E se qualche colono non volesse ricostruirsi la vita al di qua della green line, e volesse continuare a vivere nel nuovo Stato di Palestina, dovrebbe poterlo fare (ovviamente non in una cittadella forticata ma come semplice cittadino). Questo grazie anche a quella comunità internazionale che appoggerebbe la nascita di uno Stato democratico e laico palestinese – ovvero non di uno Stato-nazione su base religiosa e, quindi, costituzionalmente discriminante come è oggi Israele.
Happy End!
venerdì, 17 novembre 2023
In copertina: Foto di Elias da Pixabay