Il libro a cura di Laura Bevione e Raffaella Ilari sul Teatro di Comunità delle Ariette
di Luciano Uggè
Il libro pubblicato recentemente da Titivillus si concentra su due periodi particolari della vita e del lavoro del Teatro delle Ariette, legati a scelte politiche che hanno condizionato, nel primo caso, la vita della popolazione che li circondava e, nel secondo caso, quella di tutti noi.
Una delibera regionale avallata da un successivo referendum ha istituito nel 2014 il macro comune della Valsamoggia accorpando cinque comuni preesistenti – Bazzano, Castello di Serravalle, Crespellano, Monteveglio e Savigno. Da questa fusione è nata la necessità in Stefano Pasquini e Paola Berselli e nei lavoratori, con ruoli diversi, del Teatro delle Ariette di inventarsi un momento di confronto con le cinque comunità. Un confronto agito sia con il teatro – grazie allo spettacolo Teatri da Mangiare, con i suoi momenti di confronto con il pubblico post-spettacolo/cena conviviale – sia con il progetto Territori da Cucire – molto significativo già nel titolo, che mira a coinvolgere gli abitanti all’interno delle performance che sono state realizzate anno dopo anno.
Momenti di condivisione comunitaria per ‘ricucire’ ciò che la politica ha diviso, ma anche per trovare sempre nuove motivazioni per l’esistenza di un teatro che possa dirsi necessario sia a coloro che lo fanno sia a coloro che lo frequentano. Da qui la decisione di occupare le piazze dei cinque comuni coinvolti per parlare d’amore (un po’ come faceva Pasolini con i suoi ‘Comizi’) tentando il coinvolgimento dei giovani, anche con la collaborazione del Collettivo la Notte; oppure cercando il confronto con lo ‘straniero’ – termine difficile da elaborare in quanto straniero, per certi versi, è chiunque si sposti da un luogo conosciuto in uno che non ha mai frequentato.
Nel libro si raccontano gli spunti utilizzati per costruire gli spettacoli. Dai testi teatrali agli antichi poemi, ricontestualizzati per parlare del presente, per accendere la discussione che, in parte, sarà registrata e resterà in forma documentaristica grazie alla collaborazione di Stefano Massari. E ancora, il Laboratorio Permanente, progetto teso alla ricerca e alla selezione di coloro che partecipano ai vari spettacoli, inserendo le proprie esperienze all’interno del testo – cucito con vari frammenti letterari e non. Il Laboratorio – come l’intero progetto – si è però interrotto, come le nostre esistenze, per le scelte operate dai Governi, succedutisi durante l’epidemia da Covid-19.
In quel periodo di clausura forzata, l’attività teatrale delle Ariette si è spostata in campagna dove Pasquini e Berselli hanno creato il site-specific – su testo di Catherine Zambon – E riapparvero gli animali (1). Un monologo sulla deriva della società alla ricerca di fantomatici untori e affetta da isterie collettive fino alla persecuzione di coloro che esprimono il minimo dubbio su ciò che sta avvenendo e sulla narrazione imperante. Illuminante.
Il libro racconta anche l’attività teatrale delle Ariette in Italia e all’estero – principalmente in Francia.
L’Odissea, opera par excellence sull’errare, ad esempio, è messa in ‘scena’ dalle Ariette che la reinterpretano – con sfumature di forma e di senso – un po’ ovunque: dallo spazio di Olinda, a Milano, per parlare di chi è considerato ‘diverso’, fino all’Ulisse in Valsamoggia. La ricerca del confronto, la necessità di scambiarsi idee e opinioni, meglio se divergenti, è sempre e in ogni caso la motivazione principale non solo della ricerca teatrale delle Ariette ma anche della loro visione di come esercitare questo antico mestiere. E nel contempo, altrettanto importanti sono l’atto della condivisione – a partire dalla consumazione di cibi spesso preparati durante gli spettacoli – e quello del dibattito, durante e dopo le cene collettive.
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La lettura del libro ci consegna altresì una serie di osservazioni, considerazioni e analisi da parte dei collaboratori delle Ariette sul lavoro svolto in Valsamoggia, grazie anche alle domande puntuali di Laura Bevione. Dal teatro nelle case al teatro nelle piazze – come afferma Irene Bartolini – il salto è stato notevole non solo da un punto di vista organizzativo ma anche perché ci si sente spogliati di qualcosa che si conosce – messi a nudo. Esperienza, a posteriori, necessaria e indimenticabile anche per conoscere il proprio territorio sotto una luce diversa e nuova.
Maurizio Ferraresi aggiunge un altro tassello. Fare ‘teatro di comunità’ significa elaborare un’idea di organizzazione e condividerla con gli altri. L’orizzonte allora diventa più ampio rispetto a quello che si immaginava da soli. Ma può anche significare un viaggio su una mitica 2 CV bianca per pubblicizzare gli spettacoli col megafono – come si faceva nei tempi andati; oppure essere obbligati a trasportare di tutto, persino una barca di quattro metri che farà bella mostra di sé nelle piazze della performance.
Stefano Pasquini, a proposito dell’esperienza di Territori da cucire, è molto diretto quando afferma che i vari Comuni probabilmente non si cuciranno mai e, anzi, la tendenza anche a livello di relazioni tra gli abitanti tende a evolversi in senso opposto. Ma questo giudizio non inficia la necessità di coinvolgere i territori in momenti di discussione e conoscenza reciproca. E se alti e bassi hanno caratterizzato la loro presenza sul territorio, essendo la stessa una loro necessità creativa continueranno nei progetti di condivisione.
Per Paola Berselli questo progetto è stato un passaggio importante nelle loro scelte artistico-politiche e se gli altri li considerano ‘diversi’, tale termine non li offende, anzi, in quanto considerano il loro, un teatro esperienziale, ove arte e vita convivono come teatro e natura. Il ‘teatro di comunità’ è, quindi, secondo i suoi ideatori, un sistema di relazioni dove tutti possono trovare un proprio spazio, dove non ci si sente solamente spettatori ma si è coinvolti nell’azione.
Raffaella Ilari si è concentrata sull’impegno artistico di Stefano Massari che si occupa di registrare ciò che avviene prima, durante e dopo gli spettacoli con particolare riferimento all’azione e partecipazione del pubblico coinvolto – anche grazie al contributo della moglie Carlotta Cicci. Tra i tanti, resta il ricordo di un pomeriggio sulle colline di fronte alla sede delle Ariette e dell’incontro con un un capriolo: “Giovane. Resta lì e ci fissa. Ho la telecamera in mano e riesco a riprenderlo a lungo… Restiamo immobili e in silenzio per non farlo scappare. Poi, se ne va”.
Tante anche le testimonianze dei partecipanti al Laboratorio e al progetto. Mentre, tra le riflessioni finali, Laura Bevione sottolinea la necessità, per questo tipo di teatro, di confrontarsi con la comunità, una necessità dovuta anche allo stile di vita di Pasquini e Berselli e al loro rapporto con la natura. Lo spettacolo diventa, quindi, un momento in cui tutte queste necessità – artistiche e di vita – possono incontrarsi e confrontarsi con quelle della comunità.
Per Raffaella Ilari è importante ricordare le attuali difficoltà di relazione, non solo legate al disgregamento sociale di questi ultimi decenni ma anche all’avvento di Internet che, ultimamente, ha assunto un carattere prevalentemente narcisistico e di riduzione della socialità vissuta. La pandemia ha ulteriormente motivato questo aspetto, cercando di trasformarlo in una necessità inevitabile. A tutto ciò il Teatro delle Ariette contrappone il bisogno di confronto da vivere in presenza per risvegliare la voglia di stare insieme, di pensare e di dialogare, abbattendo gli steccati ideologici o di convenienza prettamente politica legati al presente.
A conclusione una serie di belle fotografie che contribuiscono a rendere, anche visivamente, il clima che si respira durante gli spettacoli delle Ariette. E ovviamente, non può mancare la mitica 2 Cavalli.
Il Teatro delle Ariette non è, quindi, solo una serie di spettacoli ma è un modo di vivere la realtà contaminandola con le proprie iniziative: un mestiere faticoso che impone di mettersi in gioco in prima persona. Una realtà che andrebbe sostenuta ma che incontra sempre maggiori difficoltà a confrontarsi con una politica fossilizzata, che premia le proposte a senso unico. Un teatro che si batte per contenuti che nascono del confronto con il mondo che ci circonda e le sue drammatiche vicende. Un teatro ‘militante’ che, tra la altre cose, chiede pace in un mondo che vive di guerra.
Terre da cucire 2015-2022
Un progetto del Teatro delle Ariette per la comunità
a cura di Laura Bevione e Raffaella Ilari
prefazione Giancarlo Sissa
Titivillus, 2023
pagine 176
Euro 16.00
La recensione del 2020: https://www.inthenet.eu/2020/07/17/e-riapparvero-gli-animali/
venerdì, 10 novembre 2023
In copertina: Particolare della copertina