Lo slogan degli ebrei newyorkesi sia in piazza a Roma
di La Redazione di InTheNet
La nostra redazione sarà in piazza a Roma sabato 4 novembre 2023 sottoscrivendo la piattaforma degli organizzatori. Come sempre noi giochiamo a carte scoperte con i nostri lettori e la nostra posizione è chiara: non mistifichiamo la realtà né i nostri convincimenti etici e politici (termini che, per noi, sono sinonimi).
Come ha scritto Giorgio Cremaschi (già sindacalista della Fiom ed ex portavoce di Potere al Popolo) su Contropiano: “Il genocidio in corso a Gaza, l’infame sostegno ad esso dello stesso schieramento che fa la guerra in Ucraina, gli USA la NATO la UE il governo italiano sporchi di sangue, la stampa italiana che sguazza sulla strage di bambini, il razzismo occidentalista che giustifica ogni nefandezza di Israele, tutto questo ha fatto della manifestazione del 4 novembre il seguito naturale di quella meravigliosa del 28 ottobre”.
Per noi occorre unirsi alle voci di quegli stessi ebrei che non sostengono né la visione sionista né quella razzista e violenta dell’attuale Governo di Israele.
Ma occorre anche riportare in primo piano le palesi contraddizioni dell’attuale schieramento occidentale che ormai mostra il suo volto più feroce, neocolonialista e xenofobo, schermandosi dietro presunte regole che, in realtà, piega per i propri fini geo-strategici ed economici.
Se la Nato poteva avere una giustificazione in presenza del Patto di Varsavia, ora non ne ha più alcuna: nel nuovo mondo multipolare avremo bisogno di ben altri organismi – ma per difenderci, come popolazioni civili, dalle pretese egemoniche dei pochi che ci governano e che deviano i fondi pubblici, ottenuti con le nostre tasse, dai servizi per la cittadinanza (diritto allo studio, assistenza agli anziani e ai disabili, accoglienza dei migranti, ricerca, cultura, sanità e mezzi di trasporto pubblici, pensioni, eccetera) a spese militari che insanguinano i Paesi e aumentano le fonti di inquinamento.
Perché se l’obiettivo primario fosse veramente il cambiamento climatico, la prima cosa che i Governi occidentali dovrebbero fare sarebbe azzerare le guerre, in primis in Ucraina e in Palestina. E difatti se in Donbass, il regime di Kyiv tra uranio impoverito e bombe a grappolo, continui tentativi di colpire le centrali nucleari e la distruzione del Nord Stream, oltre a inquinare terreni, falde acquifere e prodotti agricoli, sta portando l’Europa a riaprire le miniere a carbone e a rifornirsi di gas di scisto (entrambe scelte semplicemente tossiche); la guerra di Israele contro il popolo palestinese oltre alla distruzione materiale e ai continui massacri di civili, tra i quali migliaia di bambini, sta creando un inferno altrettanto tossico sulle sponde del Mediterraneo (basti pensare alle 6.000 bombe sganciate in soli 6 giorni sull’esigua Striscia di Gaza, 1).
Ma la guerra di Israele contro il popolo palestinese, che prosegue da 75 anni, ha raggiunto un livello di orrore che non solamente fa gridare, da più parti, al genocidio (al pari di quelli compiuti nel Novecento – dall’Olocausto al Ruanda, dove ha avuto la sua parte anche la Francia, 2), ma infanga per sempre l’immagine e la credibilità dell’Europa – più che degli States, già squalificatisi irrimediabilmente agli occhi del Sud del mondo dai continui conflitti fomentati e combattuti dal 1991 a oggi.
Dire no alla Nato e all’invio di armi tra Stati contendenti, per noi italiani, significa anche rispettare l’Articolo 11 della nostra Costituzione. Farlo il 4 Novembre, nella cosiddetta Giornata dell’Unità Nazionale e Festa delle Forze Armate, ha doppiamente valore. Perché l’Italia non dovrebbe ‘costituzionalmente’ mai identificarsi con un’annessione territoriale ottenuta con un conflitto (oltretutto, quella Prima guerra mondiale che vide la carneficina delle trincee) e tanto meno – come Paese che ripudia la guerra – glorificare chi di mestiere negli ultimi trent’anni è andato a combattere in missioni di ‘pace’ in Iraq, in Afghanistan o a morire con l’uranio impoverito dei proiettili che i nostri ‘alleati’ avevano utilizzato in ex Jugoslavia.
Dire no a questa scellerata politica militarista e guerrafondaia significa ridare credibilità al nostro Paese come mediatore di pace, significa usare le nostre tasse per fini civili e per il benessere della collettività, significa ridare un senso alle parole.
E chiudiamo proprio sulle parole – tema caro a questa redazione. Per anni abbiamo denominato le nostre guerre ‘operazioni di pace’, gli esseri umani sono stati declassati a ‘danni collaterali’, abbiamo aggettivato ‘intelligenti’ le bombe, definito ‘guerra al terrorismo’ una missione durata vent’anni contro un Paese che non aveva alcuna responsabilità negli attacchi alle Torri Gemelle, o accettato che si perpetrassero detenzioni illegali e torture ai danni di persone musulmane nelle nostre cosiddette democrazie.
Abbiamo permesso che Israele se ne infischiasse delle Risoluzioni dell’Onu, che dietro agli Accordi di Minsk si celasse (come rivelato da Hollande e Merkel) il piano di armare l’Ucraina per ‘riconquistare’ i territori separatisti – invece di mediare quell’autonomia che l’Italia ogni giorno riconosce ad altoatesini o valdostani, friulani o siciliani – e per ottenere l’agognato regime change in Russia che ci regalerebbe l’implosione della Federazione russa e lo sfruttamento neocolonialista delle sue fonti energetiche e minerarie – come ai ‘bei’ tempi di Él’cin.
Dobbiamo ridare un senso alla parola ‘sionismo’ e un altro alla parola ‘ebraismo’, che non sono né sono mai state sinonimi. Tanti rabbini ed ebrei, in tutto il mondo, ci stanno insegnando che non si può vietare la critica a Israele utilizzando la clava dell’accusa di antisemitismo, che non si sarebbe mai dovuta accettare la Nakba in nome dell’Olocausto, che in Palestina non c’era una terra senza popolo per un popolo senza terra, che perfino l’Onu sbagliò quando decise di dividere quel territorio su base religiosa invece di pretendere che i colonialisti occidentali lasciassero la Palestina a chi allora ci viveva – ebrei, cristiani e musulmani – perché costituissero insieme uno Stato laico e democratico.
Abbiamo accettato che Israele si auto-proclamasse Stato-Nazione degli ebrei, legittimando di fatto una apartheid su base religiosa in un Paese che ha sempre meno caratteri democratici e, protetto dal nostro senso di colpa per quanto accadde durante il Nazifascismo, mostra tutta la propria ferocia razzista senza tema di essere punito. Così come il Premier Netanyahu non teme certo di essere deferito alla Corte Penale Internazionale (quella vera, quella dell’Aia, non il surrogato atlantista del Trattato di Roma) per genocidio e crimini contro l’umanità. O forse non è nemmeno ‘grazie’ all’Olocausto che Israele può continuare a perpetrare il massacro, bensì come spina nel fianco dei Paesi arabi, spalleggiando la politica statunitense del divide et impera (in funzione anti-iraniana e anti-siriana, oggi, ma in passato contro altri Stati che fastidiavano l’egemonia statunitense con la prassi dei non-allineati, gli accordi dell’Opec, perfino le ingerenze di Enrico Mattei e dell’Eni).
Israele come l’Ucraina possono essere armi statunitensi per destabilizzare parti di questo piccolo mondo favorendo interessi geo-strategici che, infine, non favoriranno né Israele né l’Ucraina. Se la seconda sta arrivando lentamente al collasso di risorse umane ed economiche, la prima non potrà mai riaversi dal gorgo etico, morale e civile nel quale sta affogando.
Ma anche il nostro ‘giardino’, come lo ha poco diplomaticamente definito l’Alto Rappresentante per gli Affari esteri della UE, Josep Borrell, finirà per ridursi a una sterpaglia se non coltiveremo finalmente la pace, il dialogo, il rispetto e il diritto a una democrazia che sia anche sociale e non solamente formale.
La manifestazione prenderà avvio da piazza Vittorio alle ore 14.00. A volte conta esserci.
(1) In 3 settimane, secondo le Nazioni Unite, Israele ha sganciato 18mila tonnellate di esplosivo (ovvero una potenza esplosiva pari a una bomba atomica e mezza) sulla Striscia di Gaza, che si estende per soli 360 km² – per fare un paragone, l’Italia è quasi 1000 volte tanto, ossia 302.073 km²
(2) Per chi avesse dimenticato cosa accadde in Ruanda: https://it.gariwo.net/educazione/approfondimenti/genocidio-ruanda-3498.html
venerdì, 3 novembre 2023
In copertina: La Locandina della Manifestazione