Oggi più che mai, ci manca Vittorio Arrigoni
di Simona Maria Frigerio
A più riprese in questi anni ho scritto della tragedia palestinese e, ogni volta, sapevo che non sarebbe stata l’ultima. A più riprese mi è tornata in mente la voce di Vittorio Arrigoni che rispondeva alle mie domande con, in sottofondo, le esplosioni delle bombe israeliane. E per l’ennesima volta mi ritrovo di fronte a questo mestiere assolutamente inutile perché in grado di smuovere le coscienze solo quando si fa megafono della propaganda del potere: occupando, ieri, televisioni e quotidiani, e oggi, social e algoritmi.
Cosa può una voce? Forse niente, ma io non posso fare a meno di farvi risentire quella di Vittorio.
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Febbraio 2009. Lavoricchio per un giornale che si chiama Le Voci del Villaggio e mi chiedono di telefonare a Vittorio Arrigoni e intervistarlo per il pezzo di Giro del Mondo: una specie di inserto estero che, nel numero precedente del bimestrale, aveva visto protagonista – ironicamente – Barack Obama.
Non sapevo bene chi fosse Vittorio: sapevo che aveva scritto degli articoli per Il Manifesto sull’attacco israeliano alla Striscia di Gaza e che da anni era un attivista per i diritti umani: termine un po’ retorico che non solleticava la mia curiosità – anzi, avevo abbastanza la ʻluna storta’ all’idea di dover far tardi in redazione per quella telefonata.
Ligia al dovere ma, soprattutto, allo stipendio, chiamai Arrigoni. Fu subito qualcos’altro. Sentire i rumori della vita di Gaza in sottofondo mi fece capire – distintamente – che Gaza esisteva, quanto e più di Milano, che la realtà tangibile non finisce laddove termine la mia prospettiva: oltre i miei occhi e ciò che possono vedere, oltre queste mani adesso sulla tastiera del computer, c’è un universo che vive, soffre e se ne infischia di me. E quella sera Vittorio mi regalò questa consapevolezza. Insieme a un pezzo della sua umanità.
Avrei voluto incontrarlo di persona, dopo, avrei voluto andare e vedere coi miei occhi cosa stava accadendo a Gaza… ma le mie piccole paure di borghesuccia pseudointellettuale mi hanno trattenuta nel quotidiano tran tran. E ormai è troppo tardi. Oggi rispolvero quell’intervista che, in realtà, è solo la trascrizione della testimonianza senza filtri di un uomo che aveva deciso di non cedere alle paure e di impegnarsi in prima persona, con la propria voce, il proprio corpo e i propri sogni.
Questo il testo integrale. Questa la voce di Vittorio, la sua lucidità nei confronti di quanto era accaduto – presagio anche di quanto stiamo vivendo oggi. Come amava salutare: Restiamo umani!
Abbiamo contattato telefonicamente Vittorio Arrigoni, l’unico corrispondente e attivista per i diritti umani che è stato a Gaza fin dall’inizio dell’attacco israeliano ed è ancora lì per l’lnternational Solidarity Movement (Ism).
Questo è il suo racconto.
«Prima del 27 dicembre la situazione era già di piena emergenza umanitaria perché un anno e mezzo di assedio aveva polverizzato l’economia palestinese di Gaza, costringendo l’80% della popolazione a vivere di aiuti, provocando un tasso di disoccupazione del 60%, uno tra i più alti al mondo, e un 47% di bambini affetti da anemia acuta», esordisce Vittorio. In sottofondo musica araba. Si torva in un bar e la voce va e viene, a folate come il vento che in questi giorni ha spazzata Gaza. «Oggi sono andato a trovare i mie vicini di casa: due famiglie con una decina di bambini. C’era stato un forte temporale e mi hanno raccontato che i bambini tremavano perché confondevano il rumore dei tuoni con quello delle bombe. La situazione è indescrivibile: 450 vittime tra i bambini, migliaia i feriti e molti di più i traumatizzati. Vedere l’assedio e il massacro: familiari uccisi, la distruzione della propria casa, è difficile da sopportare. Ci vogliono psicologici per affrontare questi traumi, ma non sono sufficienti. Certo, i bambini sono tornati a scuola e dicono che c’è la tregua, ma i falsi allarmi si susseguono e le scuole devono essere evacuate. Questa è una tipica tattica israeliana, sperimentata in Libano, dove, durante la tregua, per mesi la popolazione ha vissuto nel terrore di un nuovo attacco».
In Italia si è parlato molto dei tunnel tra Egitto e Gaza, che sarebbero serviti per il contrabbando di armi, ma Vittorio racconta un’altra verità: «Un esempio personale: i miei vestiti, il computer, il cellulare sono passati attraverso il tunnel. Durante l’assedio, durato un anno e mezzo, è bene ricordarlo, non arrivava nulla a Gaza. Nei negozi del centro, prima del 27 dicembre, il 90% della merce era Made in Egitto ed era qui grazie ai tunnel, che garantivano la sopravvivenza dei palestinesi: bestiame, gasolio, tutto ciò di cui c’era bisogno. Saranno anche state contrabbandate delle armi, ma tutti coloro che hanno visto i tunnel, compresi i giornalisti, hanno documentato che erano una minima percentuale rispetto alle tonnellate di alimentari, materie prime e medicinali. Del resto, se fossero entrate davvero tutte le armi che dicono, le cose sarebbero andate diversamente durante l’invasione. Da anni, le armi in mano alla resistenza palestinese non servono per attaccare Israele. I razzi kassam sono costruiti con tubi di ferro e si è visto che kalashnikov e lanciarazzi katyusha non servono a nulla contro i mezzi blindati. I carri armati israeliani sono entrati tranquillamente nel centro di Gaza senza che nessuna resistenza o arma riuscisse a fermarli».
Gli israeliani hanno impedito ai giornalisti internazionali di documentare quanto succedeva durante l’invasione, Vittorio è uno dei pochi ad aver visto coi propri occhi cosa sia realmente accaduto: «L’Ism è stata la sola organizzazione internazionale presente nella Striscia di Gaza durante l’attacco e, checché ne dicano i vertici militari israeliani e le agenzie di stampa, gli unici interventi chirurgici sono stati quelli dei medici che amputavano braccia e gambe a migliaia di feriti. Siamo stati testimoni dei bombardamenti alle moschee, 41 per l’esattezza quelle distrutte, come se Israele avesse concepito una propria personalissima guerra santa contro l’Islam. Per non parlare delle centinaia di edifici civili colpiti, fra cliniche, ospedali, impianti idrici e centrali elettriche. Le Ong, l’Onu e le ambulanze della Mezzaluna Rossa parlano del 90% di vittime civili. Gli edifici che ospitavano Cnn, Al Jazeera, Al Arabiya e Reuters sono stati bombardati dall’aviazione israeliana. Ci sono stati feriti e si è voluto intimorire i giornalisti, soprattutto palestinesi, che hanno rischiato molto per fare il proprio lavoro».
Dall’Italia è quasi impossibile immaginare che la vita, al di là del filo, continui o che si sia interrotta per ben 22 giorni sotto i bombardamenti. Eppure la quotidianità per migliaia di palestinesi è profondamente diversa dalla nostra: «I valichi rimangono drammaticamente chiusi o sono aperti con il contagocce. Non passa il materiale da costruzione e si sono solo rimosse le macerie dalle strade. A Gaza City siamo rimasti diversi giorni senza elettricità. Secondo l’Onu sono 21 mila gli edifici danneggiati o distrutti e 50 mila le persone prive di un tetto che vivono nelle tende o sono ospitate nelle scuole dell’Onu. Per queste ultime la situazione è drammatica perché fanno fatica a procurarsi cibo e medicinali. Le scuole sono ridotte a campi profughi. Non si vede futuro. La decisione anche italiana di far passare gli aiuti alimentari da Israele per Ramallah significa rallentarne l’afflusso a Gaza. I medici chiedono come mai non siano stati affidati fondi e aiuti alle Ong internazionali. Inoltre, da parte israeliana, le uccisioni continuano».
Ma vi è speranza? I palestinesi sembra non abbiano più fiducia in niente e nessuno: «I Governi in Israele cambiano, ma la situazione palestinese no. Su Obama, l’opinione pubblica palestinese non si fa illusioni e non pensa che modificherà la politica estera Usa in Medioriente. Nessuno dimentica cosa ha detto in campagna elettorale, che Gerusalemme è la capitale indivisibile di Israele (1), dichiarazione illegittima dato che nessun trattato internazionale e neanche Bush ci sono mai spinti a rivendicare tanto. Non si firmerà nessun accordo di pace se Gerusalemme non sarà capitale di entrambi gli Stati. Molti ricordano Obama che, durante i bombardamenti, su tutti i canali satellitari appariva sorridente, alle Hawaii, mentre giocava a golf. Certo, non era ancora in carica, ma se avesse detto qualcosa forse si sarebbe risparmiata qualche vita».
E le vittime sono state molte di più di quanto si pensi: «Durante una guerra la verità è la prima vittima, e in effetti è stato così perché la stampa ha raccontato la guerra dall’esterno, ripetendo i comunicati dell’esercito israeliano che parlavano, come si diceva, di operazioni chirurgiche…».
(1) Prima di Trump, come riportava anche La Stampa il 23 luglio 2008, Obama affermava: “«Il nostro sarà un impegno incrollabile per Israele nella convinzione che Gerusalemme sarà la capitale di Israele». Di più: sarà una capitale indivisa”.
venerdì, 20 ottobre 2023 (l’intervista fu pubblicata su Le Voci del Villaggio nel 2009. Il testo è stato poi ripreso da www.persinsala.it quando Vittorio Arrigoni fu assassinato, il 15 aprile 2011)
In copertina: Particolare della copertina del libro di Anna Maria Selini, intitolato Vittorio Arrigoni: ritratto di un utopista (2019, Castelvecchi)