Serata finale di Over the Real al MuSA di Pietrasanta
di Simona Maria Frigerio
La videoarte compie 60 anni e Over the Real ha voluto dedicare la serata del 1° ottobre a quattro pionieri del genere. Che siano trascorsi tanti anni si vede e in questa forma artistica è proprio la tecnologia sempre più sofisticata a rendere alcune opere semplicemente dépassé laddove il significato o la poetica non prendano il sopravvento sul significante – come nel caso di Art of Memory o di Migration for Jack Nelson.
Come avevamo già notato la sera precedente nei lavori di Robert Cahen, presentati sempre nell’ambito di Over the Real all’Auditorium di San Micheletto a Lucca, vi è una differenza abissale tra il collage di foto in bianco e nero di Karine e due capolavori di arte visuale quali Kosmos: the uncertainty e Sign (1).
Global Groove, il video di apertura della carrellata progragrammata al MuSA – a firma Paik/Godfrey – ha il sapore dei primi show tecnologici di Mediaset o dei video di Mtv degli anni 80. La pervasività della tivù non porterà a sviluppare le potenzialità espressive del mezzo (come auspicato dai primi videoartisti) ma a una sempre maggiore compartecipazione del pubblico a livello voyeristico e per la conquista dei famosi 15 minuti di celebrità, che andranno a braccetto con un crescente conformismo di idee e contenuti (sempre più omologanti e banali) e a un abbassamento del livello artistico che, pure nei primi anni, la televisione aveva dimostrato di possedere (pensiamo a Quad I+II di Samuel Beckett, solo per citare un esempio). Qui, a metà strada tra il montaggio delle attrazioni eisensteiniano (privo, però, del connotato espressivo/ideologico) e una successione di numeri da rivista o da Fantasia disneyana, manca quel fil rouge o significato potente che leghi significanti di per sé datati. Si apprezza, in compenso, il finale, quando i corpi nudi del Living Theatre – che paiono bruciare le cartoline per il Vietnam – sembrano contrapporsi con la forza della propria presenza a tutto tondo (reale e carnale) al primo piano, bidimensionale, di un Richard Nixon come voce asettica – e impersonale – di quel potere che continuerà la carneficina di giovani corpi in nome del capitalismo.
Mirror Road di Gary Hill è un esperimento di forme astratte in movimento, muto. Purtroppo datato.
Decisamente interessante e sempre attuale, al contrario, Woody Vasulka con Art of Memory, dal gusto visivo proto-videogame e con un messaggio, oggi (tra i rigurgiti neonazisti e neofascisti che stanno infiammando l’intero Occidente, dall’Europa al Canada), decisamente urticante. Con un vago rimando all’angelo della storia benjaminiano nella costruzione temporale dei sette capitoli storici scelti da Vasulka, si eternizza la memoria del Novecento, tra utopie e distruzione – dal punto di vista contenutistico – e tra cinema e computer grafica a livello di media utilizzati. In sottofondo colpisce la voce di Oppenheimer – in queste settimane protagonista di un polpettone hollywoodiano che non risolve la questione del rapporto tra scienza ed etica e, meno che mai, è chiara denuncia del crimine di guerra imperdonabile, commesso dagli States, con il lancio delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki (in funzione prettamente antisovietica). Preservare la memoria è questione vitale quando si pensi alle recenti dichiarazioni di Ursula von der Leyen durante la premiazione del Consiglio Atlantico – presente anche il primo ministro giapponese, Fumio Kishida, originario di Hiroshima – “Questo viaggio ha rappresentato un inizio del vertice del G7 che mi ha fatto riflettere e che non dimenticherò. Soprattutto ora che la Russia minaccia nuovamente di usare armi nucleari”. Ancora più incisivo il valore del ricordo perché “chi controlla il passato controlla il futuro. Chi controlla il presente controlla il passato” – George Orwell docet. Quando è l’arte a trasmetterlo, in una forma che oltrepassa le parole e denuncia le falsificazioni a scopi propagandistici, il valore della memoria arriva ancora più profondamente nella coscienza delle persone, in quanto la sublimazione poetico-estetica colpisce emotivamente e intellettualmente.
E chiudiamo con il rarefatto, surreale, onirico Bill Viola con il suo Migration for Jack Nelson. Viola resta uno dei Maestri indiscussi della videoarte in quanto, aldilà del mezzo o della tecnica, è il suo portato artistico, concettuale e poetico che conquista gli occhi e la mente. Ogni sua opera è un’immersione in uno spazio-tempo alternativo che coinvolge lo spettatore in un’esperienza visivo-sonora al limite della meditazione (o della percezione). Ogni immagine, suono, movimento (o la loro mancanza) è volutamente espressivo e altamente significativo. Migration for Jack Nelson è un piccolo capolavoro magrittiano da esperire nell’elogio alla lentezza.
Alla prossima edizione!
Le proiezioni hanno avuto luogo nell’ambito di Over the Real Festival:
MuSA
Via Sant’Agostino, 61 – Pietrasanta (LU)
domenica 1° ottobre 2023, ore 17.00
Nam June Paik e John Godfrey:
Global Groove
1973, 28:30 min, color, sound
Courtesy Electronic Arts Intermix (EAI), New York
Gary Hill:
Mirror Road
1975-76, 6:26 min, color, silent
Courtesy Electronic Arts Intermix (EAI), New York
Woody Vasulka:
Art of Memory
1987, 36 min, color, sound
Courtesy Berg Contemporary and the estate of Woody Vasulka
Bill Viola:
Migration for Jack Nelson
1976, 7 min, color, mono sound
The Photo is by Kira Perov © Bill Viola Studio
(1) https://www.inthenet.eu/2023/10/06/robert-cahen-ospite-di-over-the-real/
venerdì, 13 ottobre 2023
In copertina: Il MuSA di Pietrasanta (foto gentilmente concessa dall’Ufficio stampa del MuSA)