Un excursus sulle correnti attive a Parigi nei primi del Novecento
di Simona Maria Frigerio
Sale espositive rinnovate, dotate di un impianto luci all’avanguardia (sebbene non tutte le opere in mostra se ne giovino e rimanga tuttora il problema dei riflessi) e un nuovo sistema di aria condizionata che invita alla fuga (visto che si gela), per una mostra che presenta una cinquantina di opere, quasi esclusivamente pittoriche, del milieu parigino del primo Novecento, provenienti dal Philadelphia Museum of Art.
Si inizia con il picassiano Autoritratto con tavolozza (1906, olio su tela) in cui si preavverte quel recupero cezanniano che germinerà – grazie all’incontro con Braque – nel Cubismo. Accanto, solo di poco posteriore (1910, olio su tela), ecco Cesta di pesci di George Braque in cui si notano già le tonalità proprie del Maestro e un’idea degli sviluppi stilistici futuri nell’abbozzo della compenetrazione dei piani. Il ciclo si compie con Uomo con violino (1911/12, olio su tela) in cui Picasso pare esporre l’intera gamma di potenzialità del cubismo analitico: le forme esplodono in piani dove è più l’elemento singolo a farsi significante che non un’impossibile ricostruzione di forme/senso.
Del 1917, di Juan Gris (olio su tela), vediamo esposto – nella seconda sala – Scacchiera, bicchiere e piatto. Si notano l’assemblage di forme in parte riconducibili a oggetti specifici, la compenetrazione di piani e la scelta di tinte forti e nette che rimandano a una geometrizzazione degli spazi prevalente sulla resa oggettiva.
Tra le poche sculture in mostra, segnaliamo il bronzo di Raymond Duchamp-Villon (Testa di cavallo, 1914/15), sicuramente con Boccioni tra gli artisti che hanno meglio interpretato le dinamiche cinetiche – futuriste o cubiste – in forma tridimensionale (e, come l’artista italiano, morto precocemente). La sala si chiude su due opere di esponenti cubisti di primo piano, quali Juan Gris con Lampada (1916, olio su tela) e Francis Picabia con Catch as catch can (1913, olio su tela), dove si apprezzano di più le giustapposizioni coloristiche che non una restituzione sintetica della forma di un lottatore – quanto mai fantomatico.
Nelle sale successive, si fa notare Il tipografo di Fernand Léger, ancora di matrice cubista (1919, olio su tela), e – più personale e originale (soprattutto nella scelta del monocromo+rosso) – il successivo Paesaggio animato (1924, olio su tela) laddove le figure recuperano una ieraticità e monumentalità che le avvicina alle scelte coeve di un Sironi o di una Tamara de Lempicka o, ancora, di un Depero, ma calate in un immaginario fortemente metropolitano, con valenze cinematografiche e una punta di auto-ironia. Centrale nella sala e nella mostra, Cerchi in un cerchio di Vasilij Kandinskij (1923, olio su tela) ove il Maestro riesce a fondere una trasparenza e traslucenza coloristiche rare (persino per lui) con una geometrizzazione stilizzata che si appesantisce (forse inopinatamente) nel cerchio nero di contorno.
Meno note ma indubbiamente originali le due Teste astratte (1923 e 1926, oli su cartone) di Aleksej Javlenskij (che ha prodotto il meglio nel gruppo Der Blaue Reiter) e che qui coniuga un’astrazione architettonica con un’efficacia espressiva difficilmente spiegabili; e ancora, l’astratto Ponte V di Lyonel Feininger (1919, olio su tela) che conquista per le sue scelte e gli accostamenti coloristici.
Il surrealismo onirico e (meccanicistico) è rappresentato da Max Ernst con La foresta (1923, olio su tela) mentre di Henri Matisse ammiriamo Natura morta su un tavolo (1925, olio su tela), germoglio tardivo cezanniano dai colori e dalla pennellata (curiosamente) alla De Pisis. E ancora, nella stessa stanza, si nota l’evoluzione pittorica di Braque con Natura morta (1926/28, olio su tela) dalle forme compatte (e costrette) e dai colori netti e terrosi – al piano di sopra anche Natura morta con piatto di frutta (1936, olio su tela), che rappresenta forse uno tra gli ultimi gradini evolutivi dell’interpretazione di questo tema in versione cubista di Georges Braque.
Viene in mente Nel blu dipinto di blu ammirando Pittura di Joan Miró (1927, olio e acquerelli su tela) che, semplicemente, cattura l’occhio dello spettatore immergendolo in un universo limbico e infantile. Delizioso, a proposito, anche Cane che abbaia alla luna (1926, olio su tela) con quella scala che potrebbe farci salire fino in cielo e che ci rimanda al finale dell’Inferno del Teatro delle Albe, con la medesima scala (appoggiata a un albero) che ci avrebbe permesso di “riveder le stelle”.
Post-apocalittico o proto-anime, La tempesta di Yves Tanguy (1926, olio su tela) ci immerge immediatamente in uno dei suoi paesaggi surreali. Vi si ravvede il raffinato onirismo dell’esteta e la cupa disperazione dell’universo perduto di Bosch. Artista meno noto di altri – inquietante eppure magico – ma che andrebbe riscoperto e maggiormente valorizzato. Accanto, non meno enigmatico, Prestigiatore di Paul Klee (1927, olio e acquarello su stoffa).
Salvador Dalí gioca con il visitatore: perché un cucchiaio con orologio che aggira un masso dovrebbe essere Simbolo agnostico? Forse perché un agnostico non ha il coraggio di attraversare quella roccia e, nel contempo, conserva angosciato memoria del tempo che trascorre? Ipotesi. L’olio su tela è del 1932 e, accanto, si possono apprezzare le forme morbidamente arrotondate (biomorfiche?) di Juan Arp sia su ‘quadro’ sia in un calco in cemento (rispettivamente, Configurazione con due punti pericolosi, 1930, legno dipinto, e Sogno di gufo, 1937/38).
Si chiude la visita in un corridoio che sembra una ghiacciaia o un tunnel del vento. Qui sono esposte (se riuscirete a sopportare il freddo) Composizione con giallo e blu (1932, olio su tela) e Composizione con bianco e rosso (1936, sempre olio su tela), entrambe di Piet Mondrian. Inutile descriverle: sapete già di cosa si tratta.
Al termine della visita, ricca di pannelli esplicativi e che presenta anche un video che racconta i principali eventi storici del periodo, per meglio contestualizzare le opere, si ha l’impressione di aver fatto un breve ma intenso viaggio tra le punte di diamante di alcuni tra i movimenti artistici d’avanguardia della Parigi del primo Novecento. Mancano gli italiani così come i russi e i vari movimenti della Mittel e del Nord Europa (ivi compresi tedeschi, svizzeri e austriaci). Limitata, quindi, geograficamente e stilisticamente ma anche a livello di uso dei materiali (praticamente tutti oli su tela), la mostra vanta però alcune tele davvero pregevoli e qualche capolavoro. Particolarmente adatte alle scuole, a chi voglia approcciarsi all’arte del primo Novecento, agli studenti universitari.
La mostra continua:
Palazzo Blu
Lungarno Gambacorti, 9 – Pisa
fino a domenica 7 aprile 2024
orari: da martedì a venerdì, dalle ore 10.00 alle 19.00, il sabato, la domenica e i festivi dalle ore 10.00 alle 20.00
Le Avanguardie. Capolavori dal Philadelphia Museum of Art
a cura di Matthew Affron (curatore del Philadelphia Museum of Art)
consulenza scientifica, per la presentazione pisana, di Stefano Zuffi
venerdì, 13 ottobre 2023
In copertina: Vasily Kandinskij, Cerchi in un cerchio, olio su tela, 1923, ©Courtesy of the Philadelphia Museum of Art